Rilanciamo un interessante articolo dell'amico AMEDEO ESPOSITO, giornalista dell'ANSA, scrittore e storico aquilano, decano del giornalismo abruzzese, venuto a mancare a novembre 2019.
L' articolo fu pubblicato su "VastoDomani" nel 1988, centenario della morte di Giuseppe Palizzi.
di AMEDEO ESPOSITO
Ci sono filosofi (Arthur
Schopenhauer, ad esempio) ed artisti che sono considerati inattuali, perché
muoiono col loro tempo, in quanto agirono contro il tempo in cui vissero come
vuole una nota definizione di Nietzsche. Uno di questi sembra essere Giuseppe
Palizzi, il pittore abruzzese che, con gli altri suoi tre fratelli Filippo (il
più noto), Nicola e Francesco Paolo, partiti da Vasto, svolse un ruolo
d'avanguardia nel campo delle arti figurative dell'ottocento napoletano e
francese.
Va detto sembra perché due circostanze, degli ultimi mesi, paiono smentire l'inattualità della pittura di Giuseppe Palizzi, definito “il pittore abruzzese di Parigi”. La prima si riferisce alla vendita da parte della Sotheby's di Monaco di dipinti e disegni antichi dell'800, fra cui uno attribuito al Maestro abruzzese.
La seconda circostanza ci è
data dalla ricorrenza quest'anno, oltreché della morte di Gabriele D'Annunzio e
di Ignazio Silone, anche di quella centenaria (Passy Parigi 14 gennaio 1988)
del Pittore abruzzese-napoletano-parigino, la cui arte passò dai valori lirici
e romantici della Scuola di Posillipo al verismo francese del gruppo di
Fontainebleau.
Resta ancora l'interrogativo:
come mai i quattro fratelli Palizzi, da una città di provincia (Vasto) che non
era certo tra le più avanzate del Regno delle due Sicilie riuscirono a formarsi
alla migliore pittura del tempo?
Paolo Ricci nel suo “I
fratelli Palizzi” (Bramante Editrice -1960) sostiene che Giuseppe (nato a Lanciano
il 19 marzo 1812), Filippo, Nicola e Francesco Paolo (questi tre nati a Vasto)
ebbero la fortuna di vivere nella Vasto Carbonara di Gabriele Rossetti, padre
di quel Dante Gabriel Rossetti che fu l'ideatore e animatore del Cenacolo
londinese dei Pre-Raffaelliti. In questo ambiente, ch'ebbe sempre Napoli come
punto di riferimento per la vita politica, economica e culturale, v'era
qualcosa dì pungente - osserva Paolo Ricci - di vivo, di moderno nell'aria, se
questi quattro Fratelli hanno potuto svelare a se stessi le loro segrete
aspirazioni e scoprire immediatamente il loro talento naturale.
La civiltà artistica dei
Palizzi è dunque dovuta all'ambiente vastese del primo ottocento, di tendenze
laiche, liberali e democratiche; tendenze che ebbero un forte impulso nel
decennio napoleonico, liberando imprevedibili energie e umori segreti della
gente vastese del tempo.
Fu Giuseppe il primo dei
fratelli a lasciare (1836) Vasto per recarsi a Napoli. Fu ammesso, come gli
altri tre successivamente, nell'Istituto di Belle Arti al cui direttore,
Antonio Niccolini, fu segnalato dal Ministro per gli affari interni del Regno
di Napoli, Santangelo.
Seguì i corsi del maestro
olandese Pitloo, iniziatore del movimento pittorico moderno napoletano della
Scuola di Posillipo della quale, oltre ad un altro artista vastese Gabriele
Smargiassi, che la guidò per anni, i quattro Fratelli furono i più accesi
animatori.
Emilio Cecchi sostiene che
nel modo di riportare, da parte di Giuseppe e Filippo Palizzi, la pittura del
paesaggio nel plein air, c'è un barlume delle occasioni compositive d'un
Caravaggio e di un Battistello.
