martedì 11 febbraio 2025

Francesco Jovine istitutore a Vasto

Francesco Jovine istitutore a Vasto

(dal libro di Antonio Mucciaccio “Il Cantore dei Contadini”)

Tra la fine di novembre del 1919 e il febbraio del 1920, Jovine ebbe un posto da istitutore nel convitto Nasuti di Vasto, che si trovava in via Adriatica. 

Di questo suo primo lavoro egli scrive nel racconto Dieci settimane, che fa parte della prima raccolta pubblicata nel 1940 col titolo Ladro di galline. 

 “Entrò il fattorino postale; si rivolse a me e mi consegnò un telegramma.

L’aprii e lessi: - Sessanta mensili, venga portando materasso…… Dissi a mio padre: - Domani me ne vado.

-    Buon viaggio!

Evidentemente mio padre non mi credeva…. Estrassi dalla tasca il telegramma e lessi: - Vitto, alloggio, duecento mensili; l’attendiamo giovedì….

-    Allora è vero, duecento lire a te? Il mondo s’è rincitrullito…… -  E dove vai, e cosa vai a fare?

-    Vado a M.I. a fare il segretario del collegio maschile….

Dopo cena mia madre andò a prendere la cassa verde che mio padre aveva riportata dall’America…. incominciò subito a riempirla della mia roba e dei miei libri e piangeva silenziosamente…

Partii dopo due giorni verso le otto con uno dei muli di Michele Spinillo. Il vetturale aveva issato la cassetta verde da un lato del basto e dall’altro per contrappeso aveva messo un grosso sasso; io in mezzo vestito di nero, bombetta e ombrello. 

Mio padre che mi aveva dato i soldi pel treno aveva deciso di farmi raggiungere la stazione a cavallo: - Eviti il giro di C.L. (Casacalenda), risparmi soldi e tempo: guadate a Olivoli e in quattro ore siete a Larino.

Issato sul mulo con le corde del basto che mi segavano le cosce, mi reggevo a fatica con una mano sulla pietra che mi feriva il palmo, l’altra sulla cassa.

Il mulo scendeva cautamente verso il fiume (Biferno) perché il sentiero era sdrucciolevole. La mattina era lattiginosa e triste. Un sole esitante illuminava i campi che vaporavano; s’udiva lo scrosciare dei rivoli tra le porchelavorate.

Sotto gli olivi le donne inginocchiate nel fango raccoglievano le rade bacche dimenticate e le nettavano ad una ad una sul grembiule che diveniva via via una crosta grigiastra.

Guadammo ad Olivoli; Michele Spinillo montò in groppa del muloche entrò nell’acqua con la sicurezza fatale che hanno le bestie. Diguazzò per qualche metro e, arrivato al centro del fiume, inciampò e cadde; l’acqua mi montò fino alle ginocchia. Spinillo scese; con un balzo afferrò l’animale per le redini e gli diede uno strattone feroce. 

Il mulo si alzò con un gemito; nella scrollata rischiaidi finire nell’acqua, ma mi cadde solo la bombetta che si mise a navigare sulla corrente con discreta serietà.

Il contadino era molle fino al petto; io ero bagnato fino alle ginocchia e impillaccherato fino al collo dagli schizzi di acqua melmosa. Proposi a Spinillo di sostare in una masseria per asciugarci, ma mi disse, con un sorriso ironico per la mia delicatezza, che fermandoci avremmo perduto il treno e che il sole, che sarebbe montato più alto e sarebbe diventato più caldo, ci avrebbe asciugati. 

Di qui Spinillo incominciò a chiacchierare… mi disse che era forte, che era intelligente, che aveva comprato in vita sua quindici muli, che quello che io cavalcavo era un treno, che lui aveva accompagnato venticinque anni prima, come accompagnava me, l’ispettore forestale che gli aveva parlato in latino per tutto il percorso ed era un signore umile benché importante e che forse, lasciò intendere, io dovevo essere molto fesso perché non parlavo del tutto.

Lui, lui era ignorante perché nessuno gli aveva dato dei libri, ma la testa ce la aveva, nessuno era riuscito mai a fregarlo; lavorava la terra, ma le mani callose, che c’è? Danno da mangiare a tutti e il contadino è figlio di Dio e tutti gli altri sonofigli del diavolo, ma in paradiso ci vanno i fessi e lui era furbo e ai preti non ci credeva; credeva solo a Sant’Antonio che fa tredici miracoli al giorno e protegge i porci; e le salsicce son buone! ah ah!

-                  I galantuomini non vanno in chiesa perché credono che il padreterno ha riguardo per loro e invece che è? Dio li punisce, son tutti alla fame.

-                  Senza la grazia di Dio non si fa nulla; tuo nonno era ricco (Francesco Loreto, nonno materno di Jovine); vedi queste terre? sarebbero tue, ma il governo le ha espropriate, roba del diavolo mio caro, appartenevano a un convento… (S. Maria in Civita).

