venerdì 24 settembre 2021

GUIDO LACCETTI (1879-1943): compositore di successo, tra opere e docenza al conservatorio di Napoli


di  LINO SPADACCINI

Già in altre occasioni abbiamo avuto modo di approfondire una delle più prestigiose famiglie di Vasto, quella del capostipite Luigi Laccetti, valente letterato, poeta ed educatore, che fondò nella nostra città una scuola di belle lettere e filosofia, di suo figlio Francesco, chirurgo e anatomista di chiara fama, con i suoi figli Carlo, medico e chirurgo, e Guido, apprezzato compositore. Oggi vogliamo ricordare la figura di quest’ultimo, scomparso settantacinque anni fa,l’8 ottobre del 1943,
a Cava de' Tirreni.

Nato a Napoli il 1° ottobre del 1879, Guido Laccetti studia a Napoli presso il Conservatorio di S.Pietro a Maiella con i professori Alessandro Longo (pianoforte), Camillo De Nardis (armonia), Paolo Serrao (composizione) e Giuseppe Martucci (tecnica orchestrale).
Rivelando ben presto una forte e brillante tempra artistica, esordisce con un primo lavoro composto durante il corso degli studi accademici: La Contessa di San Remo, opera giocosa in un atto su argomento di Achille Torelli, eseguito al Conservatorio nella primavera del 1904 come saggio di studio.

Nel 1911 vince un concorso bandito dal Municipio di Napoli in collaborazione con il Teatro S. Carlo, per la realizzazione di un'opera inedita da rappresentarsi nella stagione successiva. La commissione esaminatrice, costituita dai maestri D'Arienzo, Palumbo, De Nardis, Pagliara e Clausetti, fra le diciotto opere presentate premia l'Hoffman del maestro Guido Laccetti, giudicata la più rispondente ai criteri artistici stabiliti dal bando.
"Il nuovo operista, già noto per fini composizioni musicali", si legge in un articolo sulla rivista mensile illustrata Varietas, "è figlio dell'insigne clinico professore Francesco Laccetti, da poco rapito alla scienza, il quale veniva da una famiglia d'illustri artisti abruzzesi. Egli dopo molti anni di studi, di tentativi e talora di sconforti, si appresta al gran cimento, che gli auguriamo vittorioso, per le rare doti del suo ingegno, per la sua fede, per i suoi entusiasmi giovanili, e sopra tutto per la rifioritura della musica italiana che tutti speriamo, in questa luminosa rinascita di vita nazionale".
La prima, al prestigioso Teatro S. Carlo, va in scena giovedì 11 aprile. Direttore d'orchestra è il M° Vittorio Gui, mentre i protagonisti principali sono il tenore José Palet, nei panni di Hoffmann, la soprano Olga Fiammingo, la mezzasoprano Elisa Petri ed il baritono Arturo Romboli. Le scenografie sono affidate a Ezechiele Guardascione.
Il libretto, diviso in tre atti, è di Vittorio Bianchi e Tullio Spada, e l'argomento è tratto da una novella di Theodor Hoffman (1776-1822), dal titolo Antonia. L'azione è ambientata agli inizi dell'800 e si svolge nei primi due atti in Germania; il terzo a Venezia, dove per il protagonista, ovvero l'autore stesso della novella, si chiude un idillio doloroso intrecciato con Antonia, una fanciulla vittima del suo grande amore . "La musica si ispira alle grandi tradizioni della melodia italiana", si legge sulle colonne dell'Istonio, "ma rivela anche una larga e compiuta assimilazione dei procedimenti tecnici moderni".

