sabato 1 aprile 2017

Solo la bellezza e l’arte salveranno il mondo dai gesti efferati?

Conversazione con il prof Guido Brunetti

Le cronache quotidiane ci presentano casi che esprimono un senso di ferina malvagità, fatto che disorienta e ferisce la coscienza individuale e collettiva. La striscia di sangue dei gesti criminali ed efferati non accenna a diminuire, ma si prolunga sempre più.

Il 2017 è cominciato con un ragazzo sedicenne
che con la collaborazione di un amico colpisce nel sonno a colpi d’ascia i suoi genitori. Poi una successione di altri tragici fatti, come le sevizie sul tredicenne di Giugliano (Napoli), il parricidio di Selvazzano (Padova), la tragedia di Vasto, il ventenne massacrato ad Alatri (Frosinone), fino agli ultimi episodi di queste ultime ore.

Affrontiamo questi delicati e complessi temi in una conversazione con il professor Guido Brunetti, il quale ha maturato una comprovata esperienza sia sul piano clinico e universitario sia come autore di molti libri e saggi che spaziano nei più diversi campi delle neuroscienze, della psichiatria e della psicoanalisi.

“Le cause- afferma il nostro illustre interlocutore- sono molteplici. Le ricerche indicano la multidimensionalità dei comportamenti aggressivi e violenti. Anzitutto, ci sono origini neurobiologiche, innate, insieme con quelle personali, emotive, cognitive, socio-ambientali e culturali. Senza trascurare ragioni istituzionali, come la famiglia, la scuola e la stessa Chiesa, la quale, come sostengono autorevoli personaggi, a cominciare dal Papa, vive una fase storica di malessere e insicurezza”.

Ci sono altre caratteristiche?
“I neuro scienziati considerano l’aggressività umana come qualcosa che ci caratterizza. Una condizione già intuita da Platone, il quale scrive che ‘In tutti noi, anche negli uomini virtuosi, alberga una bestia selvaggia’. La sua origine può essere rintracciata, risalendo alle nostre origini di scimmie, e precisamente al nostro antenato comune con gli scimpanzé. Si tratta di un comportamento intraspecifico, di una capacità del cervello fondamentale e irriducibile, che può venir fuori in qualsiasi momento.

A partire dalla fase prenatale, si fissa il livello di aggressività determinato in parte dalle informazioni genetiche. Un influsso sul cervello del bambino viene esercitato da tutti quei fattori che condizionano l’attività dei neuroni, come gli ormoni del feto e della madre, le sostanze nutritive e quelle chimiche.

Nei soggetti che commettono atti violenti si riscontrano spesso disturbi psichiatrici, l’abuso di sostanze che creano assuefazione, psicosi e altri disturbi della personalità. Il livello di aggressività è inoltre influenzato dall’ambiente in cui il feto si sviluppa, come l’assunzione di fumo, alcol e medicinali da parte della madre. L’alcol inibisce le funzioni cerebrali, fatto che può condurre ad atti di violenza improvvisi e irrazionali.

Recenti ricerche hanno confermato che film, videogiochi violenti, circostanza sociali sfavorevoli e la mancanza di istruzione possono portare a comportamenti violenti e criminali. Per queste pulsioni distruttive ed autodistruttive, autorevoli neuro scienziati hanno definito l’uomo ‘un errore dell’evoluzione’, perché il neocervello non è riuscito a debellare quella struttura cerebrale primordiale, che è sede dell’aggressività e della violenza”. Nietzsche aveva parlato dell’uomo come ‘un errore di Dio’.

Angelo o demone, l’uomo?

“ Come scrive Pascal, sventura vuole che chi ‘vuol fare l’angelo faccia la bestia’. Questa immagine evoca la Bibbia, la quale scrive che il Signore ‘vedendo che la malvagità degli uomini era grande, si pentì di aver creato l’uomo sulla terra’. Aggiunge poi l’Ecclesiaste: ‘l’uomo non si differenzia dalle bestie’. In realtà, non siamo angeli, ma esseri molto evoluti, che aspirano alla trascendenza”.


