Frana 1956: quei
dieci metri di falda acquifera sotto Vasto!
Ogni anno il 22 febbraio ci ricorda la data di inizio della disastrosa frana del 1956 che portò via una parte del quartiere di San Pietro su via Adriatica.
La storia è ormai nota e conosciuta da molti, ma c’è un aspetto che merita un approfondimento: il ruolo della ricca falda acquifera sotto il centro storico, che è all’origine dei nostri guai.
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Per fare questo ci avvaliamo di un resoconto di grande rigore scientifico pubblicato su “Rassegna dei
Lavori Pubblici” (ottobre 1961 pagg. 1075-1088 ) a firma di Giuseppe Vecellio dal titolo “Le opere di consolidamento della frana di Vasto”.Nel documento tutti i passaggi del difficile intervento per il “consolidamento di difficilissime masse in frana mediante cunicoli e adatti drenaggi profondi”, a cui parteciparono i migliori studiosi nazionali dell’epoca.
Prima operazione: i sondaggi geognostici per analizzare il suolo in profondità e conoscerne la sua stratigrafia e le sue caratteristiche geologiche e geotecniche.
Nella cartina i risultati del sondaggio n.15 fatto in Largo Quattro Forni, all’interno del centro storico.
Con il rilievo si scoprì che la piattaforma su cui poggia Vasto è costituita da circa 12 metri di sabbie giallastre; da 3 metri di sabbia grossa mista a pietre; da 18 metri di sabbia a contenuto argilloso, con alla base una ricca falda acquifera di circa 10 metri (da 103,70 a 113,35 metri sul livello del mare); ed infine da uno strato di solide argille. E più in dettaglio che “la formazione sabbiosa era interessata da una falda acquifera di notevole intensità”, al di sopra delle argille compatte. Altre decine di sondaggi confermarono gli stessi dati.
Gli studiosi capirono subito cosa avveniva sotto il costone di via Adriatica. In sostanza l’acqua della falda e le precipitazioni invernali facevano ammorbidire il terreno fino all’impenetrabile strato di argilla compatta; ed essendo il suolo in pendenza verso il mare la terra scivolava facilmente sull’argilla provocando danni enormi, portandosi dietro anche il muraglione e le prime case poste sul ciglio di via Adriatica.
Così dopo altri studi, si decise di costruire una galleria drenante per tutta la lunghezza del piede della frana per l'intercettazione delle acque della ricca falda, in modo che non creassero movimenti franosi a valle. Si scelse anche di costruire la galleria nel solido strato di argilla asciutta al di sotto della falda acquifera e per captare le acque furono fatte delle trivellazioni dal terreno sovrastante fino alla volta della galleria con buchi da 52 cm riempiti di ghiaia che avevano funzione drenante canalizzando l'acqua dentro la galleria.
Un aspetto particolare a cui gli studiosi prestarono molta attenzione fu il temuto abbassamento della piattaforma su cui poggia il centro storico: “occorreva mantenere indisturbata la falda per tutta la zona sottostante l’abitato (vale a dire non provocare l’uscita dell’acqua più intensamente ndr), onde evitare fenomeni di “subsidenza”: infatti una accentuata depressione della falda avrebbe potuto provocare assestamenti del banco sabbioso con conseguente instabilità di altri fabbricati sovrastanti.”
Per questo motivo la soluzione finale fu questa: “la falda acquifera veniva controllata alla quota di fuoriuscita naturale (sotto il costone ndr) mediante uno spesso strato filtrante tra parete naturale e muro; ed evacuata fino alle gallerie drenanti”.
Ma quanta acqua raccoglievano le gallerie? Il resoconto di Vecellio sottolinea che : “il setto drenante si manifestò efficiente, captava le acque freatiche contenute nella massa rimaneggiate a monte delle gallerie convogliandole nei cunicoli che a loro volta le scaricavano nel fosso Tubello: la portata misurata infatti si aggirava tra 5/6 litri al secondo, come era stato accertato dalle osservazioni del professor Ventriglia nel 1956”.
Non sappiamo se la portata di oggi è la stessa, ma 5/6 litri al secondo sono 360 litri al minuto e 21.600 litri/ora … Quasi quasi potrebbe risolvere in estate la perenne crisi idrica di Vasto Marina!
Nicola D’Adamo
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