di Angeli Del Moro
Uno studio dell'Università di Losanna ha analizzato quattrocento manager di aziende private in tutt'Europa e ha dimostrato che chi ha un quoziente intellettivo superiore ai 120 (la media della popolazione arriva ai 100 ) fa fatica a diventare "capo" perché non riesce a tradurre la complessità del suo pensiero e soffre quando gli altri trovano incomprensibili concetti che per lui sono banali.
Insomma, un super intelligente è normalmente privo di quelle abilità che permettono alle persone "normali" di ricoprire incarichi importanti.
Lo studio dei neuroscenziati svizzeri conferma la teoria dell'intelligenza emotiva che
lo psicologo Danoel Golemann ha elaborato nel 1995: le persone di successo non sono quelle con il Qi più alto, ossia più intelligenti secondo il nostro sistema di valori, ma quelle con il Qe (il quoziente emotivo) più elevato. L'intelligenza emotiva è la capacità di conoscere le proprie emozioni, saperle gestire, muoversi, riconoscere le emozioni degli altri e riuscire a tessere relazioni interpersonali soddisfacenti.
L'intelligenza emotiva non è un dono di madre natura, un tesoro che ti arriva dalla nascita come accade per le capacità logico-matematiche, ma si esercita e si apprende educando l'amigdala che è la parte del cervello responsabile della risposta istintiva a un determinato evento.
Lo psichiatra Bessel Van der Kolk l'ha definita "l'allarme antincendio" del nostro corpo. Facciamo un esempio: durante un litigio o di fronte a un pericolo incombente l'amigdala lancia l'allarme e risponde rilasciando cortisolo (ormone dello stress) e adrenalina. Gli effetti si manifestano anche sul corpo: i muscoli diventano rigidi, le tempie cominciano a pulsare, i battiti cardiaci accelerano, si sente il sangue confluire verso il cervello. Nel frattempo, la nostra testa va in confusione.
Secondo Goleman, se si allena l'amigdala, se si impara cioè a gestire le emozioni e, quindi, ad aumentare il nostro Qe, crescono anche le possibilità di avere successo nella vita.
Insomma, un elevato quoziente emotivo è da preferire a un Qi altissimo.
A dare un ulteriore colpo ai cervelloni è il saggio di David Robson "Le trappole dell'intelligenza ( Ponte alle Grazie, pp. 456, euro 18) che spiega come anche le intelligenze più brillanti cadono in errori elementari, prendono decisioni sbagliate o assumono atteggiamenti scorretti: chi ha un Qi superiore al 140, per esempio, rischia di non controllarsi quanto spende ed è portato a credere più di altri al paranormale. Se tutto questo non bastasse, c'è la "teoria della felicità della savana” a dare un ulteriore colpo ai geni. Lo psicologo Satoshi Kanazawa della Londpn School of Economics ha studiato più di 15mila persone tra i 18 e i 28 anni ed ha dimostrato che avere tanti amici rende felici solo le persone che hanno un'intelligenza media. Chi invece ha un Qi elevato preferisce la solitudine e questo, secondo lo studioso, ha anche una spiegazione antropologica. "Chi è molto intelligente esce dalla normalità e la normalità, per i nostri antenati, era sopravvivere grazie all'aiuto degli altri in una tribù di media grandezza. Il nostro cervello si è adattato a quel tipo di esistenza ed è naturale per noi cercare la compagnia ed essere felici quando siamo con gli amici". Non è così per i super intelligenti perché non hanno bisogno degli altri per risolvere i problemi della vita. Anzi, stanno bene da soli perché non debbono perdere tempo a relazionarsi con chi è più lento nel capire concetti che loro apprendono al volo; non sono costretti ogni volta "ad abbassarsi" di un gradino (anche tre o quattro) per adeguarsi agli altri). I cervelloni circondati da amici sono come delle Ferrari bloccate nel traffico. Per questo preferiscono sfrecciare in solitudine.
Vasto, 21 agosto 2020
Insomma, un super intelligente è normalmente privo di quelle abilità che permettono alle persone "normali" di ricoprire incarichi importanti.
Lo studio dei neuroscenziati svizzeri conferma la teoria dell'intelligenza emotiva che
lo psicologo Danoel Golemann ha elaborato nel 1995: le persone di successo non sono quelle con il Qi più alto, ossia più intelligenti secondo il nostro sistema di valori, ma quelle con il Qe (il quoziente emotivo) più elevato. L'intelligenza emotiva è la capacità di conoscere le proprie emozioni, saperle gestire, muoversi, riconoscere le emozioni degli altri e riuscire a tessere relazioni interpersonali soddisfacenti.
L'intelligenza emotiva non è un dono di madre natura, un tesoro che ti arriva dalla nascita come accade per le capacità logico-matematiche, ma si esercita e si apprende educando l'amigdala che è la parte del cervello responsabile della risposta istintiva a un determinato evento.
Lo psichiatra Bessel Van der Kolk l'ha definita "l'allarme antincendio" del nostro corpo. Facciamo un esempio: durante un litigio o di fronte a un pericolo incombente l'amigdala lancia l'allarme e risponde rilasciando cortisolo (ormone dello stress) e adrenalina. Gli effetti si manifestano anche sul corpo: i muscoli diventano rigidi, le tempie cominciano a pulsare, i battiti cardiaci accelerano, si sente il sangue confluire verso il cervello. Nel frattempo, la nostra testa va in confusione.
Secondo Goleman, se si allena l'amigdala, se si impara cioè a gestire le emozioni e, quindi, ad aumentare il nostro Qe, crescono anche le possibilità di avere successo nella vita.
Insomma, un elevato quoziente emotivo è da preferire a un Qi altissimo.
A dare un ulteriore colpo ai cervelloni è il saggio di David Robson "Le trappole dell'intelligenza ( Ponte alle Grazie, pp. 456, euro 18) che spiega come anche le intelligenze più brillanti cadono in errori elementari, prendono decisioni sbagliate o assumono atteggiamenti scorretti: chi ha un Qi superiore al 140, per esempio, rischia di non controllarsi quanto spende ed è portato a credere più di altri al paranormale. Se tutto questo non bastasse, c'è la "teoria della felicità della savana” a dare un ulteriore colpo ai geni. Lo psicologo Satoshi Kanazawa della Londpn School of Economics ha studiato più di 15mila persone tra i 18 e i 28 anni ed ha dimostrato che avere tanti amici rende felici solo le persone che hanno un'intelligenza media. Chi invece ha un Qi elevato preferisce la solitudine e questo, secondo lo studioso, ha anche una spiegazione antropologica. "Chi è molto intelligente esce dalla normalità e la normalità, per i nostri antenati, era sopravvivere grazie all'aiuto degli altri in una tribù di media grandezza. Il nostro cervello si è adattato a quel tipo di esistenza ed è naturale per noi cercare la compagnia ed essere felici quando siamo con gli amici". Non è così per i super intelligenti perché non hanno bisogno degli altri per risolvere i problemi della vita. Anzi, stanno bene da soli perché non debbono perdere tempo a relazionarsi con chi è più lento nel capire concetti che loro apprendono al volo; non sono costretti ogni volta "ad abbassarsi" di un gradino (anche tre o quattro) per adeguarsi agli altri). I cervelloni circondati da amici sono come delle Ferrari bloccate nel traffico. Per questo preferiscono sfrecciare in solitudine.
Vasto, 21 agosto 2020
Nessun commento:
Posta un commento