I commenti della stampa sono molto positivi. Sul Corriere della Sera, l'indomani della prima, si legge: "Il successo è stato ottimo. Furono bissati il duetto del secondo atto e l'intermezzo sinfonico del terzo, e l'autore fu evocato dieci volte al proscenio. Assisteva alla rappresentazione il Duca di Oporto". La stessa rivista specializzata Il teatro illustrato, ricorda "…il successo vivissimo riportato dall'Hoffmann davanti a un pubblico enorme, che si compiacque della rivelazione e applaudì, si lasciò andare all'entusiasmo, chiese bis, gustò la musica e festeggiò il giovane maestro". Ed ancora "…E veramente la fatica di Guido Laccetti meritava tale coronamento.Egli s'era apparecchiato a questa prova seria e decisiva della sua carriera con una costanza ammirevole  educando la sua sensibilità di artista squisito alle esigenze della tecnica e alle regole che governano l'opera teatrale".
L'opera verrà messa nuovamente in scena nel 1920 ed ancora nel gennaio del 1932 con una serie fortunata di repliche, tra cui quella del 30 gennaio eseguita alla presenza del Principe e della Principessa di Piemonte.Protagonisti della scena Ilde Brunazzi, Mario Duca, Anita Clinova e il Belmonte, abilmente diretti da Franco Capuana.

"Riaffermò allora le qualità di una musicalità fluida e garbata, le doti di una sincerità di melodizzazione che ha potere di immediata piacevolezza, e che non è mai sciatta, anzi inquadrata in una cornice strumentale delicatissima ed efficace nella sua grande semplicità", queste le parole del critico musicale Antonino Procida sulle colonne de Il Mattino. Ed ancora: "Queste doti che l'operista ha mostrato calando le orme dei modelli maggiori, e privo di velleità prematuramente rivoluzionarie, sono emerse anche iersera, ed anche più evidenti, in quanto l'opera appare fresca, piacevole, equilibrata anche dopo vent'anni. Ed è sinceramente piaciuta al pubblico… A Guido Laccetti deve esser di gran conforto il successo schietto, spontaneo, caloroso, che Hoffman ha riportato iersera, con le sue venti e più chiamate al proscenio e gli applausi a scena aperta da tutta la sala".


 L'opera successiva, Il Miracolo, viene eseguita in prima assoluta al Teatro San Carlo di Napoli, la sera del 21 gennaio 1915. Laccetti inizia a comporre le musiche della nuova opera,  con il titolo provvisorio La vergine di Burgos, già nella prima metà del 1910, così come annunciato sulle colonne del Corriere della Sera. Il libretto, della leggenda lirica in tre quadri, è del giornalista e drammaturgo abruzzese Ettore Moschino ed è tratto da un testo classico della letteratura trecentesca Lo specchio della vera penitenza di Jacopo Fassavanti.
La trama è piuttosto originale con tinte mistiche. Natalia è suora in un convento, dove fa la custode.È giovane e bella e s'innamora di un cavaliere che le rivolge la parola, gli sguardi infuocati e l'invito all'amore. Egli verrà a rapirla e Suor Natalia lo dice alla Madonna che sta sull'altare: "Vergine, ho lottato molti anni, ma non posso più resistere: io ti ho custodita sempre con cura e devozione, ma ora debbo andare dove l'amore mi chiama. Eccoti il mio velo, le chiavi, pensa tu all'avvenire". Quando giunge il cavaliere, Natalia getta il mantello monacale e salta in groppa al destriero con l'amante, fuggendo verso il suo nuovo destino. A quel punto la Madonna scende dall'altare, lasciando la nicchia vuota,  veste gli abiti di suor Natalia e adempie a tutti i doveri della fuggitiva. Così quando le suore scendono in chiesa per l'Angelus non si accorgono della sparizione della compagna, ma ritengono che qualcuno abbia rubata la Vergine. Passano tre anni e la fiamma tra i due amanti si spegne. A questo punto, disillusa e disgustata del mondo, Natalia decide di tornare in convento e chiedere perdono alla Madonna per averla abbandonata. Accompagnata dalle voci del cielo, rallegrate per il suo ritorno, Natalia entra in chiesa e indossa il suo manto e il suo velo certa di ricevere il perdono. Le suore, compagne di Natalia, entrando in chiesa, ritrovano nella sua nicchia la Madonna, che per tre anni era scomparsa, e gridano al miracolo."No, no, grida suor Natalia, io sono l'indegna ch'era fuggita e la Vergine, nella sua bontà mi aveva sostituita perché voi non mi malediceste, non vi accorgeste della mia fuga... Io sono stata tre anni in peccato, ma ora ne torno pentita". Le suore inizialmente credono che vaneggi, ma poi si convincono che Natalia dice il vero e tutte insieme inneggiano al suo nome soave: Ave, Ave, Ave!
Diretti dal maestro Vittorio Gui, le parti principali sono interpretate da Elvira Galezzi (Suor Natalia) e Giuseppe Micheli (il Cavaliere).

Dopo una lunga assenza, l'opera verrà rispolverata nel 1935 in occasione dei vent'anni dalla prima esecuzione, sempre al San Carlo di Napoli, con direttore d'orchestra Franco Capuana e con gl'interpreti Franca Somigli e Giuseppe Garuti.
La stessa opera viene trasmessa e apprezzata anche attraverso la radio, dove risalta più la musicalità dell'opera rispetto alle scene. "Tagliato con abilità, sceneggiato con gusto, verseggiato all'uso dei libretti d'opera del principio di questo secolo, con criteri ottocenteschi", si legge sulle pagine della rivistaIl Carroccio, "soffre alquanto di monotonia nell'ambiente, uniforme, mistico, in sordina, con una sola scena d'amore nel primo atto e con assenza dì personaggi maschili negli altri due. La poesia dolce e celestiale che pervade, lo rende piuttosto eccellente per un poema sinfonico che per un'opera teatrale:  il che fa si che, udito attraverso la radio, Il miracolo, si avvantaggi dell'esclusione della parte « spettacolo » e coreografia, mettendo in evidenza le grazie ed il valore della squisita musica di cui si riveste d'amore sacrilegio".

La sera del 13 febbraio 1925, al Teatro Costanzi di Roma (che ottiene il diritto di priorità sul San Carlo di Napoli), viene rappresentata Carnasciali, terza opera del maestro napoletano, su libretto dell'esperto Giovacchino Forzano, già autore di opere per Puccini, Mascagni e Leoncavallo.


"Quando il velario si è chiuso sul primo atto", riferisce il cronista de Il Vastese d'Oltre Oceano, "si sono avute due chiamate agli artisti ed all'autore e due all'autore solo; al secondo sei chiamate, di cui quattro all'autore solo; il terzo atto si è chiuso con due chiamate agli artisti, tre agli artisti e all'autore e due all'autore solo".
L'azione si svolge a Firenze, al tempo di Lorenzo il Magnifico, nel quartiere della "Potenza della Nebbia". È la vigilia del carnevale. I cittadini si danno da fare per gli ultimi preparativi. Baldo canta una canzone d'amore sotto la finestra di Bianca, moglie di Ilario, re della Potenza della Nebbia. Bianca gli risponde, poi scende. Ma sopraggiunge Ilario, circondato da una turba di allegri giovani fiorentini. Re Ilario fa promulgare un bando, in virtù del quale tutti i mariti che nei giorni del Carnasciale coglieranno in fallo le proprie mogli, non potranno protestare, ma anzi dovranno esser allegri e cantare una celebre canzone popolare. La folla, dapprima di ribella, ma poi si convince delle nobili intenzioni e finiscono per plaudire all'iniziativa. Partiti tutti, torna Baldo ad invocare amore e ospitalità dalla sua cara. Dopo una tiepida resistenza la donna cede e insieme all'amante si reca nella camera nuziale.
Cala la notte. Ilario torna a casa costringendo Baldo a rifugiarsi sul tetto. Fuori fa molto freddo. Ilario affacciandosi al balcone starnutisce e lo stesso è costretto a fare Baldo. Accortosi dello strano eco, Ilario ci prende gusto e ripete più volte il gesto. Poi divertito si corica a letto con la moglie. Il gioco non può andare avanti, alla fine Baldo richiama l'attenzione della gente e, scoperto, viene aiutato a scendere dallo stesso Ilario, non pensando che la sventura riguardasse proprio lui. Divertito dalla situazione e desideroso di conoscere il nome del marito tradito, in realtà non riceve alcuna risposta. Ma, rimasto solo e ripensando alla situazione, capisce che sul tetto si sarebbe potuto salire soltanto dalla sua stanza.

Nel terzo atto l'azione si sposta nel giardino della casa di Ilario. Baldo è con Bianca. Sopraggiunge Ilario, mentre il giovane amante si nasconde. Il marito si scaglia contro la moglie e la costringe a confessare. Interviene Baldo, ma dopo una breve lotta viene disarmato. Con il pugnale in mano Ilario rincorre la moglie per le stanze della casa, seguito da Baldo. Nel frattempo giunge la mascherata, col carro che ripete la scena toccata al re Ilario. Tutti lo beffano costringendolo a cantare la celebre canzone popolare dei mariti becchi. Ilario sta al gioco, ma la vendetta è presto servita. Rientrando in casa, cantando come un pazzo, ne esce poco dopo con un rozzo carretto dove sono adagiati i corpi insanguinati di Baldo e Bianca.

Positiva la recensione apparsa l'indomani sul Corriere della Sera: "L'esecuzione, in complesso, è stata pregevole e accurata. Il direttore, maestro Gabriele Santini, ha concertato il non facile spartito con molta coscienza, riuscendo a mettere in piena lice le qualità essenziali. Suo degno collaboratore è stato il direttore dei cori, maestro Consoli, che ha avuto un compito abbastanza scabroso. La parte di Ilario ha trovato nel baritono Parvis un interprete efficacissimo, sia nella parte comica che nella drammatica; un eccellente Baldo il tenore Merli e una graziosa Bianca la Giordano. Le due scene, dovute al pittore Augusto Carelli, sono apparse di bellissimo effetto".

Questa invece la recensione pubblicata su Musica d'Oggi del febbraio 1925, a firma di Saverio Procida: "Guido Laccetti, già presentandosi con un fresco giovanile Hofmann e con Il miracolo troppo asperso di soprannaturale per un temperamento realistico come il suo, ha, in Carnasciali, affermato più robustamente il suo ingegno elegante, accresciuta la sua tecnica di forbito orchestratore, sveltita la mano nell'impasto dei colori fonici ed equilibrato meglio i rapporti tra voci e inquadratura strumentale. Il coro è trattato con elasticità nelle disposizioni delle parti e gli effetti non trasmodano né in sonorità né in ricalcature enfatiche. Ciarle, bisbigli, filastrocche, contrasti, sono tessuti da una spola abile e svelta, con un gioco tematico condotto finemente. Dirò, anzi, che il maestro si è lasciato troppo irretire dall'episodeggiare gaio dell'argomento. Il comico è la cornice magari troppo sproporzionata per un quadro a finalità tragica. Quando il compositore deve spazzare questa cornice festiva, se la trova davanti troppo voluminosa e le sue sagome leggiadre, gli svolazzi e gli orpelli prevalgono con tirannia sull'incrinatura improvvisa della commedia verso il dramma". Ed ancora: "La partitura del Laccetti è nitida, fresca di ritmica e di fluidità dialogica, sapiente d'orditura vocale e corale e potrà con vittorioso decoro affrontare il giudizio di pubblici anche più esigenti di quello romano, che ha offerto con larga cordialità di successo le palme di operista al giovane e non più acerbo compositore napoletano". Queste invece le impressione dell'Avv. Clemente Sargiacomo, presente alla prima insieme ad altri concittadini vastesi: "Basti accennare al successo, pieno, sincero, incontrastato ottenuto dalla nuova opera, che se non ha rivelato un nuovo genio, poiché il M. Laccetti era già conosciuto per altri suoi lavori, pure ha segnato una nuova era per il valente compositore. Il pubblico eletto ed elegante che gremiva in ogni ordine di posti l'ampio Teatro Costanzi, ha tributato al valente musicista applausi calorosi ed entusiasti alla fine di ogni atto. Le chiamate furono innumerevoli, quasi una ventina. Anche il Principe ereditario, presente alla rappresentazione, ha voluto manifestare il suo alto compiacimento al maestro, e dopo averlo fatto chiamare nel suo palco si è felicitato sinceramente con lui, augurandogli maggiori trionfi".In chiusura di commento entra in gioco l'orgoglio vastese: "Noi come Vastesi, ci sentiamo fieri ed orgogliosi di questo nobile figlio di sí eletto genitore, e lieti del suo trionfo formuliamo per lui un augurio caldo e sincero. Sempre più in alto, Maestro Laccetti. Per il buon nome della nostra stirpe, per la gloria della nostra Patria!".

