lunedì 31 agosto 2009

Proposta: Toson d'Oro? No grazie. Meglio rievocazioni più vicine alle nostre origini "popolane"

da FrancescoPaolo (Cicco) Spadaccini riceviamo e pubblichiamo questa interessante proposta:
Caro Nicola,
ogni anno questa sfilata del Toson d'Oro mi ripropone la stessa ossessionante domanda: cosa hanno fatto i d'Avalos per la città del Vasto e per i cittadini vastesi, per meritarsi questa sfarzosa commemorazione?Possiamo leggere quello che la famiglia Medici ha fatto per Firenze, in campo economico e dell'arte; apprendere che l'ultima della famiglia, Anna Maria Luisa donò alla città l'immenso patrimonio d'arte accumulato dalla famiglia nei secoli di dominio. Oppure quello che hanno fatto i Gonzaga per Mantova; o gli Scaligeri per Verona.Ma i nostri d'Avalos cosa ci hanno lasciato? Hanno forse creato un sistema economico? Una rete commerciale? Costruito quartieri, bonificate paludi, realizzate strade? Sviluppate l'istruzione, le arti, ecc.? Creato associazioni per l'assistenza, costruito ospedali?Cosa hanno da spartire i cittadini pescatori, ortolani, ramai, cordai ... vastesi tutti, con i sontuosi abiti di corte che si vedono sfilare in questa occasione di ricorrenza?C'è qualcuno che possa elencarci i meriti di questa famiglia verso il popolo vastese?Se questa cerimonia ha motivazioni di richiamo turistico, allora ben venga; sarà una sagra paesana in costume come ce ne sono centinaia in Italia.In caso contrario preferirei rinverdire le feste cittadine che ci hanno caratterizzato per molti anni, come ci racconta il nostro Luigi Marchesani nella sua Storia di Vasto.Mi faccio carico di trascriverne un passo perchè difficilmente queste storie sono conosciute dai nostri concittadini."...La caccia del toro, avanzo de' giuochi romani, è caduta in disuso da pochi anni: davasi ne’ larghi della Fontana, di Palazzo e di Portapalazzo, barricandosi le strade, che vi si aprono. Robusti e coraggiosi cani Corsi de’ nostri beccai e de’ vicini paesi apprendendonsi agli orecchi del muggente inferocito animale sforzavansi di fermarlo. Un premio si dava al padrone di quel cane, che nella pericolosa impresa di arrestare per l’orecchio il defatigato corneggiante toro riusciva.La carriera a cavallo, imitazione de’ Trojani giuochi, dà principio agli spettacoli delle ore vespertine. Il Tamburrino della città convoca il popolo. I cavalieri, che sono i nostri vaticali quando gli esteri corridori mancano, si schierano o a piè della nuova strada della marina per terminare a Portanova; ovvero, fatta meta l’Aragona, si spiccano dal sito di S.Sebastiano nelle prime corse, e da S.Francesco di Paola nell’ultima o mezza corsa: spesse volte un cavallo scapolo, cui prima insegnasi la via, concorre al premio. Più palii d’inugual valore si distribuiscono.
Succede alla carriera la elevazione di più macchine aerostatiche di carta o palloni volanti, cui gli ingegnosi Vastesi danno varia configurazione. Il fumo le riempie, e l’animella vi sostiene la rarefazione dell’aria.
Viene indi la Cuccagna. Un alto albero da artimone, spalmato di morchia, impiantato, sorregge con la cima il premio di quel garzone del basso ceto, il quale avviticchiato all’albero, superando con lo sforzo muscolare la lubricità, e su traendosi, perviene al favoloso paese della felicità, al premio. Oh quanti garzoni, mentre il defatigato braccio al sospirato guiderdone stendono, le gambe inavvedutamente rallentano, e giù scorrono avviticchiati tuttavia all’ingrato albero! Qui vince la vigoria; un altro simile giuoco l’equilibrio. Sta per più palmi elevato dall’arenoso suolo, proteso orizzontalmente, e girevole sull’asse, sta un prisma triangolare equilatero di legno: sono di palmi dieci e di palmi quattordici i suoi diametri. Il garzone percorrer ne ebbe il superior lato da una estremita all’altra o strisciando col ventre, ovvero a cavalcioni; delle braccia ei servesi per l’equilibrio. S’ei ponta in modo che il suo centro di gravità passi sempre per l’asse, perviene alla stremità, dov’è il guiderdone; ma se un tantino va a pendere per la destra o per la sinistra parte, il prisma si rivolge ed egli è smontato. Valore di premio non già, ma stimolo di gloria chiama ‘a giuochi. E’ questa l’ora, in cui il piano del Castello, o la largura fuori Portanova, formicola di gente: le bianche, le rosee, le cilestri vestiture delle artigiane e delle villanelle s’intersecano, si mischiano, si separano nella folla di giovani signori e plebei, di matrone, di fanciulli; non isdegna la seria età di mescolarvisi, e sol la passione del bigliardo, o del giuoco alla mora tiene lungi dalla comun gioja qualche galantuomo, o una brigata di villani.
V’à di mezzo la gente de’ paesi vicini, che a goder delle nostre feste concorre: maggior ne sarebbe l’afluenza se le quattro Locande fossero meglio fornite. Alcuni forestieri accolgonsi nelle nostre famiglie, ove a mensa comune (dalla quale le donne di casa non sono escluse) seggono.
Frattanto la ben fornita piramidal macchina del fuoco artifiziale si drizza, alta più che quaranta palmi , con base di palmi dodeci quadrati. Al tocco dell’ora prima della notte, premesse alcune bombe scoppianti in aria e di là spiccanti razzi, cessa l’armonia della Banda, e ‘l fuoco alla macchina si attacca. Dura lo spettacolo circa un’ora; e non sì tosto termina, che odesi la lunga salva di mortai, cui tien dietro lo sparo e lo scampanìo delle torri.”.
Questa è una pagina che racconta stupendamente le nostre autentiche origini popolane e narra del nostro carattere cittadino: gioviale, festaiolo, ospitale.
Bellissima quell’immagine de “…le bianche, le rosee, le cilestri vestiture delle artigiane e delle villanelle s’intersecano, si mischiano, si separano nella folla di giovani signori e plebei, di matrone, di fanciulli…”.
E si lasciano andare anche i nostri vecchi e austeri nonni “..la seria età…”.
Ce n’è abbastanza da mettere insieme una settimana di “giuochi” e di commemorazioni, forse più attinenti alle nostre abitudini.

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