di LINO SPADACCINI
Ottanta anni fa, il 15 dicembre 1938 ci lasciava Francesco Ciccarone, personaggio di spicco della vita politica vastese, eletto deputato nel collegio di Vasto nel 1904 e per altre due volte, per un totale di 16 anni di attività parlamentare.
Francesco Ciccarone nasce a Vasto il 29 maggio 1859, da
Silvio e Maria Cardone. Durante l’infanzia assiste quasi ignaro e inconsapevole
alle vicende che porteranno alla liberazione di Vasto e all’Unità Nazionale,
vedendo passare per casa, lungo Corso Plebiscito, illustri personaggi quali
Silvio e Bertrando Spaventa, Alfonso La Marmora e il marchese Pes di
Villamarina.
Nel 1870 entra nel celebre collegio Cicognini di Prato, dove
stringe amicizia con Luigi Nasci, Gabriele D’Annunzio, Ettore Montecchi e
Vincenzo Camerini. Dopo aver conseguito la licenza liceale a Firenze, si
trasferisce a Roma per frequentare la facoltà di giurisprudenza.
Il ritorno a Vasto, nel 1884, non è del tutto positivo e
l’entusiasmo giovanile acceso dalle vicende dell’epopea nazionale, si frantuma
difronte alle beghe e agli intrighi politici di quegli anni.
Rinchiuso in se stesso e nello studio, Francesco Ciccarone
apprende l’inglese, il tedesco e lo spagnolo; accresce la cultura storica e
filosofica, maturando pian piano una propria formazione politica sotto l’ombra
dell’amico Silvio Spaventa.
Nel 1888 un comitato gli offre la candidatura al Collegio di
Atessa, ma egli pur incoraggiato da Silvio Spaventa, rifiuta, perché non si
sente ancora pronto per il grande passo.
Nel 1895, accetta la candidatura per
il Collegio di Vastoe, malgrado l’incoraggiamento di Gabriele D’Annunzio ed il
sostegno del pittore Filippo Palizzi, tornato da Napoli per votarlo, registra
il primo insuccesso, seguito da analogo risultato, due anni più tardi, dove racimola
1105 voticontro i 1246 del Barone De Riseis, nonostante il palese sostegno del
settimanale localeIstonio, che nelle
settimane antecedenti la tornata elettorale scriveva: "Ed ecco perché questo popolomigliorando, cerca
unicamente in sé stesso il propugnatore delle sue idee, l’interprete dei suoi
bisogni e delle sue aspirazioni; ecco perché esso ama Francesco Ciccarone come
un figlio e lo invoca come un padre: ecco perché esso andrà a votare come
pecore matte, per ordine del superiore immediato, senza convinzioni e senza
ideali, ma vi andrà per un elevato sentimento di uomini, di cittadini e di
patrioti: ecco perché nella imminente battaglia arriderà la vittoria al
candidato locale il cui nome è fatto vessillo dal disinteresse e
dall’entusiasmo". Nonostante la sconfitta, il prestigio di Francesco
Ciccarone cresce sempre più, non solo a Vasto, ma anche in tutto il
circondario.
Nel 1899, attraverso una cerimonia intima con pochi
invitati, convola a nozze con D. Rosina Marcantonio, distinta e colta signorina
di Mozzagrogna, da cui avrà sei figli: Silvio, Antonio, Giuseppe, Maria, Giulia
e Enrichetta.
Finalmente, al terzo tentativo, il 6 novembre del 1904, con
1400 voti (contro i 1130 del barone Giovanni De Riseis) Francesco Ciccarone
entra in Parlamento: è il primo cittadino vastese a rappresentare il territorio
dall’Unità d’Italia. A Vasto c’è molto entusiasmo e il popolo festante canta
per le strade e per le campagne le strofe de "La rundunèlle", popolare canto scritto da Eugenio del Greco su
un motivo napoletano: "…e ccanda
Ciccarone va la Cambre ce s’appresènde come nu rugnande…".
Seguono 15 anni di intensa attività parlamentare. Tre le
proposte di legge promosse dal Ciccarone: nella XXII legislatura propone
l'istituzione di una Tombola telegrafica a favore dell'Ospedale di Chieti, ed
altra analoga in favore degli ospedali civili di Vasto e di Lanciano; nella
successiva legislatura propone un'iniziativa parlamentare per le modifiche alle
disposizioni di legge concernenti gli uscieri di conciliazione.
Come si evince dall'archivio storico della Camera dei
Deputati, trentanove sono in tutto gli interventi e citazioni effettuate
durante le sedute parlamentari, alcuni di particolare rilievo come sui
riformatori (maggio 1911), sull'ispettorato delle scuole medie (giugno 1912) e
sulle condizioni dei Convitti (maggio 1913), sugli scarsi fondi destinati agli
scavi archeologici, all'acquisto di opere d'arte ed alla conservazione dei monumenti (maggio
1911 e marzo 1912) e sul Tiro a Segno (giugno 1905).
Particolare attenzione anche alle questioni locali con
particolare attenzione per la costruzione del faro e la questione portuale, con
la classificazione di Punta Penna come approdo di prima classe nei riguardi
della difesa militare dello Stato.
A tal proposito, così riferisce il 7 gennaio
1907al Presidente ed ai Componenti della Commissione Parlamentare per le nuove
opere marittime: "Il Comune di Vasto
aspira da oltre mezzo secolo alla costruzione di un porto alla Punta della
Penna, situata a Nord-Est della città. Fin dal 1840 presentò al Governo
Borbonico, in concorrenza di Pescara e Ortona, una elaborata memoria
dell'illustre ingegnere Luigi Dau nella quale si dimostrava fino all'evidenza
tutte le circostanze favorevoli per la costruzione di un porto alla Pena, con
esclusione di ogni altro prossimo sito, per gl'inconvenienti che si sarebbero
altrove avuti e che purtroppo si sono avverati. La sua opinione intorno a Punta
Penna ebbe un eco fedele nella relazione posta al governo di quel tempo
dall'illustre ingegnere Cervati, il quale non trovò altra ragione per dare la
preferenza ad Ortona se non la maggiore vicinanza all'abitato, riconoscendo
però nella Punta della Penna tutti i requisiti per un porto militare e
commerciale".Continuando nella sua lunga e articolata esposizione sui
vari passaggi storici, sulle commissioni e sui pareri dei tecnici, chiude con
un appello: "Certamente desiderio di
Vasto è che si dia la preferenza a quel porto che, sorto pure in modeste
proporzioni, possa in seguito ampliarsi fino al punto da utilizzarsi, un
giorno, interamente quel magnifico specchio d'acqua che è Punta Penna per un
grande porto rifugio di cui difetta questa parte dell'Adriatico ed un comodo e
sicuro porto mercantile anch'esso mancante in Abruzzo; ma Vasto accetta, con
animo grato, anche un'opera portuale, che non abbia facilmente questi requisiti
pel futuro, nella certezza che conosciuta, con l'esperienza della navigazione,
l'eccezionale condizione del luogo, quelle opere maggiori che oggi, per ragioni
finanziarie e politiche non le sono concesse, saranno un giorno imposte dalle
imperiose necessità del grande commercio e della stessa Marina da guerra".
Nel 1919 rassegna le dimissioni.
Sicuramente avrà inciso in modo determinante la morte della moglie, trovandosi
costretto a dover crescere da solo i sei figli, ma anche fortemente deluso
dalla vita politica romana.
Così ricordava il Ciccarone, in un diario
manoscritto, l’ultima seduta parlamentare: "Ricordo che, quando il Presidente dichiarò sciolta la seduta, io rimasi
qualche istante quasi paralizzato e poi volsi gli occhi intorno alla sala come
se volessi fissarne bene il ricordo nella mia mente. Poi me ne andai
lentamente, non senza una certa tristezza, inseparabile da tutti i commiati, ma
anche con un senso di liberazione e di sollievo. Io lasciavo dietro a me 16
anni di amarezze, di disinganni, di sterili fatiche, di servitù e tornava
finalmente nella pace della famiglia, forse ai miei studi ed in ogni modo alla
piena indipendenza delle mie azioni. Ero entrato in quel tetro palazzo di
Montecitorio, fucina d’intrighi, di doppiezze per le quali io non ero nato, con
l’animo pieno di baldanza, di nobili sogni, di puri ideali, e ne usciva
materialmente affranto e moralmente sconfitto, amareggiato da disinganni d’ogni
sorta".
Nel 1998, a sessant'anni dalla morte, Maria De Luca e
Costantino Felice hanno rispolverato l'inedito diario manoscritto, conservato
presso l’archivio della storica famiglia vastese, pubblicando un
interessantissimo libro, fondamentale per ricostruire uno spaccato di vita
sociale e politica della nostra città tra '800 e '900.
Lino Spadaccini
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