giovedì 8 luglio 2021

Storia del Ristorante IL PALATINO (1973-2005): piatti della tradizione, genuinità degli ingredienti, ambiente familiare, questi i segreti del successo!

I titolari de "IL PALATINO": il compianto Vincenzo Bellafronte
con la moglie Assunta Stivaletta, da noi intervistata 
di NICOLA D'ADAMO

Ci sono ristoranti a conduzione familiare, senza cuochi stellati, che fanno grande fortuna. Dov'è il segreto?

Il segreto sta in una formula molto semplice: chi sta in cucina conosce molto bene i piatti tipici della zona e la qualità degli ingredienti; chi sta in sala sa come accogliere i clienti e farli sentire a casa propria.

A conferma di questo concetto vogliamo raccontarvi la storia del Ristorante Il Palatino di Vincenzo Bellafronte e Assunta Stivaletta in attività in via Catone (angolo via Euripide) a Vasto dal 1973 al 2005.


Ringraziamo Benito Pugliese, giovane nipote della coppia, per averci messo in contatto con nonna Assunta Stivaletta (Vincenzo Bellafronte è venuto a mancare a novembre scorso) e con gli zii Francesca e Nicola Bellafronte, i quali con ampia disponibilità hanno fornito notizie e foto per questo articolo.

La storia di Vincenzo Bellafronte e Assunta Stivaletta inizia il 29 dicembre del ‘60, quando si sono sposati e sono andati ad abitare a Miramare, o meglio in una casa di Spadaccino sotto il pino di via Tre Segni, che una volta era l’inizio di via Fonte Joanna che portava dritto alla vecchia stazione.

Bellafronte lavorava da quando aveva 15 anni per don Ciccio Pomponio e per suo figlio Vincenzo, i quali oltre ad avere il locale del Miramare, avevano
Foto storiche >>>
una fiorente attività di fiori e piante, con attrezzato vivaio nella parte sottostante di via Tre Segni. (Don Ciccio è stato quello che negli anni’20 ha realizzato la Villa Comunale di Vasto).

“Mio marito faceva il giardiniere - racconta Assunta Stivaletta - ma oltre a coltivare i fiori nel vivaio doveva anche preparare le corone per i funerali. A me fu chiesto di preparare la fascia con il nome di chi donava la corona o il cuscino. Io ero libera e questo lavoro me lo facevo a casa”.

Molto curioso il modo in cui la coppia Bellafronte-Stivaletta si ritrova nel campo della ristorazione.

IL LAVORO AL MIRAMARE

Don Vincenzo Pomponio amava fare le cenette con gli amici, i cosiddetti “ciambotti”.“Un giorno - ricorda Assunta - viene a casa, mi porta i nomi per la fascia delle corone e mi dice che il sabato ci sarebbe stato un pranzetto con gli amici a Miramare e che io sarei stata la cuoca…”. “Don Vincé, a me stu guajje!?” “Solo tu me la puoi preparare questa cena - fu la risposta - vedrai che andrà bene, non cucini per casa tua?” Dopo tante insistenze, non mi rimaneva che accettare”.

“Così andò a prendere i polli vivi, mise a disposizione la cucina del ristorante e mi disse che dovevo farli “alla cacciatora per 15 persone”. Con impegno riuscii a cucinare i polli e il pranzo fu molto gradito. Il suo complimento fu: “Mo’ la rifaceme!”. Così a quella cenetta ne seguirono molte altre nel sabato sera delle settimane successive. Forse si era sparsa la voce e la gente cominciava a venire”.

“Allora don Vincenzo mi fece una proposta: “Tu e tuo marito dovete seguirmi l’attività del ristorante, i lavori del vivaio e delle corone li faccio fare ad altri”. “Ma io non sono una cuoca…” ho risposto. “Non fa niente, tu cucini bene e vedrai che ci riesci!”. Così da un pranzetto passammo ai matrimoni, alle comunioni, alle feste danzanti, agli eventi della città! L’esperienza la feci sul campo man mano che si andava avanti”.

