di Angelo Del Moro
Circolavano tra i latini. Le usavano i plebei.
Scortum vuol dire donna di facili costumi. Le usavamo i plebei più plebei.
Scortum è usata nelle lettere all'amata, da Eloisa la celebre amata e amante di Abelardo, il grande filoso medievale.
Eloisa, che era tutt'altro che una plebea (e aveva conquistato Abelardo con la sua bellezza, col suo fine ingegno) applica addirittura la parola oscena a se stessa per chiarire all'amato, ormai lontano e crudelmente evirato dal vendicativo zio di Eloisa, che ella lo desidera non più nello
spirito, che apparteneva a Dio), ma nella carne.
Parolacce, oscenità, espressioni da taverna, ricorrono nei Carmina Burana, testo goliardico medievali dove compaiono abati corrotti e ubriaconi e amanti licenziosi, scritti in un latino corrotto e in antico tedesco, una selezione dei quali venne musicata dal compositore tedesco Carl Orff. Oggi , quando ascoltiamo i Carmina con lo sfarzoso coro introduttivo dedicato alla Fortuna imperatrice del mondo, diamo poca importanza al resto del testo, ma se lo facessimo ci accorgeremmo che, in alcuni passaggi, è l'equivalente delle scritte oscene nelle latrine degli autogrill.
Se poi passiamo alla letteratura, nessuno dei grandi, da Dante a Shakespeare a Celine è esente dall'uso di volgarità. Tutti i liceali ricordano il verso che sigilla il XXI canto dell'Inferno: "Ed elli avea del cul fatto trombetta", dove, anche per ragioni di metrica, cui è insostituibile con sedere o deretano o qualsivoglia altro sinonimo, ma deve essere, proprio come diceva Funari quando sosteneva che della parolaccia non si da sinonimo, nient'altro che cui . E, a volte, si può dire che gli autori passati fossero ancora fossero ancora più audaci di noi, dato che la parola oscena finiva perfino nel titolo delle opere. Il drammaturgo inglese John Ford, morto poco dopo Shakespeare, e oggi poco noto solo perché, come altri suoi colleghi, schiacciato dalla titanica figura del contemporaneo, scrisse una tragedia dal titolo Tis a Pity She's a Whore che, tradotto alla lettera significa "Peccato che sia una puttana". La tragedia è stata anche adattata per il cinema, nel 1971, da Giuseppe Patroni Griffi, in un film che non sappiamo se per sua scelta o per pudicizia dei produttori o timore di censura, si intitola "Addio fratello crudele".
Non c'è dubbio che il titolo originale sia più incisivo. Infine esistono scrittori più vicini alla nostra epoca, come Henry Miller o Charles Bukowski, dove il turpiloquio diventa addirittura un registro stilistico, oltre a essere l'umico mezzo espressivo per rappresentare il mondo dei bassifondi di vagabondi, degli ubriaconi e dei debosciati. Cioè, in breve, dell'umanità, a meno di voler ritenersi immuni da ogni vizio come angeli luminosi. Ora, non vorremmo con questo articolo incoraggiare tutti a sacramentare senza ritegno.
Anzi, la parolaccia, da liberatoria ed espressiva, ha finito, in certi casi, per diventare una sigla di snobismo, e non si contano i sofisticati intellettuali, le scrittrici votate all'impegno civile. Ma lì si coglie subito in castagna: la loro parolaccia non ha mai il gusto, il divertimento espresso da Leone Ferragni, cioè da un bambino che gioca col linguaggio e si concede le prime, necessario trasgressioni. Diventa anzi un codice restrittivo, un obbligo conformistico. E allora, come in ogni cosa, anche per la parolaccia ci vuole orecchio, come diceva il grande Jannacci, che la usava a modo.
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