Può indicarci, professor Brunetti, quando questo fenomeno ha avuto inizio?
“Negli anni Novanta, il professor Giovanni Bollea, il padre della Neuropsichiatria infantile in Italia, ed io abbiamo pubblicato un documento in cui si parlava per la prima volta dell’emergenza di un nuovo fenomeno da noi definito ‘processo di violentizzazione’. Un processo che appariva in maniera subdola e strisciante, a livello planetario, e destinato ad esercitare una notevole influenza nella società, nell’individuo e nell’insorgenza di disturbi psichiatrici e comportamentali anche in bambini di due anni.

Le agenzie educative e formative- era la nostra tesi- non sono più la famiglia e la scuola, che sono state scavalcate e quasi soppiantate. Ma i media, attraverso una spettacolarizzazione della violenza, scene truculente di droga e sesso e un linguaggio sciatto e volgare.

Una violenza tesa ad enfatizzare stupri, macabri delitti, follie omicide. Il dolore- scrivevamo- diventa macabro spettacolo e la sofferenza un osceno lievito. I bambini subiscono violenza, apprendono e fanno violenza. La violenza diventa un comportamento appreso, un valore, un modello di vita. L’obiettivo del ragazzo è quello di diventare un leader temuto e rispettato. Forse non ci siamo resi conto del sollevarsi di un processo caratterizzato da una condizione patologica, fatta di barbarie, ignoranza, alfabetizzazione diseducativa e violenza.

Accendere la tv o entrare in rete è come immettersi nel tempio di Marte: si respira un clima intossicato, fatto di violenza psicologica, turpiloquio, odio e invidia. Le risse in tv- dichiarò l’allora presidente della Repubblica, Ciampi, sono ‘il sintomo di una volgarità intollerabile, la prova di un imbarbarimento cui non è estraneo il mondo politico’.

E’ in questo clima che crescono le nuove generazioni, creando danni neurobiologici, psichiatrici e morali, che possono rivelarsi permanenti e irreversibili. Un imprinting rapido e inarrestabile, una impronta lasciata sul cervello”.

Ci può fornire qualche esempio tratto dalla letteratura?

“La letteratura affolla di rappresentazioni del male, che esaltano la violenza, la trasgressione, l’assassinio, l’orgia di sangue e di sesso e le più varie perversioni sadiche. Pensiamo, ad esempio, ad Odralek, strana e repellente figura descritta da Kafka, il quale esprime un’anima priva di umanità, un’immagine costituita da malignità, bassezza e meschinità. Questi stessi sentimenti albergano anche nel protagonista del Demone meschino,il capolavoro di Fédor Sologùb, definito ‘il più perfetto romanzo russo dopo Dostoevskij’. Il mondo, per questo scrittore, è il regno del male, in cui gli esseri umani sono vittime e persecutori. Il male è la meschinità, è la volgarità che sfocia nella brutalità. E’ miseria morale. E’ il demone meschino.

Alla fine, c’è un’ansia di redenzione, volta a cogliere nella bellezza e nell’arte il senso della vita. Una concezione già sostenuta dal principe Myskin, l’idiota di Dostoevskij, che è pure, come concorda Magris, una figura del Cristo, che la bellezza avrebbe salvato il mondo”.

Che cosa fare?
“Oggi, i neuro scienziati sono impegnati, attraverso i metodi di neuroimaging a comprendere la struttura e il funzionamento del cervello. Finora, i dati sono incoraggianti.

Tutti abbiamo il dovere intellettuale ed etico di preliminarmente acquistare coscienza che ci troviamo di fronte a più emergenze: c’è un’emergenza educativa e c’è un’emergenza della famiglia. C’è soprattutto un’emergenza umana. Esiste, insieme con il disincanto della ragione e lo scetticismo assiologico, un vuoto esistenziale, culturale, mentale e morale, che nessuno si preoccupa di colmare.

Ci troviamo di fronte a una condizione umana che proietta un alternarsi di eventi meravigliosi e di fatti orribili e disumani, creando di volta in volta l’Homo sapiens e l’Homo malephicus, il bene e il male. I due principi che da sempre governano l’umanità, come dimostra una vasta letteratura che va dai primi filosofi agli autori moderni e contemporanei”.

C’è infine il silenzio del sacro. C’è un silenzio di Dio.
Occorre operare perché cresca il senso della spiritualità, del sacro e della dimensione del trascendente. Che è oltre l’Io, noi, la società. E’ un’esigenza profonda dell’essere umano, un bisogno universale. Un valore superiore”.

Anna Gabriele

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