I Fratelli Palizzi vissero
anche il clima posillipiano che seppe creare il pittore russo Silvestre F.
Scedrin (che operò a Napoli dal 1820 al 1830) le cui opere sono esposte solo a
Leningrado e Mosca.
Vissero, tutte e quattro, le
difficoltà esistenziali del tempo, prima di divenire famosi ed affermati
artisti. Giuseppe - scrive Paolo Ricci - bello, elegante, dimenticava la fame
inseguendo le ballerine del San Carlo. Diversi erano Filippo e gli altri due
fratelli.
Questa diversità forse è il
motivo che spinse Giuseppe Palizzi a percorrere la via verso Parigi naturale
sbocco delle aspirazioni e delle delusioni degli artisti napoletani del tempo,
e dove Gabriele Smargiassi mieteva lusinghieri successi con altri noti pittori.
Nel 1848 debuttò nel Salon di quell'anno con L'accampamento di zingari del 1845, ora nella Galleria d'Arte
moderna di Firenze, ed altre opere che, pur rifacendosi ancora a schemi
compositivi settecenteschi, denotarono l'insegnamento di Coubert e di Corot e
quel candido naturalismo che è qualità tipica della famiglia Palizzi. Nel 1855
all'Esposizione Universale presentò uno dei suoi dipinti più completi: Une vendange. A Parigi aderì al gruppo
dei naturalisti di Barbizon (i pittori che dipingevano all'aria aperta
recandosi appunto a Barbizon) per confluire poi in quello di Fontainebleau.
Quelli trascorsi in Francia furono anni molto importanti per Giuseppe Palizzi
per le cui opere, conservate nei più noti musei europei e francesi come quello
di Rouen, fu insignito anche della tanto desiderata Legion d'Onore.
La vendita all'asta del 1889
della collezione del fratello di Vincent van Gogh comprendeva anche un Gardeur de chèvres di Giuseppe Palizzi.
Non poche sono le opere
esposte nel Museo civico di Vasto, fra cui i ritratti dei familiari e la scena
romantica.
Fu dunque pittore di grande
valore prima a Napoli e poi a Parigi, dove concluse la sua missione pittorica
con opere di eleganza giapponese, con giuoco formale, raffinato e decorativo,
quali sono La foresta di Fontainebleau,
esposta nella Galleria d'arte Moderna di Roma, e la Scampagnata a Fontainebleu conservata nell'Accademia di Belle arti
di Napoli. I suoi palcoscenici, per presentarsi al mondo pittorico
internazionale del tempo, furono indubbiamente i Salon organizzati a Parigi
dove si scoprirono i talenti che successivamente fecero la storia della pittura
mon-diale moderna.
Giuseppe Palizzi - come
scrive Amalia Mezzetti sul "Bollettino d'arte" del Ministero della
Pubblica Istruzione del 1955 - con la sua opera incise sull'indirizzo artistico
del fratello Filippo che fu alla testa del rinnovamento della pittura
napoletana.
Quest'ultimo sopravvisse agli
altri fratelli fino a 81 anni (morì nel 1899), per cui di tutti raccolse
l'eredità spirituale. Cercò di far tornare Giuseppe da Parigi nel 1884 perché a
72 anni - come scrisse - non vi è più da sperare nulla in questo mondo.
Giuseppe invece rimase in Francia, completamente da parte e privo di qualsiasi
legame con l'attività reale dell'arte francese e incapace di accorgersi di ciò
che era esploso intorno a lui, trattenuto dalla sua falsa convinzione che a
Passy, dove morì a 76 anni, sarebbero continuati a giungere a lui i
"bagliori" di Parigi.
AMEDEO ESPOSITO
Tomba di Giuseppe Palizzi a Parigi Cimitero Père Lachaise, dove sono sepolti tutti i più noti personaggi francesi e tanti ospiti stranieri famosi. |
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