Da aggiungere che all’epoca Miramare - con la sua stupenda terrazza sul mare - era già noto, specialmente come locale per le feste con una capienza di oltre 100 posti a sedere. Se c’erano pranzi, come ad esempio ai matrimoni, Pomponio chiamava a cucinare donne che in città facevano questo mestiere. Ma si rese conto che con il boom economico (siamo agli inizi degli anni ’60) si poteva avviare un’attività stabile di bar, ristorazione e dancing.

Così impegnò i coniugi Bellafronte in questa attività che richiedeva grande attenzione alla qualità del cibo e al servizio. La coppia reagì bene a questo nuovo mestiere, acquisì competenze, specializzandosi in particolare nella preparazione dei pranzi di matrimoni con una infinità di portate. Il locale era bello e dopo il pranzo si aprivano le danze con la musica di un complesso. Assunta ricorda quello in cui c’era Ritucci il falegname, da tutti conosciuto come “Fortezza”, come batterista.

Ma al Miramare d’estate c’erano molte feste danzanti, tra cui quelle dell'Azienda di Soggiorno e Turismo. In queste occasioni giungevano personaggi famosi. Assunta ricorda di aver incontrato Mike Bongiorno, Enzo Tortora e molti cantanti famosi. Negli altri momenti dell’anno comunque si lavorava molto, non c’erano locali così belli e capienti a Vasto. Così dopo 5 anni Vincenzo Bellafronte e Assunta Stivaletta decisero di rendersi indipendenti ed avviare una attività in proprio.

IL PRIMO RISTORANTE ALLE ACLI

Trovarono un locale presso la sezione ACLI in via Anelli, che era adibita a cantina per i lavoratori. “Don Michele Zaccardi ci rassicurò - ricorda Assunta – questi non verranno più qui a bere e poi se voi volete abbiamo altre stanze per la cucina, possiamo aggiustare tutto. Così, anche se locali erano piccoli, ci siamo adattati, e aprimmo lì il nostro primo ristorante”.

Mentre Assunta curava la cucina, Vincenzo con crescente spirito imprenditoriale gestiva tutto il resto.

“A quei tempi si era aperta la SIV e la gente veniva a mangiare. La cucina locale era molto gradita. Decidevamo noi quali piatti servire, quali fornitori utilizzare, scegliendo sempre coloro che avevano prodotti genuini e di prima qualità. Si lavorava molto e anche se dovevamo pagare l’affitto, si guadagnava bene. Così andammo avanti per altri 5 anni.”


GLI ANNI DEL "PALATINO" IN VIA CATONE

Ma gli spazi disponibili non permettevano di ampliare l’attività. Così, avendo Assunta un pezzo di terreno edificabile su via Euripide (allora in piena espansione siamo intorno al 1970), la coppia pensò di darlo in permuta ad un costruttore e prendere loro il piano terra per l’attività e lasciare a lui i piani superiori per gli appartamenti.

Una curiosità sul nome del nuovo ristorante.

Il nome “Palatino fu suggerito dal pittore Nicola D’Adamo (ora conosciuto come “Il D’AdAmo”) che poi affrescò anche le pareti. “Qualche annetto fa - ricorda il pittore - la salitella che conduce a via Euripide mi fece pensare al "Sacro colle romano il Palatino", forse influenzato dalla mia nuova vita romana, dal 1969. Così coniai il nome, dipingendo poi alcune configurazioni di "carattere metropolitano", lungo una parete di oltre 10 metri. Si trattava di una veduta allegorica di angoli e personaggi attinenti al "vademecum culinario". Una sequela delle scenette che si estendeva per tutta la parete”.



