Mercato a Piazza Barbacani di Michele Provicoli |
E’ Natale. Ma la situazione del mondo si complica sempre più e parlare di “amore e pace” in un contesto di guerre e complicazioni varie sembra una vera contraddizione. Invece è proprio nei momenti più drammatici che queste parole dovrebbero assumere un significato ancora più profondo.
Ecco allora rispuntare anche in una comunità come la nostra la necessità di riscoprire i valori veri della solidarietà e della vicinanza verso a chi soffre. Valori questi che noi tutti siamo chiamati a far resistere, per non cedere alla pubblicità martellante per i panettoni e per l'assalto ai negozi per l'acquisto dei regali a parenti e amici.
Fortunatamente nei centri minori, comprese cittadine come Vasto, la festa viaggia ancora su due solidi binari : da un lato il rispetto della cristianità e della sua liturgia ufficiale, dall’altro la festa con i suoi riti antichi e usanze popolari presenti ancora in molte comunità.
Si suol dire che a Natale si torna bambini e quindi è anche bello tuffarsi nel passato e rivivere l’atmosfera dei tempi antichi, anche per capire che tutto sommato anche senza il benessere di oggi la gente comunque era serena e andava avanti secondo i ritmi di antiche tradizioni.
Bello è il ricordo di Giuseppe Pietrocola (1909-2001, farmacista e storico) del Natale a Vasto di un secolo fa, pubblicato su “Il Novecento a Vasto” a cura di Beniamino Fiore.
“Nella nostra città, già dall'8 dicembre, festa dell'Immacolata, si sentiva nell'aria l'approssimarsi del Natale” ricorda Pietrocola. “Nel corso de Parma le pasticcerie dei fratelli Martone e di Corto Lungo gareggiavano nella esposizione dei torroni, di loro produzione, che facevano leccare le dita. Davanti alle vetrine di don Carlo Anelli e di Peppino Reale, alias "Pasticce", noi ragazzi facevamo codazzo per ammirare, nella prima, i giocattoli allora in voga: cavallucci di carta pesta, carrozzelle, soldatini di piombo, fucili, sciabole, trombette, bambole, palle di gomma, trottole e le statuine per il presepio ("li pizzarille"); nella seconda: libri di favole e di avventure, il "gioco dell'oca", comunemente detto "la quattr'e ccènche", quello della tombola, colori a pastello, ecc.”
Nei giorni che precedevano immediatamente quelli festivi si notava un'animazione insolita in tutte le attività commerciali ed artigiane. “Le botteghe dei generi alimentari rigurgitavano di ogni ben di Dio; davanti agli ingressi erano esposti: barili di aringhe e di sarde, baccalà e stoccafisso, salsicce, "figatèzze" e "nnùjje". Tra tutte le strade cittadine quella di Portanuova (corso Palizzi) primeggiava per il numero dei negozi di generi alimentari i quali si servivano della loro inconfondibile "raison sociale" (i nomignoli) per fare maggiormente apprezzare la genuinità e la bontà delle merci in vendita”.
E così continua il dott. Pietrocola: “Le macellerie esponevano, appesi ad appositi ganci, gl'inferiori e le teste degli animali macellati. La piazza Barbacani (FOTO), più del solito, si trasformava in un tappeto di cesti e di sacchi contenenti frutta e verdure: mele, arance e mandarini, meloni d'inverno, "pine", "pèttine" di fichi secchi, mandorle, noci, cime di rape ("li vrùcchele di rape"), cavolfiori, verze, cardi, finocchi, lattuga, insalata riccia ("la scaréule"), "chicòccia ggèlle", "pepitrèite". I medesimi ortaggi invadevano, in determinati giorni, anche la piazza Lucio Valerio Pudente, fino al palazzo d'Avalos. La piazza Umberto I d'attuale piazza del Popolo), ordinariamente adibita a mercato ittico ("La piazze de lu puàsce"), faceva sfoggio prevalentemente di cassette di anguille e di capitoni e di... strilli dei venditori. Gli artigiani, specialmente i sarti, i calzolai ed i barbieri non avevano orario da osservare per l'apertura e la chiusura delle botteghe. Tutti erano intenti a lavorare alacremente, anche fino a notte inoltrata, al chiarore scialbo di un lume a petrolio, per mantener fede ai loro impegni. Non parliamo poi del gran da fare che avevano i fornai durante le feste natalizie. Ai forni era un continuo affluire di scatole di dolci: taralli ripieni, biscotti, mostacciuoli, e di tegami di rame con polli; tutta roba che faceva venire l'acquolina in bocca e faceva girare la testa a chi passava davanti ai forni. Le nostre nonne e le nostre madri erano veramente maestre d'arte culinaria!”
Poi Pietrocola continua con i ricordi dei Presepi, della Vigilia, del Capodanno, della Predica di Fabbrezie e dell’Epifania.
Tutte accurate descrizioni sulla Vasto di un secolo che fanno capire quanto sia cambiato il mondo nel giro di 100 anni. L’evoluzione tecnica va bene, quello che non va bene invece, e molti rimpiangono, è la perdita dei “sani valori di una volta”.
Buon Natale a tutti.
NICOLA D’ADAMO
Raccolta tradizioni natalizie di Vasto ecco il link
https://noivastesi.blogspot.com/2024/12/il-natale-vasto-ecco-21-articoli-con.html
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