-                  Tuo nonno (Francesco Loreto) aveva una superbia!  faceva inginocchiare i contadini all’uscio; adesso tutti uguali, il governo dice: chi non lavora non mangia….

Gli dissi: - Voglio scendere. 

Fermò il mulo, piegò rispettosamente il ginocchio per farmi da sgabello e mi sostenne alla vita. Avevo le gambe stroncate; per qualche tempo camminai rattrappito e sbilenco. Il sole era salito sull’orizzonte e veniva asciugando la fanghiglia che, divenuta più dura e saponosa, mi faceva scivolare a ogni passo. Sudavo e avevo freddo; il vestito nero mi si empiva di schizzi grigi fino alle spalle…

In treno mi pulii alla meglio, mi riavviai e mi misi a fumare…

…mi accorsi che avevamo raggiunto il mare (a Termoli). Un mare novembrino tremulo e azzurro, limitato da una lista di nuvole buie non lontane… Arrivai stanchissimo; la stazione era sul mare e M.I. (Vasto) sulla collina. La vettura costava tre lire e io non le avevo: ero salito a piedi…….

A sinistra l'imponente convitto Nasuti
su via Adriatico a Vasto prima della frana del 1956

Il collegio, situato al primo piano di un grande palazzo, aveva l’aria di essere stato messo su con mezzi di fortuna, senza ordine prestabilito…

Il rettore mi chiese cosa sapevo fare, dove avevo studiato e affettò un grande disprezzo per l’istituto dal quale provenivo (la Scuola Normale “Bertrando Spaventa” di Città Sant’Angelo, vicino Pescara). Lui aveva studiato qua e là in Europa e molto alla Sorbona.                      

-  Sorbonne, - tradusse e arrotolò l’erre…

Mi chiamò professore e m’invitò a seguirlo… Aprì una stanza vastissima piena di ragazzi dai dieci ai diciotto anni; forse una ottantina, divisi in tre gruppi….

Il rettore disse rivolto a me: - Lei prende la prima squadra…

I miei ragazzi fingendo di studiare mi guardavano di sottecchi; alcuni con una improntitudine fredda, altri con una esitazione dolce ed umile da agnelli… Mi sorse (la sera) all’improvviso il desiderio di aprire il balcone.  

 

Era comparsa la luna tra le nuvole tetre

e illuminava un tratto liscio di mare.

 

Mare, io li so i tuoi palpiti, mare, io li so gli ondeggi tuoi lenti, sotto i baci nelle notti chiare. Verranno le notti chiare, tiepide, verranno, io ci sarò… (parole in prosa, ma che sono Poesia)

 

Salvo il compito di assistere al pasto dei ragazzi e al loro passeggio, non avevo altri doveri; quando ero libero anche da questo mi abbandonavo alla mia pigra abitudine. Forse avrei potuto procurarmi dei libri, ma non sapevo dove cercarli; quelli che avevo con me li avevo letti tutti… Il mio tempo lo passavo a dormire e a fantasticare… Da casa ricevevo rare lettere, ma non rispondevo a nessuno…

Ognuno dei ragazzi faceva quello che voleva, ed io pure. Cioè nulla. Solo la notte talvolta il confuso chiasso diventava clamore e provocava l’intervento del rettore che, dal cortile, mi chiamava a gran voce, m’invitava ad andar giù e mi cacciava via per la mattina seguente. Io non me ne andavo, lui dormiva ed attendeva la prossima occasione per licenziarmi ancora; ma la seconda volta che mi licenziò lo fece con poca energia, o per lo meno con molto minore energia di quella che sarebbe occorsa a me per andarmene; io me ne accorsi. Ero d’accordo anche con lui. E quello fu uno dei periodi più felici della mia vita…………

Il rettore mi parlò un giorno della mia flemma che gli parve ammirevole e mi aumentò lo stipendio di venticinque lire al mese. Io portai le mie sigarette da quindici a venti…

Andavamo benissimo così; lo pensavo una sera che m’era venuta un po’ di febbre, un ritorno inoffensivo di malaria. Questo ai primi di febbraio in un bel pomeriggio nitido, già tiepido dei sentori della primavera; ero a letto e vedevo attraverso i vetri del balcone il cielo e il mare, nuvole rosa vaganti in alto e il mare liscio verde-azzurro, calmissimo ai miei piedi……….

- Aiuto!  -  Il grido entrò nella mia stanza senza tener conto delle pareti; aveva percorso uno spazio vuoto. Balzai dal letto e mi trovai in un attimo sul pianerottolo. Brunetti penzolava nel vuoto senza fondo delle scale con le mani rattrappite sui cordoni della luce elettrica che arrivavano al sostegno di bronzo della lampadina…

Il medico disse che era da escludersi che la morte potesse essere stata causata dalla corrente; lui, benché la cosa meritasse conferma dall’autopsia, propendeva per la paralisi cardiaca determinata dalla paura.”

(dal libro di Antonio Mucciaccio “Il Cantore dei Contadini”)

 

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