Il Palatino sin dall’inizio partì con il piede giusto. Era il 1973. Vincenzo Bellafronte e Assunta Stivaletta ormai avevano oltre 10 anni di esperienza nel campo della ristorazione e sapevano come gestire un locale.

Assunta affinò il suo mestiere di cuoca, Vincenzo si occupava dell’organizzazione e della direzione dell’attività: acquisti dei prodotti, gestione della sala, prenotazione di banchetti (scegliendo con i clienti i menu e fornendo preventivi), cura della noiosa parte burocratico-amministrativa, soluzione dei mille problemi quotidiani.


Il punto forte del Palatino era: la genuina cucina casereccia al prezzo giusto, con porzioni estremamente abbondanti.

Il ristorante è andato avanti fino al 2005.

“Abbiamo lavorato tantissimo - ricorda Assunta – da soli non ce la facevamo, abbiamo avuto collaboratori e per un periodo anche mio figlio Nicola. Il locale poteva contenere oltre 100 persone e facevamo pranzi per tutti i tipi di feste: matrimoni, battesimi, comunioni compleanni, ricorrenze varie, cene di amici e via dicendo. Non solo. Avevamo anche convenzioni con alcune aziende come servizio mensa. Venivamo i dipendenti della Galbani; divisi in diversi orari quelli dell’Agip/Snam che lavoravano a Cupello su 3 turni. Per almeno 10 anni abbiamo avuto una convenzione con l’Enel per la mensa a mezzogiorno per una ventina di persone, operai e amministrativi. Negli ultimi anni, nel periodo delle votazioni, portavamo anche pranzo e cena per le forze dell’ordine di servizio ai seggi elettorali”.

Durante la settimana il lunedì e martedì era il giorno dei rappresentanti, dei commessi. Poi passava la gente comune e parecchi turisti durante l’estate.

Particolare è la descrizione di una festa di matrimonio.

All’arrivo della sposa alla salita di via Catone partiva la musica. Avevano un juke box. All'aperto, al terrazzino, si facevano tutti gli aperitivi. Poi ci si sedeva.

“Si cominciava con l’antipasto all’italiana - ricorda Nicola Bellafronte - mio padre acquistava salumi in grande quantità, prosciutti, ventricina, salami nostrani, ungherese, formaggi, sottaceti. A seguire il tris di primi: lasagna, spaghetti alla chitarra, cannelloni. Poi il tris di carne: agnello, pollo, coniglio, con relativi contorni. A volte con qualche variante, per esempio alcuni prendevano la galantina con i piselli. Infine il sorbetto. Ma si ripartiva subito con la frittura di pesce e con l’arrosto di pesce. E poi per quelli più mangioni …a chiusura anche la porchetta con l’insalata. Poi frutta, dolci, torta, caffè e liquori! Simpatiche le porchette giganti con i limoni ficcati in bocca! Dopo le foto di rito, per decidere la dimensione del pezzo da dare ad ognuno venivano chiamati in cucina i genitori degli sposi!”.

“Da annotare anche un’altra usanza: “C'erano anche quelli che facevano il “ricevimento”. Finivano a mangiare, andavano a casa, si cambiavano, ritornavano e incominciava a ballare con il complesso fino a tarda serata. Io aiutavo mio padre fino all’1, alle 2, anche se a mezzanotte e mezza la musica doveva finire, i vicini dovevano dormire!”.

Tra le altre usanze dei matrimoni non si può non parlare di quello che oggi chiamano “doggy bag”. Anche perché nei decenni scorsi il metro di giudizio della gente sul pranzo di matrimonio era basato sulla quantità di cibo che i commensali riuscivano a portarsi a casa!

“Prima si passava con la carta oleata e con le buste - ricorda Assunta - ma negli ultimi decenni ci chiedevano i contenitori in stagnola molto più idonei!”

Ma cosa succedeva in cucina quando c’erano pranzi matrimoniali per 100 persone con tutte queste pietanze?

