di Lino Spadaccini
Se le foto presentate in questi giorni, ci hanno
offerto delle immagini straordinarie della nostra costa, ricca di colori e
sfumature, anche le foto in bianco e nero, originali d'epoca, hanno il loro
fascino, ma
soprattutto rappresentano la memoria storica di un passato ormai
scomparso o trasformato dalla natura o dall'uomo stesso. Un esempio lampante è
la costruzione del Porto di Punta Penna che ha cancellato uno degli angoli più
belli e suggestivi della costa vastese: "lo scoglio spaccato". Da
sopra il promontorio, attraverso una piccola fessura si entrava come in una
caverna sotterranea, inizialmente molto stretta, fino ad arrivare ad una
caverna più ampia in prossimità del mare. Un vero spettacolo per i nostri
padri, che amavano recarsi in quel posto meraviglioso per indimenticabili
scampagnate.
La descrizione più completa del luogo ce l’ha tramandata
Francesco Pisarri attraverso le colonne del Il
Vastese d’Oltre Oceano del 25 aprile 1926: "In questa scogliera", scriveva il letterato e giornalista
vastese, "ma più verso l’estremo
apice della pinta, è lo «Scoglio spaccato». Per un viottolino dirupato si
scivola verso il mare; per una piccola fessura si entra, come in una caverna
sotterranea, in uno stretto budello; poi la caverna si apre e si trova
all’improvviso di fronte un pezzo di mare turchino e di sopra un pezzo di cielo
azzurro. Intorno, massi ciclopici che pare debbano schiacciarci da un momento
all’altro. Sotto i piedi, sabbia finissima; e fra roccia e sabbia zampilla una
vena d’acqua fresca e dolce. Il mare è a due passi. Come è gradevole merendare
colà!".
Le foto d'epoca ci restituiscono gli storici trabocchi in
tutta la loro bellezza, i famosi ragni tanto decantati da Gabriele D'Annunzio,
dalle strutture apparentemente precarie, simili a preistoriche creature dalle
lunghe antenne, capaci di resistere alla potenza del mare. Spicca per la
bellezza dello scenario quello di Punta d'Erce, sospeso sugli scogli e
collegato alla terra ferma con una esile passerella formata da tronchi di
legno.
Chiudiamo con i versi di Osvaldo Santoro dedicati al
traboccante.
Lu trabbuccante
Huardelu mare e
cantemarenare,
da
lutrabbocchehuèrdeciéle e mare.
Vide lu sole a nasce
gnena spose,
da
chišt'Abbruzzenoštre, scìbbendétte.
Cante a l'amore,
cantenchelu core,
pe Cuncettine che le
stà a spettà.
Jamme, lupésce a
grasce ha da 'cchiappà,
mijèlle, gragnilitte,
sgumbre emurme,
sardèlle, spìgule,
curve e panocchje,
ca nu vrudéttebèlle da
signore
èmaaggiustàca ugge è
jurnebbone:
bunazze manche
n'ucchje e ciéle blu,
štu mare è ricche, e
ricche sémenù;
ricchézze de salute e
d'allegrie.
Vulésse nu trabbocche
pure ji!
EccheSettèmbre, è
bèlle la campagne:
vénaquatrarenchenacištarelle
te porte l'uva bianche
e la 'nzalate
e tu fì a 'ccagnenche
nu cconepésce
ccuscìcuntinte tutte'
dduarejate.
Tocche aresajjep'arejì
a la case;
cale lu sole e tutte
se fa rosce,
pure Cuncettine 'm
mpcche de porte.
E pe lutrabbuccante è…
Bona notte.
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