lunedì 4 aprile 2011

Il fascino del teatro di Anelli: "A ch’ attocch’ attocche!"


Il 4 aprile del 1897, presso il Teatro Rossetti, veniva rappresentato per la prima volta A ch’ attocch’ attocche! proverbio dialettale in un atto di Luigi Anelli.
Attaccato alla propria terra, alle proprie radici e alla propria parlata uastareule, Luigi Anelli ci ha lasciato pagine indimenticabili e fondamentali per la conservazione del nostro dialetto: oltre alla raccolta di sonetti Fujj’ ammèsche, Origine di alcuni modi di dire nel dialetto vastese, Proverbi vastesi, e il Vocabolario vastese, pubblicato fino alla lettera E, molto interessanti sono le commedie dialettali quali Lu zijje spiccicate, Creste gna vàite accuscé pruvaite! e A ch’ attoch’ attocche!
Quest’ultima commedia venne rappresentata in occasione di una serata di beneficenza per raccogliere fondi per la banda musicale cittadina. Davanti al numeroso pubblico presente in Teatro, dopo la recitazione di alcune poesie di Emilio Monacelli, direttore del settimanale Istonio, declamate dal giovane Francesco Laccetti, la filodrammatica vastese ha messo in scena con successo il bozzetto dialettale scritto da Luigi Anelli. Applauditi gli attori, in particolare Leopoldo Cieri, autentico parlatore di dialetto vastese, Antonio De Filippis, Francesco ed Ettore Laccetti e Benedetto Paolantonio.
L’azione si svolge a Vasto il 20 settembre 1871, l’anno successivo della presa di Roma, con l’ingresso dei bersaglieri a Porta Pia. Per commemorare questa data, i liberali hanno organizzato per la serata una dimostrazione popolare, dove parteciperà anche Don Pasquale, maestro di scuola e marito di Zia Rachele. Il parroco Don Saverio, preoccupato per quello che potrà succedere, e per le invettive che verranno pronunciate contro i preti, il Papa e la religione, va da Zia Rachele e gli racconta tutto. Nel frattempo giunge in casa di Don Pasquale, preannunciato da una lettera, Enrichetta, corista del Teatro Maruccino di Chieti: “Adorato Pasqualino. Il brigadiere è andato in licenza ed io sono libera per un mese. Approfitto di questa occasione per recarmi nel Vasto; e, per non farti torto, verrò a stare in casa tua, dove mi contenterò anche di un bugigattolo purché guardi il mare”. Don Pasquale è preoccupato e tra sé pensa: “Vo huarda’ lu mare e nin sa’ ca sta’ Zia Rachele aècche, chi dapù’ ci mann’ a huardà’ li pècher’ a tutt’ a ddî!... si s’ingondre nghi ‘sta stàiche di màime mi firnisce a ‘ccungià’ pi li feste!”.
La situazione in casa è molto calda e le moine della giovane verso Don Pasquale accendono la gelosia di Zia Rachele; le due vengono quasi alle mani, fermate in tempo dall’imbarazzato Don Pasquale. Rimasti soli, Zia Rachele si scaglia contro il marito: “T’aviss’ a ricurdà’, ca si misce aaète stattèive a mmezz’ a la vejje, scazz ‘e nnîute, mèsere e deludente. Ji’, belle, mì t’ àjje todde, t’ àjje aricazzate, t’ àjje ‘arivistiute, t’àjje fatte ‘ndrà gnè mastre di schèule, nzumme t’ àjj’ arifatte cristijane. Ma, diceve chi la bon’ alme di mamme: arreve la cocce all’àsene, ci spriche acche e sapàune! E quass’ è state cummunend’ a mma’! Ti facè’ male lu vrote grasse?!... ‘N di piaciàive a minì’ a magnà’ a sone di cambanelle?!... Mi vulive matte pure li corn’ annenz’ a ll’ ucchie?!... Mbè, già che è quasse, da ‘stu mumende arizzèlete chi li du cingiarille chi ti si purtate, e vi chi vija a da fa’; accuscè’ nin di pirde manghe di jè’ strillenne massàire appress’ a la dimustraziàune!”.
Ma non tutto e perduto, Enrichetta e Don Pasquale studiano uno stratagemma contro Don Saverio, accusato di mettere strane idee in testa alla moglie. Così Enrichetta, rimasta sola con il prete, usando l’arma della seduzione, gli fa scrivere una lettera dove si parla anche di un appuntamento per le ore 10 di quella sera. Con la lettera in mano, Don Pasquale ricatta Don Saverio, il quale, per non essere scoperto, mette una buona parola verso Zia Rachele per farla riappacificare con il marito. Ma non è finita qui. La vittoria più grande di Don Pasquale avviene più tardi con l’arrivo della dimostrazione dei liberali: dal balcone di casa costringe il prete a gridare a gran voce Viva Garibaldi!, Viva Roma Capitale d’Italia!.

Lino Spadaccini

Nessun commento: