GIORNO DELLA MEMORIA 2021
Il ricordo di Tito Spinelli dei suoi incontri alla Marina
I confinati sulla battigia
Ultimata la salpata della sciabica più o meno alle nove del mattino, ritirato in secco il battello e cominciata la pulizia delle reti, io mi facevo trovare da mio padre ai bordi di un rigagnolo melmoso che ancora oggi affligge l’arenile vastese. Allora toccavo sì e no i nove anni. Mio padre mi veniva incontro col suo pescato di sarde e di aguglie per avviarci verso il Trave per prendere la via di casa. Spesso si fermava a confabulare con uomini che giocavano a bocce sulla battigia. Erano confinati politici, perlopiù socialisti e comunisti. Malgrado la mia età ero fin troppo curioso e cercavo di afferrare qualche brano della loro conversazione. Però era più il francese a sovrapporsi all’italiano, dato che mio padre era espatriato nel ’23 essendo oppositore del nuovo regime che sempre più si andava trasformando in dittatura. Le leggi razziali erano già in vigore e mio padre, nella sua esperienza d’oltralpe durata sette anni, aveva notato una espressa ostilità antisemita da parte di intellettuali che confluivano – come seppi più tardi – nell’Action Franḉaise; e sperava che la guerra non scoppiasse perché – lo intuiva – gli ebrei sarebbero stati i primi a subirne le conseguenze. Anche quei confinati non si sentivano sicuri nel loro stato, e lo dicevano apertamente; finché una vociaccia di scherano del regime veniva a vomitare minacce nei confronti di chi avesse preso contatto con i confinati. Così, lasciata la spiaggia, io e mio padre ci inerpicavamo su per la scogliera e riprendere il sentiero fino a un passaggio a livello incustodito e là, talvolta, sostavamo per treni di passaggio; per lo più treni merci. E mentre i vagoni si susseguivano sulle rotaie, io e mio padre mai avremmo pensato che nel giro di pochi anni quei vagoni, stipati di esseri umani come bestie, sarebbero stati dirottati verso stazioni senza ritorno
Tito Spinelli
Il ricordo di Tito Spinelli dei suoi incontri alla Marina
I confinati sulla battigia
Ultimata la salpata della sciabica più o meno alle nove del mattino, ritirato in secco il battello e cominciata la pulizia delle reti, io mi facevo trovare da mio padre ai bordi di un rigagnolo melmoso che ancora oggi affligge l’arenile vastese. Allora toccavo sì e no i nove anni. Mio padre mi veniva incontro col suo pescato di sarde e di aguglie per avviarci verso il Trave per prendere la via di casa. Spesso si fermava a confabulare con uomini che giocavano a bocce sulla battigia. Erano confinati politici, perlopiù socialisti e comunisti. Malgrado la mia età ero fin troppo curioso e cercavo di afferrare qualche brano della loro conversazione. Però era più il francese a sovrapporsi all’italiano, dato che mio padre era espatriato nel ’23 essendo oppositore del nuovo regime che sempre più si andava trasformando in dittatura. Le leggi razziali erano già in vigore e mio padre, nella sua esperienza d’oltralpe durata sette anni, aveva notato una espressa ostilità antisemita da parte di intellettuali che confluivano – come seppi più tardi – nell’Action Franḉaise; e sperava che la guerra non scoppiasse perché – lo intuiva – gli ebrei sarebbero stati i primi a subirne le conseguenze. Anche quei confinati non si sentivano sicuri nel loro stato, e lo dicevano apertamente; finché una vociaccia di scherano del regime veniva a vomitare minacce nei confronti di chi avesse preso contatto con i confinati. Così, lasciata la spiaggia, io e mio padre ci inerpicavamo su per la scogliera e riprendere il sentiero fino a un passaggio a livello incustodito e là, talvolta, sostavamo per treni di passaggio; per lo più treni merci. E mentre i vagoni si susseguivano sulle rotaie, io e mio padre mai avremmo pensato che nel giro di pochi anni quei vagoni, stipati di esseri umani come bestie, sarebbero stati dirottati verso stazioni senza ritorno
Tito Spinelli
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