L’11 settembre di duecento anni fa, da Giovanni e Adelaide Caprioli, nasceva Giacinto Barbarotta, medico e letterato vastese.
Ancora un’altra data significativa passata pressoché inosservata, dopo il centenario di Valerico Laccetti del 2009, i 150 anni dalla morte di Michele Genova lo scorso 12 gennaio e i 150 anni dalla nascita di Luigi Anelli il 20 febbraio. Troppe date dimenticate per dei personaggi che fanno parte della nostra storia ed hanno contribuito, con le loro opere e i loro studi, a portare in alto il nome della loro e nostra città.
Nell’Ottocento tappa obbligata per i giovani vastesi che volevano intraprendere gli studi di medicina era Napoli. Lo stesso Giacinto Barbarotta frequentò la facoltà partenopea e all’età di ventidue anni, conseguì la laurea in medicina e chirurgia. Una passione profonda sentita sin dalla giovinezza, coltivata con dedizione e passione anche dopo la laurea.
Tante le pubblicazioni scientifiche inserite in giornali specializzati, quali Il Morgagni o l’Osservatore Medico, oppure interessanti saggi frutto di studi e continue scoperte: “Caso raro di Volvolo” (1835), “Monografia delle febbri intermittenti” (1858), “Lettere al professor Francesco Vizioli” (1861) e “Se il Colera Morbus che ricorre epidemicamente in Europa sia una perniciosa” (1856). Dedicato agli amici Barone Luigi Cardone, a Domenico Crisci e Rosa Pietrocola, quest’ultimo libro è di particolare interesse in quanto prende in esame le costituzioni morbose precedenti lo sviluppo del colera a Vasto nel 1855, con particolare attenzione al colera morbus scoppiato nel 1837. “Si giunge così al principio del corrente anno 1855”, spiega il letterato vastese, “e sembra quasi siasi rinnovata la medesima costituzione reumatico-infiammatoria dell’antecedente… A maggio rareggiavano le intermittenti e frequenti si facevano i disturbi gastro-enterici. In luglio, che fresco e variabile ricorse, tra le diarree e tra i vomiti repentini e dolorosi che naturalmente o con semplici mezzi guarivano, le intermittenti semplici e subcontinue eran poche. E dopo che sul principiar di agosto per copiosa pioggia caduta infreddassi l’aria, addì 6 notossi il primo caso de così detto Colera”. Nei giorni successivi si svilupparono altri casi fino ad arrivare ad undici vittime. Il giorno 26 “buona quantità di popolo si recò a prendere la statua dell’Arcangelo S. Michele a breve distanza dalla città ove è sita la sua Cappella. La processione fu commovente; e i contadini, a piedi scalzi, tra le lagrime le preghiere l’agitazione ec. Si defaticarono non poco; e nel ritorno che fecero alle proprie case”. Da subito cominciarono molti casi di malessere e nei due giorni successivi centinaia di persone furono colpite dal morbo e di questi 30 morirono. Qualche giorno dopo ancora una processione, quella della statua di Sant’Antonio, con conseguente diffondersi dell’epidemia ed altri 30 morti. Da agosto a dicembre i morti in totale furono ben 389.
Pagine di storia vastese sicuramente tristi raccontate con dovizia di particolari da chi ha vissuto quei tragici momenti. In particolare, Giacinto Barbarotta fa uno studio approfondito della malattia prendendo in esame i singoli casi dei cittadini vastesi, analizzando lo sviluppo della malattia e, per fortuna, i tanti casi di guarigione, non per uno studio storico locale, quanto per un approfondimento della malattia, utile a tutta la comunità scientifica italiana.
Giacinto Barbarotta oltre che illustre medico, è stato un ottimo letterato. Fondamentali per la cultura della nostra città sono i due volumi delle “Iscrizioni Italiane” (il secondo volume diviso in due parti), pubblicate tra il 1878 ed il 1880. Molte delle iscrizioni che ancora oggi leggiamo incise su marmo nel cimitero, nelle chiese o sulle facciate delle case, sono state dettate proprio dal nostro concittadino.
Giacinto Barbarotta lo ricordiamo anche per essere stato uno dei principali protagonisti di una violenta lite, andata avanti a colpi di denunce e pubblicazioni, con altri due medici vastesi Francesco Saverio Cianci e Giovanni D’Ettorre. La faccenda venne risolta solo dopo quattro anni con un arbitrato. Ma di questo ne parleremo in un’altra occasione.
Lino Spadaccini
Ancora un’altra data significativa passata pressoché inosservata, dopo il centenario di Valerico Laccetti del 2009, i 150 anni dalla morte di Michele Genova lo scorso 12 gennaio e i 150 anni dalla nascita di Luigi Anelli il 20 febbraio. Troppe date dimenticate per dei personaggi che fanno parte della nostra storia ed hanno contribuito, con le loro opere e i loro studi, a portare in alto il nome della loro e nostra città.
Nell’Ottocento tappa obbligata per i giovani vastesi che volevano intraprendere gli studi di medicina era Napoli. Lo stesso Giacinto Barbarotta frequentò la facoltà partenopea e all’età di ventidue anni, conseguì la laurea in medicina e chirurgia. Una passione profonda sentita sin dalla giovinezza, coltivata con dedizione e passione anche dopo la laurea.
Tante le pubblicazioni scientifiche inserite in giornali specializzati, quali Il Morgagni o l’Osservatore Medico, oppure interessanti saggi frutto di studi e continue scoperte: “Caso raro di Volvolo” (1835), “Monografia delle febbri intermittenti” (1858), “Lettere al professor Francesco Vizioli” (1861) e “Se il Colera Morbus che ricorre epidemicamente in Europa sia una perniciosa” (1856). Dedicato agli amici Barone Luigi Cardone, a Domenico Crisci e Rosa Pietrocola, quest’ultimo libro è di particolare interesse in quanto prende in esame le costituzioni morbose precedenti lo sviluppo del colera a Vasto nel 1855, con particolare attenzione al colera morbus scoppiato nel 1837. “Si giunge così al principio del corrente anno 1855”, spiega il letterato vastese, “e sembra quasi siasi rinnovata la medesima costituzione reumatico-infiammatoria dell’antecedente… A maggio rareggiavano le intermittenti e frequenti si facevano i disturbi gastro-enterici. In luglio, che fresco e variabile ricorse, tra le diarree e tra i vomiti repentini e dolorosi che naturalmente o con semplici mezzi guarivano, le intermittenti semplici e subcontinue eran poche. E dopo che sul principiar di agosto per copiosa pioggia caduta infreddassi l’aria, addì 6 notossi il primo caso de così detto Colera”. Nei giorni successivi si svilupparono altri casi fino ad arrivare ad undici vittime. Il giorno 26 “buona quantità di popolo si recò a prendere la statua dell’Arcangelo S. Michele a breve distanza dalla città ove è sita la sua Cappella. La processione fu commovente; e i contadini, a piedi scalzi, tra le lagrime le preghiere l’agitazione ec. Si defaticarono non poco; e nel ritorno che fecero alle proprie case”. Da subito cominciarono molti casi di malessere e nei due giorni successivi centinaia di persone furono colpite dal morbo e di questi 30 morirono. Qualche giorno dopo ancora una processione, quella della statua di Sant’Antonio, con conseguente diffondersi dell’epidemia ed altri 30 morti. Da agosto a dicembre i morti in totale furono ben 389.
Pagine di storia vastese sicuramente tristi raccontate con dovizia di particolari da chi ha vissuto quei tragici momenti. In particolare, Giacinto Barbarotta fa uno studio approfondito della malattia prendendo in esame i singoli casi dei cittadini vastesi, analizzando lo sviluppo della malattia e, per fortuna, i tanti casi di guarigione, non per uno studio storico locale, quanto per un approfondimento della malattia, utile a tutta la comunità scientifica italiana.
Giacinto Barbarotta oltre che illustre medico, è stato un ottimo letterato. Fondamentali per la cultura della nostra città sono i due volumi delle “Iscrizioni Italiane” (il secondo volume diviso in due parti), pubblicate tra il 1878 ed il 1880. Molte delle iscrizioni che ancora oggi leggiamo incise su marmo nel cimitero, nelle chiese o sulle facciate delle case, sono state dettate proprio dal nostro concittadino.
Giacinto Barbarotta lo ricordiamo anche per essere stato uno dei principali protagonisti di una violenta lite, andata avanti a colpi di denunce e pubblicazioni, con altri due medici vastesi Francesco Saverio Cianci e Giovanni D’Ettorre. La faccenda venne risolta solo dopo quattro anni con un arbitrato. Ma di questo ne parleremo in un’altra occasione.
Lino Spadaccini
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