“Cucinavo io, con un po' d'aiuto - ricorda Assunta - A volte mi sono fatta aiutare, da alcune signore - abbiamo anche una foto con la squadra di sei donne anziane – altre volte ho chiesto aiuto in famiglia. Le mie figlie, Marina e Francesca, mi aiutavano in cucina al bisogno, quando mancava qualche signora che solitamente collaborava o durante le festività, periodo di intenso lavoro e queste ultime esprimevano il bisogno di ritornare nelle loro famiglie con un po' di anticipo”.

“In cucina il lavoro era tanto, specialmente nei matrimoni,  con 100 persone. Ci sono stati momenti in cui andava anche di moda un polletto a testa, quelli di 500-600 grammi, ripieno con interiora e petto, mandorle uova e formaggio. Un altro periodo andavano di moda le quaglie per fare il tris con coniglio e agnello. E sulle quaglie c’è un fatto curioso che vi voglio raccontare”.

Cos’è successo?

“Un cliente al pranzo di nozze ordinò le quaglie. Marcucci di Pollutri mi convinse a prenderle vive e tenerle io un paio di settimane, datosi che avevo una stalletta nella vecchia casa al di sopra di via Euripide. Così le presi, davo loro da mangiare, tenevo pulita la stalla, fino ai giorni della festa. Macellare tutte quelle quaglie, spennarle, pulirle, fu una vera pazzia! Iniziai alle 4 di mattina ma non finivo più!”

Alla domanda se tutti i clienti sono stati bravi pagatori, Assunta ha così risposto: “Qualche buggeratura l’abbiamo avuta, ma ci stava anche chi non poteva, e poi onestamente ci ha pagato un po’ alla volta. C’è stato anche qualcuno che ha avuto il rimorso di coscienza. Una volta vidi arrivare dopo anni uno che non ci aveva pagato. “Con che faccia questo di ripresenta qui?” mi sono detta ed ho chiesto: “Adesso che ti serve?”. “Niente signò, ti voglio pagare quello che ti devo da tanti anni!” così mi ha pagato.

Nel 2005 cessa l’attività del Palatino.


CUCINA DA ASPORTO IN  VIA OMERO

“Tenevamo un ampio magazzino dall’altro lato, alla discesa di via Omero. Le attrezzature della cucina e i frigo li spostammo lì. I clienti più affezionati ci cominciarono a chiedere piatti tipici da asporto, come le lasagne e i polli ripieni. Vincenzo mio marito non poteva lavorare più, ma un po’ di lavoro una decina d’anni l’abbiamo pure fatto!"

Nel 2017 abbiamo chiuso definitivamente.

Ma la gente continuava a chiamare. Come nel caso di un affezionato cliente che voleva per forza le lasagne per i nipotini. Nonostante le insistenze Assunta disse di no. Il poveretto andò da un altro ristoratore, ma dovette buttare la pietanza perché i nipotini non la gradivano. Ad una nuova telefonata Assunta, con umana comprensione, acconsentì e fece felice il cliente preparando le lasagne per il compleanno del nipote. Giura che questa è stata l’ultima volta…ma mai dire mai!!!

Vincenzo Bellafronte è venuto a mancare il 25 novembre 2020.

Il Comune di Vasto ha concesso negli anni scorsi un attestato di benemerenza per l’attività svolta. Un riconoscimento istituzionale ben gradito, ma ancor più gradito un riconoscimento informale da parte di una numerosa famiglia napoletana che ogni anno d’estate pranzava sempre al Palatino: “A ferragosto è venuto questo signore e mi ha portato una coppa con il mio nome”, dice Assunta. “Un attestato di stima a conferma del lavoro svolto e delle buone relazioni con la nostra clientela!” Sono questi i ricordi più belli di un’intera vita di lavoro!

Nicola D’Adamo


Galleria fotografica 
(Archivio famiglia Vincenzo Bellafronte e figli)

Nessun commento: