LA GALLERIA DRENANTE |
Alle prime notizie del disastro, l’on. Giuseppe Spataro, che
era costantemente tenuto informato sul movimento franoso, si mise
immediatamente in azione per procurare tutto l’aiuto possibile e per
sollecitare l’intervento immediato del Governo.
Ad un primo convegno, da lui promosso, con la partecipazione di
funzionari del Genio Civile, del Provveditorato all’OO.PP. dell’Aquila e
componenti dell’Istituto delle Case Popolari, ne seguì un altro molto più
importante, a cui presero parte l’isp. Piccioli, per il Ministero dei Lavori
Pubblici, il prof. Penta, membro del Consiglio Superiore dei LL.PP., il
Prefetto della Provincia, rappresentanti delle Ferrovie dello Stato, dell’Anas,
Professori Universitari e Geologi, al fine di esaminare le cause della frana e
studiarne i rimedi per arrestarla definitivamente. Per il Governo, partecipò
direttamente l’on. Giuseppe Romita, titolare del Ministero dei Lavori Pubblici.
GALLERIA DRENANTE |
Tutti gli intervenuti al convegno denunciarono la gravità della
situazione e la necessità di intervenire immediatamente. Finalmente si cominciò
a parlare di fatti concreti, analizzando le cause del fenomeno e mettendo al
centro dell’attenzione il risanamento definitivo di tutto il costone orientale.
L’indagine geomorfologica (già iniziata nel 1955 da parte del Genio Civile di
Chieti), consentì di ricostruire tutta la formazione stratigrafica del suolo
sottostante Vasto, ed in particolare permise di costatare che la piattaforma di
Vasto aveva una potenza di circa 30 metri costituita da 12 metri da sabbie
sciolte, 3 metri da sabbia e ghiaia ed altri quindici metri da sabbie dal
contenuto argilloso. La formazione sabbiosa era interessata, per circa 10 metri
al di sopra del contatto con le argille compatte, da una falda acquifera di
notevole intensità, quantificabile in 5-6 litri al secondo.
A
conclusione degli accertamenti effettuati dai tecnici, si
concluse che la frana di Vasto era riferibile a due fenomeni distinti seppur interdipendenti, che interessavano rispettivamente la zona a monte dei muri crollati e la zona a valle di questi fino al mare. Nella zona a monte si creavano distacchi e "disquamazioni" da pareti in sabbia lievemente cementate con superfici di distacco di nuova formazione, che finendo sulla parte sottostante, premevano sulle sabbie caotiche e scivolavano verso il mare. Questo fenomeno era amplificato e alimentato, oltre che dalle precipitazioni piovose, dalla intensa falda acquifera proveniente dal sottosuolo.
concluse che la frana di Vasto era riferibile a due fenomeni distinti seppur interdipendenti, che interessavano rispettivamente la zona a monte dei muri crollati e la zona a valle di questi fino al mare. Nella zona a monte si creavano distacchi e "disquamazioni" da pareti in sabbia lievemente cementate con superfici di distacco di nuova formazione, che finendo sulla parte sottostante, premevano sulle sabbie caotiche e scivolavano verso il mare. Questo fenomeno era amplificato e alimentato, oltre che dalle precipitazioni piovose, dalla intensa falda acquifera proveniente dal sottosuolo.
In
una successiva riunione in Comune, presieduta dall’on. Giuseppe Spataro,
vennero studiati i primi interventi concreti per salvare tutta l’area. "Tecnici e geologi", si legge sulle
colonne dell’Histonium, "troncando le puerili ipotesi di incompetenti
relative ai fenomeni del sottosuolo, han convenuto che deve terminare la permeazione
delle acque per passare al consolidamento dell’abitato in base agli studi
diligentissimi, con muraglie su teorie di piloni, che affondino profondamente.
Per il terreno a valle occorrono altre soluzioni, che assicurino la strada
statale e la ferrovia, non escluso l’esproprio per la piantagione di forti
alberi. Secondo il parere del chiar.mo prof. Penta è possibile salvare la
chiesa di S. Pietro, purché i provvedimenti tecnici soccorrino urgentemente
alla attuale stabilità del sacro edificio".
Il
progetto studiato dal Genio Civile di Chieti, che prevedeva la costruzione di
un muraglione di sostegno più a valle, venne bocciato dal Consiglio Superiore
dei Lavori Pubblici, il quale richiese altri tre progetti. Alla fine venne
scelto l’ultimo, il meno oneroso, che prevedeva la demolizione di tutta la zona
compresa tra piazza del Popolo e la chiesa di Sant’Antonio, e la costruzione di
grossi cunicoli comunicanti tra di loro per convogliare le acque sotterranee.
"I lavori, di cui l'Ufficio del Genio Civile
sta ora predisponendo il progetto esecutivo", si legge sull'Histonium nel settembre 1956, "prevedono la costruzione di un grosso
cunicolo (un sistema di piccole gallerie collegate tra loro e con pozzi
sovrastanti) ai piedi della scarpata a monte della linea ferroviaria, ove
dovranno essere convogliate anche le acque sotterranee. Il Genio Civile attende
ora i sondaggi in corso di ultimazione, in modo di essere in grado di stabilire
il tracciato del cunicolo. Nel progetto è anche prevista una grande piazza sul
luogo dove saranno demoliti i fabbricati pericolanti. Il declivio verrà
sistemato a scarpata, in cui verranno piantati alberi per consolidare il
terreno".
Dopo
sondaggi, sopralluoghi, progetti e continue modifiche, finalmente venne attuato
un ciclo d’interventi per risolvere definitivamente il problema della frana
lungo il costone orientale della città.
Per
la parte a valle, si decise la costruzione di un cunicolo drenante per
l’intercettazione delle acque di falda e la sistemazione generale superficiale
della zona sconvolta. Per la parte a picco, furono avanzate varie proposte, tra
cui la realizzazione di un muro di sostegno di altezza non superiore a quello
delle sabbie asciutte, oppure un muro di sostegno con sistemazione a scarpa di
tutto il fronte. Alla fine il Consiglio Superiore dei LL.PP. decise per la
semplice sagomatura della scarpata e la realizzazione di un sistema drenante
profondo.
Il
primo lotto dei lavori, appaltato all’Impresa I.CO.RI. di Roma, prevedeva la
realizzazione di un cunicolo drenante semincassato nelle argille compatte e un
cunicolo di eduzione destinato alla raccolta e all’allontanamento delle acque
di drenaggio. Notevoli le difficoltà incontrate per la realizzazione delle
opere e diverse anche le modifiche apportate in corso d’opera, proprio per gli
ostacoli incontrati. Furono realizzati anche tre pozzi di ispezione e drenanti,
ancora oggi ben visibili a chi si reca nella pista di atletica.
Il
secondo lotto dei lavori, appaltati sempre alla stessa impresa di Roma, si
svolsero contemporaneamente a quelli del primo lotto e prevedevano la
sistemazione del fosso Tubello, al quale, mediante una canalizzazione, erano
state portate le acque della galleria.
Un
terzo lotto di lavori, affidati ancora una volta alla I.CO.RI di Roma,
nell’estate del 1959, riguardò il completamento delle opere a valle e la
sistemazione della parete a picco.
Ultimato
l’intervento nella frana di valle si poterono trarre le prime conclusioni sulle
opere appena realizzate e sulla risposta di tutta la zona. I risultati furono
incoraggianti e le acque che fuoriuscivano dalle gallerie realizzate era della
portata di 5-6 litri al secondo, com’era stato accertato dalle osservazioni del
prof. Ventriglia nel 1956.
Lino
Spadaccini
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