giovedì 2 dicembre 2010

CENTOCINQUANTESIMO DELL’UNITA’ D’ITALIA

Interessante nota storica di NICOLANGELO D’ADAMO che si pone “molti interrogativi sul perché centocinquanta anni di storia unitaria ci hanno assicurato un posto tra le prime sette potenze economiche del mondo e non una effettiva unità nazionale. Al punto che risentiamo parlare di Secessione.

di Nicolangelo D'Adamo
La parola Unità andrebbe virgolettata, centocinquant’ anni addietro d’Azeglio aveva capito che bisognava “fare gli italiani”: ad oggi questa “unità” non è stata raggiunta ed è ancora tutta da costruire. Comunque, anche se con meno enfasi di cinquant’anni fa, ci apprestiamo a ricordare con solennità quella data, il 17 marzo 1861, quando si realizzò l’unità statale. Quel giorno giungeva a compimento un lungo e lento percorso unitario, che aveva interessato anche altri Paesi europei, a cui avevano lavorato, dalla caduta  dell’Impero Romano (periodo di formazione e di massimo splendore dell’unità d’Italia soprattutto per la funzione che svolsero le grandi vie consolari), uomini politici e letterati che non avevano mai considerato definitiva la divisione dell’Italia in più staterelli litigiosi e a sovranità limitata.
Voglio dire che l’intera Penisola è stata sempre considerata una entità nazionale unica,  a riunificarla tentarono già i Longobardi  e i Carolingi, e poi Arduino d’Ivrea tentò di  svincolare l’Italia da una condizione di vassallaggio dall’Impero. In seguito ci fu la grande stagione Federiciana  con la nascita della “Scuola Siciliana” e poi i padri della lingua italiana, Dante, Petrarca e Boccaccio. In pieno Rinascimento abbiamo le lezioni del Machiavelli, il padre della politica come scienza e del Guicciardini che aveva già capito che “ciascheduno Stato Italiano non è tanto debole da soggiacere, né tanto forte da prevalere”. Era il periodo delle scorribande degli eserciti stranieri che se dovevano combattere una battaglia, preferivano scendere  in Italia anzichè depredare e distruggere il loro Paese.
Con il Romanticismo nacque la grande stagione del Risorgimento, vissuta però con aspirazioni e mezzi diversi nei vari Stati della penisola , che fissa le premesse culturali e politiche per il successivo processo unitario. Le strade che vennero suggerite per raggiungere l’unità furono tante: dal Neoguelfismo Giobertiano al Federalismo di Cattaneo, alla Repubblica Mazziniana ecc. per arrivare a Cavour che certo non voleva la situazione creata da Garibaldi, e comunque era lusingato dalla grande opportunità che si offriva al suo Sovrano…. Da qui nascono diverse “scuole di pensiero” e per illustrarle non bastano certo gli spazi di un articolo.
Si scriverà e si dibatterà a lungo sull’ espansionismo sabaudo, la conquista del Regno delle due Sicilie e la sconfitta dei Borboni. I metodi usati, gli eccidi, il vero significato del brigantaggio e della cosiddetta “Questione Meridionale”. Oggi, a distanza di un secolo e mezzo, al netto della retorica risorgimentale di cui abbondavano i nostri libri di scuola, cosa resta di quella grande stagione di sacrifici, morti, violenze di ogni tipo e di tanti episodi di nobile eroismo consumato sull’altare di una “Patria Unitaria”? Resta a mio avviso la convinzione che l’unità dell’ Italia fu un bene, fu il raggiungimento di un traguardo da tanti secoli sognato da Grandi Spiriti di questo Paese e, più concretamente, fu l’epilogo naturale, ancorché tardivo, di un processo unitario che nei secoli precedenti aveva interessato altri grandi Paesi europei (Inghilterra, Spagna, Francia) che proprio in virtù di quella unità avevano consolidato le Istituzioni Statali favorendo l’effettiva “unità nazionale” secondo la famosa formula manzoniana: “una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue, di cor”.
Ma si ripete, giustamente, che l’annessione del meridione d’Italia fu violenta e sacrificò anche quanto di buono i Borboni  vi avevano costruito e che la stessa  figura di Garibaldi è da ricostruire senza alcun velo leggendario. Certo. Tutto questo appartiene alla storia ed è sciocco e ridicolo continuare a sottostimarlo, così come appartengono alla storia le contraddizioni di Pio IX.  Ma anche la “Guerra delle due Rose” insanguinò per trent’anni l’Inghilterra, però da  quella vergognosa lotta dinastica si consolidò l’unità nazionale con gli York,  la Vandea fu una pagina vergognosa della Francia e le “Giubbe Blu” nordiste non risparmiarono lacrime e sangue ai sudisti durante la guerra di secessione negli Stati Uniti. Voglio dire, per essere realisti,  che gli Stati Nazionali più che con i “Plebisciti”sono sempre nati da percorsi violenti e anche da gesti ignobili, purtroppo. Ma se fu “vera gloria”, ovvero  il giudizio sui risultati che oggi dobbiamo esprimere (anche per capire se c’è qualcosa da festeggiare) non può prescindere dall’evoluzione complessiva che ebbe quella  unità nazionale, anche in relazione alle realtà nazionali con cui poi ha interagito maggiormente. Insomma il mancato processo unitario in Italia e la conservazione di una realtà nazionale fortemente segmentata istituzionalmente e legislativamente sarebbe stato un vantaggio? Io non credo nella retorica  dell’ “Europa delle piccole Patrie”, anche perché è solo italiana  e nasce dalle pseudo dottrine politiche di Gianfranco Miglio, sappiamo bene  che quelle idee nascono da egoistici interessi economici e da pregiudizi storico-culturali, così come non capisco e quindi non condivido un tardivo ed antistorico revanscismo borbonico addirittura dopo centocinquanta anni da quei fatti dolorosi.
. Su questo tema vorrei che ci fossero opportuni approfondimenti.  NICOLANGELO D’ADAMO


1 commento:

Anonimo ha detto...

interessante