Il libro che tutti i vastesi dovrebbero leggere (e che alcuni dovrebbero scrivere…)
di Alessandro Obino
Ho appena terminato la lettura de “La notte del solstizio” di Peppino Tagliente e, chiudendone le pagine, ho pensato che questo libro non solo valesse la pena leggerlo, ma che varrebbe la pena scriverlo.
Mi spiego meglio.Il romanzo rilegge un fatto accaduto nel 1901 attraverso gli occhi di un cronista, il direttore del giornale “Istonio”, che conduce una propria indagine parallela e arriva al termine ad intuire una verità diversa da quella ufficiale. Gli eventi al centro della trama sono, in realtà, il pretesto per un colorito affresco della Vasto dei primi del secolo scorso e per alcune riflessioni su temi più generali che attraversano la storia italiana.
Nell’affresco vastese spicca il tema della “doppiezza” della nostra città, della partigianeria inveterata che ha sempre visto i nostri concittadini schierarsi su poli opposti in tema di fede, politica, cultura. Fra i temi generali, invece, spiccano il perbenismo della borghesia dell’Italia giolittiana, la misoginia della cultura ufficiale, il ruolo antistorico della Chiesa preconciliare e, più in generale, il fariseismo della dimensione provinciale di cui la Vasto del 1901 è un perfetto exemplum.
“La notte del solstizio” è quindi un’opera glocal, a tutti gli effetti. Glocal in quanto parla della dimensione locale (i riferimenti alla storia di Vasto, ai suoi luoghi, al suo costume) per veicolare un messaggio globale (il trionfo dell’ipocrisia). In questo suo farsi veicolo di un significato universale, è un’opera d’arte nel senso più pieno della parola. Arte poiché artifizio (non è un trattato storico, ma è opera d’invenzione), ma anche perché universale (chiunque può leggerla e godere dei significati in essa espressi, a prescindere dal fatto di conoscere Vasto e la sua Storia).
Certo, per i vastesi e, soprattutto per coloro che hanno un minimo di conoscenza storica, l’opera risulta molto più interessante di quanto non lo sia per chi ignora il contesto e l’evoluzione della nostra città negli anni che vanno dall’Unità d’Italia alla fine della Prima Guerra Mondiale. Forse questa differenza di passo è il suo limite. Allo stesso tempo per un vastese questo è anche un punto di forza, perché nessun exemplum potrebbe essere più calzante di quello operato sulla storia di cui, in qualche modo,partecipano tutte le famiglie che vivono in città da più generazioni.
Per questo, il suo apporto alla costruzione di un’identità condivisa è molto importante. L’identità di ognuno è basata su elementi che riconosce come propri ed il riconoscersi parte di un borgo con una storia millenaria è un elemento forte, in grado di “riempire” e migliorare la vita stessa delle persone (quanti di noi, su Facebook sono iscritti e seguono i vari gruppi su Vasto?). Leggere un romanzo che ci dà elementi comuni da conoscere e in cui riconoscersi è un fattore di rilievo identitario. Per questo motivo ho prima affermato che tutti i vastesi dovrebbero leggerlo.
L’aspetto però più rilevante di un’opera di questo tipo è la capacità di creare non solo un ponte fra generale e locale, ma anche fra passato e presente. Molti dei temi evocati dall’invenzione di Tagliente sono assolutamente attuali. Vasto è ancora divisa in Montecchi e Capuleti; il ruolo della Chiesa è, spesso, ancora antistorico e la dimensione provinciale è ancora assolutamente soffocante. Tagliente questo non lo scrive, ma, in parte, ne spiega il perché. Tracciando alcuni tratti della genesi dei caratteri deteriori che si porta dietro il nostro borgo e collegandoli ad una dimensione più ampia, legata a quella dell’allora Regno d’Italia, l’autore ci dà importanti elementi di riflessione a riguardo.
