di Gabriella Izzi Benedetti
Le testimonianze di drammi sulla Passione di Cristo nei primi secoli del cristianesimo sono scarse; era privilegiata l’idea della Resurrezione alla quale anche la predicazione degli Apostoli e di san Paolo attribuiva maggior significato,quale mistero della incarnazione divina e messaggio di redenzione e speranza. Anche a livello iconografico (oltre che letterario) viene proposta l’immagine di Cristo Pantocrate, Cristo Re, in tutto il suo splendore, in grado di agire nell’immaginario dei fedeli più saldamente, a differenza dell’Uomo – Dio crocifisso e torturato; dunque in forma più trionfale che oggettivata sulla sofferenza in senso umano.Forse non era maturo il popolo dei fedeli ad adorare un’immagine di sofferenza e sconfitta, benché
apparente. Del resto la
comunità cristiana proseguiva nell’ottica pagana che per secoli aveva proposto
immagini di Dei vincenti. Bisognava che la sensibilità evolvesse e maturasse.
La Chiesa per lungo tempo ha favorito temi di allegrezza, e per
questo il Natale da subito ha avuto una grande fortuna narrativa. Inoltre
l’atteggiamento della Chiesa è stato anche di sovrapposizione e conversione di
feste pagane in cristiane. La Pasqua trasformava una festa pagana,
folkloristica sul rinnovamento del ciclo annuale ( morte e rinascita), in
evento cristiano, sostituendosi alle feste per la fertilità, così
come il Natale pose definitivamente fine ai riti propiziatori di fine anno.
Tutto sommato, essendo la Santa Messa la prima
forma di dramma sacro, ad essa si legavala drammaticità, quale forma più
immediata e naturale di memoria passionisnel momento della
elevazione.Era sufficiente. Anche gli Encomi, una serie di
Inni del rituale greco-bizantino collegati ad azioni liturgiche a carattere
drammatico, propongono una Passione vissuta in forma gloriosa; lo stesso
avveniva nella liturgia del Mattutino cantato la sera del
Venerdì santo; nelle cosiddette Omelie Eusebianela scena drammatica
è volta ad approfondire la liberazione dei Profeti, il trionfo sul demonio. In
quest’ottica dal VII secolo prese il via l’Exultet, tuttora in uso, un
inno glorioso. Un tempo gli Exultet erano inseriti in lunghe
pergamene che prendevano il nome dalla parola iniziale del preconio pasquale;
il solenne Lucernarium proprio della notte di Pasqua.
Alcuni teologi dei primi secoli tendevano a
separare l’idea del Cristo della Croce dal Cristo della gloria, anche se
liturgicamente i due momenti erano strettamente connessi e questo grazie
soprattutto a papa Alessandro I che nel II secolo volle dare spazio alla
lettura della Passione di Cristo la Domenica delle Palme e nei giorni di
martedì, giovedì e venerdì santo. A queste letture il popolo partecipava e il
racconto evangelico era esposto drammaticamente con la lettura affidata a più persone.
Da queste primitive forme derivano i Passio, i Planctuso Compassio.
La lettura era accompagnata da un rituale di gesti e atti, si usavano anche
fogge adatte al personaggio; al momento della morte di Gesù si spegnevano i
lumi; era detto l’Ufficio delle tenebre.Ciò che oggi è un’omelia, cioè la
predica dopo la lettura del Vangelo, nel Medioevo, durante i riti fondamentali
come la Pasqua, si trasformavano spesso in momenti in cui l’alternarsi delle
parole del celebrante con quelle dei diaconi, ricostruzioni visive deli eventi,
creavano dinamismo. E anche la Processione, che è giunta fino ai nostri giorni,
si attestava qualeespressione drammatica, si dotava di moduli figurativi spesso
affidati a fedeli, di pause di tragitto con narrazioni e dialoghi. Tra i
rituali, ricchi di elementi teatralisi attestailQuemquaeritis; un
dialogo che si svolge davanti al Sepolcro vuoto e chesi pensa essere alla base
dell’evoluzione in forma drammatica della Passione. In esso tre frati vestiti
da Marie si alternano nel canto, c’è poi l’angelo seduto con abiti sfolgoranti
accanto al Sepolcro con un ramo di palma nella mano sinistra e un candeliere
nella destra; ci sono le figure degli Apostoli Pietro e Giovanni, altri angeli
e un ortolano. L’ortolano alla fine si trasfigura in Cristo e avanza ricoperto
di una dalmatica bianchissima.
Queste cerimonie duravano ore e soprattutto i
riti pasquali perduravano dalla sera all’alba ed erano appannaggio soprattutto
dei monaci benedettini.Dal Monastero benedettino di Cassino proviene uno degli
esempi più antichi,l’Officium Sepulchri. Di origine abruzzese.
Inizialmente queste funzioni avvenivano in chiesa, e l’altare era il simbolo
del Sepolcro. Un grande passo avanti fu nell’VIII secolo il dono di un nuovo
strumento musicale che la Corte di Costantinopoli fece a Pipino il breve, re di
Francia, l’organo.
L’organo si diffuse rapidamente dovunque nelle
chiese europee e alimentò la drammaticità dei momenti liturgici. In seguito
queste funzioni si trasferirono all’aperto favorendo in tutta Europa lo
svilupparsi fra il 1200 e il 1400 di drammi religiosi sontuosi e lunghissimi,
tanto da svolgersi in 25 e perfino 40 giorni. Confluirono in questo lievitare
di forme teatrali moduli della chiesa greco bizantina e di quella occidentale.
Importantissimo fu un genere di drammatizzazione, la Laude, che fiorì
prevalentemente in Umbria, pensiamo a Jacopone da Todi, suo massimo
esponente.Fra’ Jacopone da Todi (conte Jacopo Benedetti) porta la lauda a
dignità letteraria, identificandola con il dramma, servendosi del metro della
ballata, creando figure autonome e reali. Il dialogo prevarrà nello svolgimento
delle vicende tragiche della Passione. Le Laudi avranno una fortuna
straordinaria in ogni parte d’Italia. Sicuramente in Abruzzo, che per l’innata
rigorosità e perché rientrava nella circoscrizione ecclesiastica umbra, si
dedicò molto a questo genere espressivo coinvolta in quello spirito di fede che
diede inizio alle Compagnie dei Disciplinati, o anche dei Flagellanti che
vivevano la religione in forme molto severe se non punitive. Un genere che si
affermò soprattutto tra i Francescani e in Abruzzo esistono molti codici
francescani nei quali è presente il genere laudistico.
Sulla ricchezza creativa abruzzese ci sarebbe
molto da dire; ma dovendo per forza di cose operare una sintesi, mi limiterò a
trattare di alcune documentazioni che indicano come la nostra regione ebbe un
ruolo pilota in quella che è l’evoluzione da forme più essenziali a quelle più
articolate.
Nel Codice Vaticano latino 4770, presso la Biblioteca
Apostolica Vaticana, una importante documentazione, già citata come proveniente
dall’Abruzzo,che risale al X o XI secolo, riporta una cerimonia liturgica
complessa che è in sostanza un UfficiumSepulchri. Si presenta
come un tropo, e la metrica dimostra l’autonomia di Antifone e Responsori.
L’indicazione della componente musicale è appena accennata; ma tutto l’insieme
dimostra una maturità creativa notevole; anche nella forma si riscontra
originalità rispetto a soluzioni precedenti. Ma il più importante dei documenti
sulla Passione reperiti in Abruzzo si attesta fra quelli di maggior rilievo di
tutta la drammaturgia sacra italiana: l’Officium quarti militis conservato
a Sulmona, nell’Archivio capitolare di San Panfilo, e che fu scoperto dallo
studioso Giovanni Pansa a fine ottocento.
Si tratta di un rotolo originale dotato di
didascalie che normalmente sono fatte per essere distribuite agli attori, per
imparare la parte. E’ dunque un documento unico nel suo genere. Il
termine Officium, poiché il titolo con ogni probabilità
era Passione o Passione e Resurrezione, ha valore di “parte,
ruolo”. Il ruolo del quarto soldato. E dunque veniamo a sapere che nel Medioevo
dal copione teatrale si estraeva e distribuiva a ciascun attore la propria
parte. Ci troviamo di fronte a un documento che ci offre ampia panoramica di un
apparato scenico completo e c’è anche una nota che parla di musica. Prendono
vita soldati, Pilato, Procula moglie di Pilato che ha fatto un sogno e che
prega il marito di non crocifiggere Gesù.
L’allestimento per alcuni studiosi doveva
essere sontuoso, per altri meno. Ma di sicuro i due documenti il cassinese e il
sulmonese sono stupende testimonianze. Un altro genere passionale assai caro
alle consuetudini devozionali abruzzesi, fu il sermone semidrammatico. Abbiamo
già accennato al fatto che i predicatori medievali in occasione di ritualità di
maggior rilievo interrompevano l’omelia inserendovi animazioni, sonetti,
canzoni. Il sermone semidrammatico parte da questo dato per creare un genere misto
di narrazione e dialogo, scenicamente sviluppato, in cui venivano inseriti
testi estrapolati da varie parti. Ad esempio un poemetto passionale scritto dal
senese Nicolò di Nino Cicerchia e attribuito al Boccaccio o al Petrarca venne
inserito frequentemente nei sermoni abruzzesi. Se ne conservano moltissimi nei
Codici Capestrsanesi.
Col passare del tempo, col vivere all’aperto
funzioni liturgiche arricchite teatralmente si giunge a quelle assai sfarzose e
articolate, cioè alla Sacra Rappresentazione. In questo genere eccellono
soprattutto Abruzzo e Toscana, con realizzazioni sorprendenti, che vanno oltre
l’argomento della Passione, si confrontano con storie bibliche, vite di santi,
la natività. Il fenomeno è presente in tutte le regioni italiane. Venivano create
impalcature gigantesche e la loro strutturazione spesso prevedeva in insieme di
finestre distribuite su vari piani a indicare tempi e luoghi diversi. Quindi i
personaggi apparivano e sparivano con un effetto che sa di cinematografico ante
litteram. In modo particolare la città dell’Aquila si distinse in questo genere
teatrale. E avveniva che le storie narrate s’infittissero di situazioni anche
fantasiose. Anche in questo senso la drammaturgia medievale sembra precorrere i
tempi; avevano creatouna specie di soap opera, o serial. E questo preoccupò la
Chiesa in quanto per allungare i tempi le storie si dotavano di leggende,
situazioni fantasiose, non sempre in linea col soggetto. In ogni caso si tratta
di una fioritura incredibile, soprattutto se si pensa che nel medioevo è il
dramma sacro l’unica o quasi espressione teatrale. La fioritura drammatica dei
secoli prima del Rinascimento esclude quasi del tutto temi e autori pagani,
Eschilo o Terenzio, tanto per fare dei nomi. Non esiste teatro d’impegno o di
valore linguistico, in senso laico, sono personaggi come saltimbanchi, guitti o
cantori a continuare nel rapporto fra popolo e teatro laico.
Nella seconda metà del XV secolo questo genere,
la sacra Rappresentazione, lentamente perde interesse mentre riprendono vigore
il dramma classico e poi la commedia dell’arte. E questo anche perché come
abbiamo detto la Chiesa prese atteggiamenti più severi, timorosa di
commistioni. La storia ha i suoi cicli; nel suo lungo cammino apre a chiude
fasi e dunque nel Rinascimento si apre un nuovo capitolo dove dominano il poema
cavalleresco, il romanzo pastorale, il dramma classico. Ma, se ben si
osserva, una vera scissione fra tutte le manifestazioni creative non
c’è.Ciò che è stato risorge con mutazioni, esclusioni, arricchimenti; avvengono
fusioni, oblii, ritorni. E così è avvenuto anche per la drammaturgia sacra. Del
resto il suo spirito di base non è mai venuto meno, se ci si
riferisce alla Messa o ad alcune espressioni devozionali; e oggi il Dramma
sacro è in grado di attrarre nuovamente attenzione. Personalmente sarei
felice se in Abruzzo, magari a Vasto, si tentasse di mettere in scena
unatestimonianzateatrale, ad esempiol’Officium quarti militis.
Gabriella Izzi Benedetti
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