Per l'occasione il Sindaco di Vasto, a nome della cittadinanza, invia un telegramma di congratulazioni. Laccetti risponde con queste parole: "Sindaco - Vasto. Commosso voce terra di origine, sempre cara mio cuore, sentitamente ringrazio".

Nel febbraio del 1930 l'opera viene nuovamente messa in scena con successo al Teatro San Carlo di Napoli, alla presenza della Regina Amelia, di Isabella duchessa di Guisa e di Elena duchessa d'Aosta. Anche questa volta i concittadini vastesi, attraverso i soci del Radio Club, inviano un messaggio di augurio al compositore: "Col pubblico San Carlo plaudono socii Radio - Club vastese che commossi esultanti assistettero iersera trionfo opera «Carnasciali» trasmesso apparecchio Nora augurando nuovi successi illustre autore degno figlio Francesco Laccetti gloria Vasto".

Nel 1935 il Laccetti termina la partitura per l'ultima opera La favola dei gobbi, un atto unico su un testo trecentesco.
Più che al teatro, Guido Laccetti dedica gran parte della vita all'insegnamento, in particolare al Conservatorio di San Pietro a Maiella a Napoli ed al Conservatorio musicale di Palermo.

Tra gli altri lavori si ricordano Melisenda, preludio (1903), Suite in re per orchestra op.3 Romanza (soli archi) Scherzo (orchestra) Marcia nuziale (orchestra), eseguita per la prima volta nel Conservatorio di Musica di Napoli, Litanie dalla guerra (su versi di Luigi Laccetti), scritta durante il primo conflitto mondiale ed eseguito a S.Maria delle Grazie a Udine nel 1916,  Margherita (su versi di Enrico Panzacchi), Me taire, te regarder (su versi di MargueriteBurnat-Provins), Due pezzi per pianoforte (1. Novelletta, 2. LesCloches) e Cinque liriche indiane per canto e pianoforte (1922), su versi di Luigi Laccetti ispirati a Il giardiniere di Tagore. Laccetti, durante gli anni di insegnamento al Conservatorio S.Pietro a Maiella, lascia alcuni lavori didattici come Corso d'armonia, Manuale di tecnica istrumentalee 13 formule per modulare da qualsiasi tonalità a tutti i toni vicini e lontani.
Nel 1929 la stampa dà ampio risalto al rinvenimento nell'archivio di San Pietro a Maiella da parte del Laccetti di  una suonata inedita del Pergolesi, citata da vari critici musicali, ma mai trovata. Della stessa il Laccetti ne trascrive una versione per violino e piano.

Guido Laccetti scompare all'età di settantacinque anni,l’8 ottobre del 1943, a Cava de’ Tirreni.
Con atto del 31 maggio 1948 i fratelli Luigi, Maria, Carlo, Clelia e Giuseppe Laccetti, donano al Conservatorio di San Pietro a Maiella di Napoli tutti i manoscritti musicali e alcuni volumi a stampa. Con decreto del Presidente della Repubblica del 21 dicembre 1948, dietro proposta del Ministero per la pubblica istruzione, viene autorizzata l'accettazione della donazione.

Lino Spadaccini












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