Quanto ognuno di noi sia in grado di cogliere questi parallelismi è più complesso dirlo. In questo la natura dell’opera potrebbe distoglierci. Si tratta pure sempre di invenzione, come potrà obiettare qualcuno. Ma per chiunque studi atti e documenti della nostra storia, non con spirito di vuota erudizione (che tanto ancora abbonda), ma con reale curiosità intellettuale, gli elementi di richiamo sono talmente tanti che, a mio parere sarebbe impossibile non ritrovare nei travagli degli antichi gran parte dei nostri difetti attuali.
Per questo affermo che l’opera di Peppino Tagliente non dovrebbe essere considerata solo un romanzo con cui trascorrere qualche piacevole ora di lettura, ma un esempio da seguire. In questo caso, un exemplum di opera da imitare. Un romanzo storico sulla dimensione locale, in cui l’invenzione riesce a ricostruire gli aspetti della cultura materiale che quasi mai sono oggetto della trattazione storica della storiografia idealistica ed evenemenziale; ma anche un romanzo storico di respiro universale, perché interessato a trovare legami e collegamenti fra i fatti narrati e i fattori che, oggi come ieri, condizionano le nostre vite.
Sono, infatti, convinto che l’autore, svolgendo le sue ricerche e cucendo insieme i lembi della storia che ci ha sottoposto, abbia allargato la sua visione e la sua comprensione delle cose ben al di là di quanto possa essere evidenziato nelle centotrenta pagine del romanzo. Certo, il livello di godibilità a cui arriva la “La notte del solstizio” non sarà facilmente raggiunto da altri autori, ma anche solo il fatto che altri, ovviamente con la cultura e la sensibilità necessarie, tentino un’impresa di questo genere permetterebbe di allargare la nostra “”intelligenza collettiva”.
Infine, se opere come queste riuscissero a valicare l’orizzonte cittadino e affermarsi presso un pubblico più ampio, costituirebbero un forte elemento di riconoscibilità del territorio. Con un anglismo, si dice oggi storytelling ed è ciò di cui abbiamo bisogno per promuovere il turismo.
Per questo mi auguro che l’exemplum di Tagliente non rimanga un fiore nel deserto e segni l’inizio di un risveglio dell’attenzione per la nostra identità locale e per la sua trasposizione artistica.
Ho appena terminato la lettura de “La notte del solstizio” di Peppino Tagliente e, chiudendone le pagine, ho pensato che questo libro non solo valesse la pena leggerlo, ma che varrebbe la pena scriverlo.
Mi spiego meglio.Il romanzo rilegge un fatto accaduto nel 1901 attraverso gli occhi di un cronista, il direttore del giornale “Istonio”, che conduce una propria indagine parallela e arriva al termine ad intuire una verità diversa da quella ufficiale. Gli eventi al centro della trama sono, in realtà, il pretesto per un colorito affresco della Vasto dei primi del secolo scorso e per alcune riflessioni su temi più generali che attraversano la storia italiana.
Nell’affresco vastese spicca il tema della “doppiezza” della nostra città, della partigianeria inveterata che ha sempre visto i nostri concittadini schierarsi su poli opposti in tema di fede, politica, cultura. Fra i temi generali, invece, spiccano il perbenismo della borghesia dell’Italia giolittiana, la misoginia della cultura ufficiale, il ruolo antistorico della Chiesa preconciliare e, più in generale, il fariseismo della dimensione provinciale di cui la Vasto del 1901 è un perfetto exemplum.
“La notte del solstizio” è quindi un’opera glocal, a tutti gli effetti. Glocal in quanto parla della dimensione locale (i riferimenti alla storia di Vasto, ai suoi luoghi, al suo costume) per veicolare un messaggio globale (il trionfo dell’ipocrisia). In questo suo farsi veicolo di un significato universale, è un’opera d’arte nel senso più pieno della parola. Arte poiché artifizio (non è un trattato storico, ma è opera d’invenzione), ma anche perché universale (chiunque può leggerla e godere dei significati in essa espressi, a prescindere dal fatto di conoscere Vasto e la sua Storia).
Certo, per i vastesi e, soprattutto per coloro che hanno un minimo di conoscenza storica, l’opera risulta molto più interessante di quanto non lo sia per chi ignora il contesto e l’evoluzione della nostra città negli anni che vanno dall’Unità d’Italia alla fine della Prima Guerra Mondiale. Forse questa differenza di passo è il suo limite. Allo stesso tempo per un vastese questo è anche un punto di forza, perché nessun exemplum potrebbe essere più calzante di quello operato sulla storia di cui, in qualche modo,partecipano tutte le famiglie che vivono in città da più generazioni.
Per questo, il suo apporto alla costruzione di un’identità condivisa è molto importante. L’identità di ognuno è basata su elementi che riconosce come propri ed il riconoscersi parte di un borgo con una storia millenaria è un elemento forte, in grado di “riempire” e migliorare la vita stessa delle persone (quanti di noi, su Facebook sono iscritti e seguono i vari gruppi su Vasto?). Leggere un romanzo che ci dà elementi comuni da conoscere e in cui riconoscersi è un fattore di rilievo identitario. Per questo motivo ho prima affermato che tutti i vastesi dovrebbero leggerlo.
L’aspetto però più rilevante di un’opera di questo tipo è la capacità di creare non solo un ponte fra generale e locale, ma anche fra passato e presente. Molti dei temi evocati dall’invenzione di Tagliente sono assolutamente attuali. Vasto è ancora divisa in Montecchi e Capuleti; il ruolo della Chiesa è, spesso, ancora antistorico e la dimensione provinciale è ancora assolutamente soffocante. Tagliente questo non lo scrive, ma, in parte, ne spiega il perché. Tracciando alcuni tratti della genesi dei caratteri deteriori che si porta dietro il nostro borgo e collegandoli ad una dimensione più ampia, legata a quella dell’allora Regno d’Italia, l’autore ci dà importanti elementi di riflessione a riguardo.
Quanto ognuno di noi sia in grado di cogliere questi parallelismi è più complesso dirlo. In questo la natura dell’opera potrebbe distoglierci. Si tratta pure sempre di invenzione, come potrà obiettare qualcuno. Ma per chiunque studi atti e documenti della nostra storia, non con spirito di vuota erudizione (che tanto ancora abbonda), ma con reale curiosità intellettuale, gli elementi di richiamo sono talmente tanti che, a mio parere sarebbe impossibile non ritrovare nei travagli degli antichi gran parte dei nostri difetti attuali.
Per questo affermo che l’opera di Peppino Tagliente non dovrebbe essere considerata solo un romanzo con cui trascorrere qualche piacevole ora di lettura, ma un esempio da seguire. In questo caso, un exemplum di opera da imitare. Un romanzo storico sulla dimensione locale, in cui l’invenzione riesce a ricostruire gli aspetti della cultura materiale che quasi mai sono oggetto della trattazione storica della storiografia idealistica ed evenemenziale; ma anche un romanzo storico di respiro universale, perché interessato a trovare legami e collegamenti fra i fatti narrati e i fattori che, oggi come ieri, condizionano le nostre vite.
Sono, infatti, convinto che l’autore, svolgendo le sue ricerche e cucendo insieme i lembi della storia che ci ha sottoposto, abbia allargato la sua visione e la sua comprensione delle cose ben al di là di quanto possa essere evidenziato nelle centotrenta pagine del romanzo. Certo, il livello di godibilità a cui arriva la “La notte del solstizio” non sarà facilmente raggiunto da altri autori, ma anche solo il fatto che altri, ovviamente con la cultura e la sensibilità necessarie, tentino un’impresa di questo genere permetterebbe di allargare la nostra “”intelligenza collettiva”.
Infine, se opere come queste riuscissero a valicare l’orizzonte cittadino e affermarsi presso un pubblico più ampio, costituirebbero un forte elemento di riconoscibilità del territorio. Con un anglismo, si dice oggi storytelling ed è ciò di cui abbiamo bisogno per promuovere il turismo.
Per questo mi auguro che l’exemplum di Tagliente non rimanga un fiore nel deserto e segni l’inizio di un risveglio dell’attenzione per la nostra identità locale e per la sua trasposizione artistica.
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