lunedì 21 giugno 2021

Quando le feste di matrimonio si facevano al Miramare

Foto Collezione Ida Candeloro

 Un matrimonio a Miramare

di ENZO LA VERGHETTA

Per i vastesi che hanno già superato il mezzo secolo, Miramare, è un nome familiare che risveglia dei ricordi. Un mix fra un bar, una sala da ballo e luogo per ricevimenti, su via Tre Segni all’altezza del pino, confinante con l’accesso a una strada rurale, via Fonte Joanna,  che conduceva  al mare attraversando alcuni orti vastesi. Purtroppo, intorno al 1960 una  frana ha lentamente inghiottito la stradina creando un alto dirupo.
Una posizione incantevole e strategica da cui ti affacciavi sul golfo vastese. Gestito don Vincenzo Pomponio, un personaggio conosciutissimo in quegli anni. Consigliere comunale e assessore per qualche legislatura.

Era nipote, di cui portava il nome, di un autorevole sacerdote, burbero ma carismatico che aveva insegnato a tanti vastesi. Una sua battuta fa parte delle storie locali. Una donna si rivolse a lui chiedendo un consiglio per la figlia, che era andata oltre i casti baci. La donna chiedeva come mettere “una pezza” al danno, la sua risposta fu:” Che ci vu fà, è sempre arepezzate”.

Il locale, fino ai primi anni ’60, era il luogo classico dove festeggiare: matrimoni, feste di carnevale, veglioni di fine anno ecc.Credo di non sbagliare dicendo che tutti quelli che hanno superato il mezzo secolo, almeno una volta, sono stati ospiti di questa struttura.
Per una giovane coppia di sposi, ritrovarsi a Miramare era la degna conclusione del rituale di quella giornata di festa.
Il pranzo di nozze non era ancora di moda, anche per problemi logistici, i ristoranti non erano ancora pronti a gestire tanta gente, e poi c’era il non trascurabile risvolto economico, molto veniva prodotto in economia.

Dopo la cerimonia in chiesa, mentre gli sposi si recavano alla villa comunale per le foto di rito, gli invitati fluivano lentamente al Miramare per il “rinfresco”.

Gli invitati venivano accolti da un’orchestrina, che introduceva ad un’atmosfera gioiosa. Le giovani band non erano ancora scese in campo. Ci si affidava a ormai maturi artigiani, che da ex bandisti, quel pomeriggio riprendevano i loro strumenti: una batteria, una fisarmonica, un sassofono e una chitarra. Le famiglie prendevano liberamente posto nei tavolini disseminati nella sala, in attesa degli sposi. Lo spazio era sufficiente per consentire ai giovanissimi delle scorribande liberatorie, compensavano l’essere stati imbrigliati durante tutta la messa.

I ragazzi, cominciavano a liberarsi del cravatta che accompagnava il vestito per la festa comprato spesso per l’occasione. Il secondo passo era depositare presso la mamma anche la giacca imposta per l’occasione. Ormai, loro malgrado, dovevano cedere all’insistenza di chi, già grondante di sudore, supplicava di liberarsi di quegli ormai inutili fardelli, portando, come esempio, chi aveva già vinto quella battaglia.

Quando l’attesa degli sposi si prolungava e la gente dava segni di insofferenza, i genitori degli sposi si vedevano costretti ad introdurre nella sala i primi giri di vassoi con le prime delizie.

Dalla dispensa uscivano i primi assaggi, rigorosamente fatti in casa, direttamente dai parenti o da qualche signora specializzata, le classiche pasticcerie arriveranno successivamente. Per non sollecitare a vuoto le papille gustative, tralascio la descrizione di dolci e salati che percorrevano su ampi vassoi la sala con un ritmo incalzante, spesso scortate dai ragazzi sempre in prima linea. Niente nouvelle cuisine, ma solo sperimentati prodotti casarecci. Fra un assaggio e l’altro, si valutavano i prodotti offerti. Le signore giudicavano con discrezione eraffrontavanoquanto offerto con i precedenti matrimoni, qualcuna si informava sulle ricette. Dopo tanti flash nei posti più romantici e nelle classiche pose suggerite dal fotografo, finalmente arrivavano gli sposi. Erano presi d’assalto dalle signore che si complimentavano per il vestito della sposa, l’uomo poteva tranquillamente allontanarsi. Finito l’esame i festeggiati si concedevano agli altri invitati, per ricevere i dovuti complimenti, anche perché le “spose erano e sono tutte belle”. La mamma della sposa, come un’ombra, era sempre all’erta e seguiva con orgoglio “quel capolavoro”, tutta intenta a controllare e risistemare l’abito per i prossimi scatti fotografici. E condivideva anche con la mamma dello sposo i complimenti per l’eleganza degli sposi e per l’organizzazione della festa.

Finalmente, si aprivano le danze. La festa poteva avere inizio, dopo il primo ballo degli sposi gli invitati potevano scendere in pista ed esibire il loro intero repertorio. La vera rivelazione della serata erano le coppie non più giovanissime, che inaspettatamente piroettavano con maestria e agilità, vecchia scuola sempre valida. I giovani, al contrario spesso rivelavano carenze tecniche che cercavano in vano di mascherare, qualcuno si nascondeva in prolungate chiacchierate.

Il ballo è sempre stata un’attività non confacente ai mariti. Da fidanzati, fingendo di divertirsi, avevano calcato le piste con un simulato entusiasmo, ma ora avevano fatto la loro parte, si erano anche appesantiti e le vecchie performances erano sempre più un ricordo. Molti si fingevano impegnati su argomentiimportanti. Si approfittava per salutare parenti e amici che non incontravano da tempo, qualcuno per scelta.

Le mogli, volevano al contrario scendere in pista, in fondo queste erano le uniche occasioni che si ripresentavano dopo il fidanzamento.C’era anche chi non si arrendeva, e indispettita dai continui rifiuti del coniuge si coalizzava e ballava con altre compagne di sventura, poipartiva velata minaccia a chi aveva rinunciato al proprio dovere di consorte, si mostrava indifferente.

Anche i ragazzi, incominciavano goffamente a imitare nella danza gli adulti. Questo dopo essersi rimpinzati con quanto erano riusciti a racimolare dopo ripetuti assalti ai vassoi, effettuati con aria indifferente malgrado le occhiatacce delle mamme, che erano costrette a scusarsi con presenti: “sembra che non hanno mai visto la grazia di Dio”.

Gran finale: la torta. Tutti aspettavano, le signore con i piedi doloranti per quelle belle scarpe nuove ancora troppo strette e i mariti che avevano affrontato tutto il discutibile. Il complessino chiudeva accompagnando i ripetuti auguri ele grida: “Bacio, bacio” e poi tanti hurrà dei presenti,pronti per il brindisi finale e la loro fetta di torta. Era anche l’occasione per il discorso e brindisi agli sposi di qualche invitato, talvolta traspariva qualche bicchiere di troppo. Immancabile giro finale dei confetti. Gli sposi si avvicinavano ai tavolini per dispensare una manciata di confetti e la bomboniera scelta con cura e tante discussioni. Era l’atto finale di un pomeriggio/ serata passata in allegria con tanti amici e tanta gioia da trasmettere agli sposi. Che anche loro non vedevano l’ora di liberarsi degli ormai ingombranti vestiti che portavano da troppo tempo.

Oggi è di moda il pranzo nuziale. Scusate, ma la considero una palla. Tutti seduti nei posti assegnati dall’organizzazione in base a criteri non sempre graditi dai partecipanti. Ci si siede per ore con intervalli lunghissimi fra una portata e l’altra. L’unica speranza è che la compagnia allievi quelle ore e non ci sia il solito commensale che ha tante cose da chiedere e da dire. Non è molto fair prendersi spesso dei minuti di libertà per sgranchirsi, o per una sigaretta.Poi c’è il rischio menù, legato alla quantità sproporzionata e/o alla nouvelle cuisine. Non sempre il menù svela il segreto di cosa sarà portato in tavola.E’ una dura prova,ora si è sempre meno avvezzi a quelle quantità e/o quei cibi elaborati.

Si rimpiangono quei bei matrimoni di una volta, dove si girava liberamente per la sala chiacchierando con chi sceglievamo e evitando gli altri. I cibi erano genuini e testati, “robba di casa”, sceglievi ciò che ti stuzzicava di più. Se qualcosa non incontrava i tuoi gusti, non ti dovevi giustificare con la mamma della sposa o dello sposo che ti aveva invitato ma al contrario c’era sempre una proposta alternativa.

Per gli sposi lo stress iniziaprima, con il compito ingratodella disposizione degli invitati nei singoli tavoli. Ci sono da prendere in esame diversi parametri: parentela, amicizia, inimicizie, interessi comuni, ecc. Ma, malgrado studi approfonditi, non tutte le ciambelle riescono con il buco, e c’è sempre qualche scontento che cerca, più o meno velatamente, di cambiare posto. Ai più sfortunati non resta che salvare le apparenze chiacchierando, quanto basta, con il vicino, e cercare scuse per rapide fughe verso amici e parenti, fra una portata e l’altra. Ma c’è sempre la consorte che, con fare circospetto, apostrofa con “ma che figura facciamo”; e allora le scorribande devono essere giustificate e limitate all’essenziale. Anche la musica, che svolgeva un ruolo fondamentale durante la festa, ha perso di importanza, è un sottofondo, spesso ingombrante, che rende difficile comunicare, nonostante i ripetuti appelli ad abbassare il volume.

Finita la festa, ancora frastornati da suoni e cibo, pieni come otri, speriamo che la cosa si ripeta il più tardi possibile, si ritorna a casa.

Allora, non resta che inneggiare al vecchio rituale: il rinfresco da Don Vincenzo a Miramare, in un gioioso mix di musiche, balli, chiacchierate e cibi fatti in casa, non raffinati ed esotici, ma tanto buoni.


ENZO LA VERGHETTA

1 commento:

Unknown ha detto...

Sarebbe bello inserire nell'articolo anche il nome di mio zio Don Luigi Fusco.... è storia anche lui....grazie