domenica 24 febbraio 2019

Frana 1956 (5 di 5): LE CAUSE E I RIMEDI, UN MILIARDO DI LAVORI

 di LINO SPADACCINI 
LA GALLERIA DRENANTE

Alle prime notizie del disastro, l’on. Giuseppe Spataro, che era costantemente tenuto informato sul movimento franoso, si mise immediatamente in azione per procurare tutto l’aiuto possibile e per sollecitare l’intervento immediato del Governo.
Ad un primo convegno, da lui promosso, con la partecipazione di funzionari del Genio Civile, del Provveditorato all’OO.PP. dell’Aquila e componenti dell’Istituto delle Case Popolari, ne seguì un altro molto più importante, a cui presero parte l’isp. Piccioli, per il Ministero dei Lavori Pubblici, il prof. Penta, membro del Consiglio Superiore dei LL.PP., il Prefetto della Provincia, rappresentanti delle Ferrovie dello Stato, dell’Anas, Professori Universitari e Geologi, al fine di esaminare le cause della frana e studiarne i rimedi per arrestarla definitivamente. Per il Governo, partecipò direttamente l’on. Giuseppe Romita, titolare del Ministero dei Lavori Pubblici.
GALLERIA DRENANTE 

Tutti gli intervenuti al convegno denunciarono la gravità della situazione e la necessità di intervenire immediatamente. Finalmente si cominciò a parlare di fatti concreti, analizzando le cause del fenomeno e mettendo al centro dell’attenzione il risanamento definitivo di tutto il costone orientale. L’indagine geomorfologica (già iniziata nel 1955 da parte del Genio Civile di Chieti), consentì di ricostruire tutta la formazione stratigrafica del suolo sottostante Vasto, ed in particolare permise di costatare che la piattaforma di Vasto aveva una potenza di circa 30 metri costituita da 12 metri da sabbie sciolte, 3 metri da sabbia e ghiaia ed altri quindici metri da sabbie dal contenuto argilloso. La formazione sabbiosa era interessata, per circa 10 metri al di sopra del contatto con le argille compatte, da una falda acquifera di notevole intensità, quantificabile in 5-6 litri al secondo.
A conclusione degli accertamenti effettuati dai tecnici, si
concluse che la frana di Vasto era riferibile a due fenomeni distinti seppur interdipendenti, che interessavano rispettivamente la zona a monte dei muri crollati e la zona a valle di questi fino al mare. Nella zona a monte si creavano distacchi e "disquamazioni" da pareti in sabbia lievemente cementate con superfici di distacco di nuova formazione, che finendo sulla parte sottostante, premevano sulle sabbie caotiche e scivolavano verso il mare. Questo fenomeno era amplificato e alimentato, oltre che dalle precipitazioni piovose, dalla intensa falda acquifera proveniente dal sottosuolo.

In una successiva riunione in Comune, presieduta dall’on. Giuseppe Spataro, vennero studiati i primi interventi concreti per salvare tutta l’area. "Tecnici e geologi", si legge sulle colonne dell’Histonium, "troncando le puerili ipotesi di incompetenti relative ai fenomeni del sottosuolo, han convenuto che deve terminare la permeazione delle acque per passare al consolidamento dell’abitato in base agli studi diligentissimi, con muraglie su teorie di piloni, che affondino profondamente. Per il terreno a valle occorrono altre soluzioni, che assicurino la strada statale e la ferrovia, non escluso l’esproprio per la piantagione di forti alberi. Secondo il parere del chiar.mo prof. Penta è possibile salvare la chiesa di S. Pietro, purché i provvedimenti tecnici soccorrino urgentemente alla attuale stabilità del sacro edificio".
Il progetto studiato dal Genio Civile di Chieti, che prevedeva la costruzione di un muraglione di sostegno più a valle, venne bocciato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, il quale richiese altri tre progetti. Alla fine venne scelto l’ultimo, il meno oneroso, che prevedeva la demolizione di tutta la zona compresa tra piazza del Popolo e la chiesa di Sant’Antonio, e la costruzione di grossi cunicoli comunicanti tra di loro per convogliare le acque sotterranee.
"I lavori, di cui l'Ufficio del Genio Civile sta ora predisponendo il progetto esecutivo", si legge sull'Histonium nel settembre 1956, "prevedono la costruzione di un grosso cunicolo (un sistema di piccole gallerie collegate tra loro e con pozzi sovrastanti) ai piedi della scarpata a monte della linea ferroviaria, ove dovranno essere convogliate anche le acque sotterranee. Il Genio Civile attende ora i sondaggi in corso di ultimazione, in modo di essere in grado di stabilire il tracciato del cunicolo. Nel progetto è anche prevista una grande piazza sul luogo dove saranno demoliti i fabbricati pericolanti. Il declivio verrà sistemato a scarpata, in cui verranno piantati alberi per consolidare il terreno".
Dopo sondaggi, sopralluoghi, progetti e continue modifiche, finalmente venne attuato un ciclo d’interventi per risolvere definitivamente il problema della frana lungo il costone orientale della città.
Per la parte a valle, si decise la costruzione di un cunicolo drenante per l’intercettazione delle acque di falda e la sistemazione generale superficiale della zona sconvolta. Per la parte a picco, furono avanzate varie proposte, tra cui la realizzazione di un muro di sostegno di altezza non superiore a quello delle sabbie asciutte, oppure un muro di sostegno con sistemazione a scarpa di tutto il fronte. Alla fine il Consiglio Superiore dei LL.PP. decise per la semplice sagomatura della scarpata e la realizzazione di un sistema drenante profondo.

Il primo lotto dei lavori, appaltato all’Impresa I.CO.RI. di Roma, prevedeva la realizzazione di un cunicolo drenante semincassato nelle argille compatte e un cunicolo di eduzione destinato alla raccolta e all’allontanamento delle acque di drenaggio. Notevoli le difficoltà incontrate per la realizzazione delle opere e diverse anche le modifiche apportate in corso d’opera, proprio per gli ostacoli incontrati. Furono realizzati anche tre pozzi di ispezione e drenanti, ancora oggi ben visibili a chi si reca nella pista di atletica.
Il secondo lotto dei lavori, appaltati sempre alla stessa impresa di Roma, si svolsero contemporaneamente a quelli del primo lotto e prevedevano la sistemazione del fosso Tubello, al quale, mediante una canalizzazione, erano state portate le acque della galleria.
Un terzo lotto di lavori, affidati ancora una volta alla I.CO.RI di Roma, nell’estate del 1959, riguardò il completamento delle opere a valle e la sistemazione della parete a picco.
Ultimato l’intervento nella frana di valle si poterono trarre le prime conclusioni sulle opere appena realizzate e sulla risposta di tutta la zona. I risultati furono incoraggianti e le acque che fuoriuscivano dalle gallerie realizzate era della portata di 5-6 litri al secondo, com’era stato accertato dalle osservazioni del prof. Ventriglia nel 1956.

Lino Spadaccini



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