L'imponente convento di S. Chiara sorgeva sul sito dell'attuale mercato. L'edificio svetta in alto con il suo chiostro "pensile" |
Chiuso il monastero nel 1917, per lo scarso numero di suore, qualche anno più tardi venne dichiarato pericolante e, pertanto, si rese indispensabile l’ordinanza di demolizione. Dalla sentenza di morte, all’esecuzione materiale passarono ben dieci anni, forse sono un po’ troppi per una struttura che minacciava di crollare da un momento all’altro. I lavori di abbattimento, infatti, iniziarono solo nel 1930 e terminarono tre anni più tardi.
Nell’inverno del 1931 fece scalpore il ritrovamento dei cadaveri quasi intatti di due monache. Il primo pensiero andò subito alle suore fondatrici, così come sottolineato ironicamente da Luigi Anelli sulle pagine de Il Vastese d’Oltre Oceano: “…Ciò che ha dato occasione alle donnicciuole di gridare al miracolo, affermando esser quelle le spoglie mortali di due religiose venute dall’Aquila a fondare il nostro monastero di S. Chiara il 26 settembre 1609 e morte in odore di santità”.
Secondo lo storico e giornalista vastese, in realtà i corpi ritrovati sono quelli di Suor Maria Raffaele, al secolo Maria Giacinta Marchesani, nata il 17 gennaio 1778, e Suor Maria Luisa, al secolo Maria Aurora Sargiacomo, nata il 13 febbraio 1803 e morta il 27 novembre 1865. “E se tanto le vesti che le carni delle due suore malgrado il tempo, non mostrano nessuna alterazione, può a ciò aver contribuito la natura del terreno nel quale i detti cadaveri sono stati sepolti o la preparazione con sostanze chimiche da essi subita prima di essere interrati, e che, per lo spazio di circa settant’anni, ha impedito loro il loro disfacimento”. Altri respingono la tesi dell’Anelli, in quanto già dal 1839 era fatto divieto di tumulare i cadaveri all’interno del centro abitato e nelle chiese. L’ultimo ad essere sepolto all’interno di una chiesa dovrebbe essere stato il sindaco Pietro Muzii, nel 1857, sotto il pavimento della Chiesa di Sant’Onofrio. Lo storico vastese non è d’accordo è parla della “testimonianza di persone ancora viventi le quali ricordano che alla morte di Suor Maria Raffaele Marchesani, avvenuta dopo il 1860, sia perché era la badessa del convento e sia per le alte aderenze che vantava allora la famiglia di lei, potette essere elusa la legge; e per tale prima infrazione alla legge stessa, di uguale trattamento beneficiò anche Suor Maria Aurora Sargiacomo, che, colta da morte qualche anno dopo, ebbe anche lei sepoltura nel convento stesso”.
I dubbi rimangono, ma dopo ottanta anni, con il convento che non c’è più, anche le sue storie non sono che un flebile ricordo.
Lino Spadaccini
1 commento:
Bisognerebbe tener presente che il Monastero "ricoverò" Ippolita d'Avalos nel primo anno di esilio del marito Cesare Michelangelo. I d'Avalos praticavano l'imbalsamazione e potrebbero, per riconoscenza o altro, aver fatto trattare con questa pratica le suore che avevano dato aiuto alla Marchesa.
Posta un commento