di Lino Spadaccini
Nell’ultimo giorno di questo 2011 ci si prepara a
festeggiare il nuovo anno con il classico cenone, feste da ballo e sparo di
mortaretti, mentre nella chiesa di S. Maria Maggiore, solennità e tradizione la
fanno ancora da padrona con i 365 rintocchi della campana grande e lo stupendo
canto del Te Deum, in ringraziamento al Signore per l’anno
appena trascorso.
Nel passato famose erano le prèdeche de Fabbrezije (o Brabbizie) dal nome di un tal Giovanni Barbisio, un lombardo che per ragioni di lavoro si era trasferito a Vasto, e che nel 1792 lasciò alla Chiesa un canone annuo di ducati 17 per far fronte alle spese della predica, che veniva affidata normalmente ad un oratore forestiero incaricato di tenere il sermone di fine anno dal pulpito della chiesa.
Nel passato famose erano le prèdeche de Fabbrezije (o Brabbizie) dal nome di un tal Giovanni Barbisio, un lombardo che per ragioni di lavoro si era trasferito a Vasto, e che nel 1792 lasciò alla Chiesa un canone annuo di ducati 17 per far fronte alle spese della predica, che veniva affidata normalmente ad un oratore forestiero incaricato di tenere il sermone di fine anno dal pulpito della chiesa.
Oggi la celebrazione è essenzialmente divisa in quattro
parti: la Santa Messa, l’esposizione del Santissimo Sacramento, la lunga predica
del parroco e il canto di ringraziamento. Sopra l’Altare Maggiore viene
disposta una struttura in legno con le luci che disegnano l’anno che se ne va,
mentre il mattino successivo viene collocata analoga struttura con l’anno appena
iniziato.
Caratteristici
sono anche i canti tradizionali vastesi quando si andava in giro per le
famiglie e i negozi a portare il buon anno. Il Buon Capo d’Anno, con versi in italiano, e Il Capo d’Anno, con versi in dialetto, sono le canzoni più
conosciute e, in particolare la prima, ancora oggi cantata durante le serate
tra parenti e amici.
Se i testi di questi due brani
sono ormai famosi e conosciuti, ce n’è un altro meno conosciuto, ma altrettanto
interessante, scritto da un emigrante negli anni ’20:
Bon Capidanne!
Na fate a Novajorche m’à purtate,
Vulanne sopra nu carre di foche;
Nghi na nuttate, pi minì a stu loche,
Ajje muntagne e mare accavallate;
E mo, chi ‘n grazie a Ddi’ ci ajj’ arruvate,
Salute canta gente sta a lu loche;
Quatrere, giuvinitte e vicchiarille,
Zi ‘Ndonie, zia Maria e Ucchiariville.
La panze nin v’imbiite di scrippelle,
Lu bon principie d’anne a Cipannelle:
Ca vu’ n’putete veve e vi si mpiomme,
Bon Capidanne a te, Filippe Bomme;
Si sinti fredde a mòite fatte sotte,
Lu bon principie d’anne a la Marotte;
Ma si fa calle, stittece a distanze,
Bon Capidanne pure a Fittastanze;
Di una cosa mi n’avè scurdate,
Ca lu Piattare n’ajje salutate;
Queste li diche e li diche cantanne,
A tutte quante vu: Bon Capidanne!
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