di Angelo Del Moro
Colsi mio più tardi la grandezza di Dante Alighieri quando anni dopo la fine del liceo lessi al mare
d'estate l'intera Divina Commedia.
Lo feci di nascosto dai nuovi professori del momento, se l'avessero scoperto
probabilmente me l'avrebbero rovinato. O almeno così temevo.
Infatti in quel tempo, erano
saliti in cattedra i primi docenti venuti dal '68, con una preparazione mediamente scarsa
refrattaria a tutto ciò che era antico, classico o proveniente scuola tradizionale. E l'ossessione di demistificare, desacralizzare, tirar tutto giù dal piedistallo.
E tutto andava
reinterpretato in chiave ideologica d'attualità. Per giustificarne la lettura e lo studio, si
sforzavano anche di attualizzare i classici - e Dante più di tutti - liberandolo dal guscio infame del
medioevo oscuro. Ai loro occhi la domanda essenziale da farsi su Dante era: "cosa dice ai giovani dì oggi?" Ma questo riduzionismo, che è poi diventato nei nostri anni
un canone obbligato del politically correct, non coglie la grandezza degli autori, la differenza dei tempi e delle culture, la ricchezza di conoscere mondi diversi e remoti
VASTO, 5 DICEMBRE 2020
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