domenica 24 febbraio 2019

Dal taccuino di Angelo Del Moro:UNO STUDIO USA DIMOSTRA CHE IL CERVELLO DI CHI FOTOGRAFA TUTTI GLI EVENTI NON CONSERVA TRACCIA DEGLI STESSI.

STUDIO USA DIMOSTRA CHE IL CERVELLO DI CHI FOTOGRAFA TUTTI GLI EVENTI NON CONSERVA TRACCIA DEGLI STESSI.
di Angelo Del Moro
L'uso dei media può impedire alle persone di ricordare gli eventi che stanno tentando di preservare. Già nel 2017, uno studio inglese dimostrava come la semplice presenza del proprio smartphone riducesse la capacità cognitiva. Anche quando riusciamo a concentrarci su un libro, o su un film, dobbiamo evitare di cedere alla tentazione di controllare il telefono, lasciando meno risorse disponibili per risolvere
appieno ciò che stiamo facendo.
Ma torniamo allo studio americano: quando fotografiamo usiamo il nostro smartphone come se fosse un archivio di memoria. Certo, potremmo pensare che sia solo un cambiamento di mezzo; l'uomo quello delle caverne quando dipingeva graffiti ha sempre usato dispositivi esterni come aiuto per fissare la conoscenza. La scrittura, per esempio, assolve a questa funzione, dal diario segreto fino ai registri storici, che sono come "memorie esterne" collettive. Sempre di più, però tendiamo a dedicare pochissimo tempo a renderci cura della nostra memoria e mandiamo tutto nel cloud (letteralmente "nuvola" , si tratta di quello spazio di archiviazione accessibile in qualsiasi momento e in ogni luogo a patto di avere una connessione Internet).
Siamo stati a un matrimonio? Ci ricordiamo che cosa abbiamo mangiato? No, di sicuro abbiamo sul telefono immagini delle portate. Siamo andati a una mostra? Facilmente abbiamo fotografato un quadro, ma non ne ricordiamo l'autore. L'utilizzo sfrenato dello smartphone, insomma, diminuisce la nostra attenzione al contesto e, di conseguenza, sua alla memorizzazione al contesto e, di conseguenza, sua alla memorizzazione. La memoria, d'altronde, lavora come un muscolo; per funzionare deve essere esercitata regolarmente. Inoltre, se un'immagine può farci ricordare un frammento di un'episodio, questo è a scapito di tutti gli altri. Già nel 2017, uno studio della New York University, aveva constatato come l'acquisizione di foto, cioè l'attenzione visiva, eliminasse completamente l'attenzione per gli aspetti uditivi. I rischi, però, non si limitano all'amnesia dei dialoghi, ma si ripercuotono sulla nostra identità: quest'ultima, infatti, è il risultato di ciò che ci è stato insegnato, dalle nostre esperienze, accessibili attraverso i ricordi. La memoria, cioè, ci rende ciò che siamo. La costante documentazione fotografica delle esperienze di vita, quindi, altera anche il modo in cui vediamo noi stessi?
Sì, dicono ancora da Stanford, troppe immagini ci fanno ricordare passato statico e impediscono l'incursione di altri ricordi: rendono la nostra mente malleabile e meno adattabile ai cambiamenti generati dalla vita, congelando cosi la nostra identità. Proprio quello che un "normale" funzionamento della memoria eviterebbe: essa cambia con noi.
Vasto, 21.02.2019

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