Un giorno il frate andò a Palazzo d'Avalos dalla Marchesa: "cominciò a parlare con tanto fervore della Madonna, che andò in estasi: con le braccia aperte e mantenendo gli occhi aperti in lagrime, si elevò in aria per circa un’ora".
Ebbe anche un'altra estasi, narrano le cronache.
Ebbe anche un'altra estasi, narrano le cronache.
di LINO SPADACCINI
Sant’Onofrio trasmette ancora oggi un fascino del tutto
particolare che dura da oltre seicento anni. Oltre alle bellezze artistiche
della chiesa, dell'antico convento si conserva la memoria di molti frati
vissuti in odore di santità: diversi hanno trovato sepoltura all’interno della
chiesa, mentre altri sono stati solo di passaggio, ma hanno lasciato comunque un’impronta
profonda.
Uno di questi è senz'altro Fra Umile da Guglionesi, laico riformato,
morto nel Convento di S. Bernardino a Monteodorisio il 17 giugno del 1680.
Nato nella cittadina molisana intorno al 1600, fra Umile
perse i genitori all’età di dieci anni e visse con una zia molto religiosa che lo
educò secondo la dottrina cristiana. A vent’anni entrò in convento come
semplice frate e gli venne dato il nome Umile proprio perché quella era una
delle
sue principali qualità.
Tutta la sua vita fu un continuo digiunare: non mangiò mai
carne, salvo se gli veniva ordinato dai superiori, e in quaresima e nelle
festività si cibava solo di un tozzo di pane o un po’ di minestra scondita; per
diversi giorni rimaneva anche a digiuno completo. Si mortificava il corpo
indossando un cilicio con punte acutissime che gli entravano nella carne. Quasi
ogni notte si flagellava fino a quando non si vedeva il sangue a terra.
Nel Convento di Sant’Onofrio a Vasto ricopriva l’incarico di
cercatore. Un giorno andò al palazzo del marchese D. Diego d’Avalos,
accompagnato da Fra Francesco di Cercello, per chiedere l’elemosina a D.
Francesca Carafa; benché la marchesa era a colloquio con l’Arcivescovo di
Lanciano Mons. Carafa, non perse l’occasione perché era da tempo che desiderava
incontrare il frate di cui tanto si parlava.
Fattolo accomodare nella stanza insieme al compagno, la
marchesa cominciò a fargli delle domande sui suoi esercizi spirituali, e delle
sue continue meditazioni, ma frate Umile così rispose: "Signora, io sono un povero Frate laico, ed
appena sà recitare il Pater Noster". "No!", la interruppe la marchesa, "io bramo sapere da Vostra Riverenza qualche divota orazione".
Il frate continuava a ripetere che lui era un servo inutile nella casa di Dio,
ma D. Francesca Carafa lo mise alle strette, sapendo per certo che lui era
devotissimo alla Vergine Addolorata, e gli disse: "Frate Umile mio, si contenti di spiegarmi i dolori della Madre di Dio,
perché anche io ne sono divota".
La richiesta della marchesa fu uno
stimolo così forte che il frate cominciò a parlare con tanto fervore dei dolori
della Madonna e andò in estasi: con le braccia aperte e mantenendo gli occhi
aperti in lagrime, si elevò in aria per circa un’ora.
Davanti a quel miracolo
erano presenti oltre alla marchesa ed a Mons. Arcivescovo, anche il giovane Don Cesare Michelangelo d’Avalos,
futuro Marchese del Vasto, e tante altre persone che si trovavano nel Palazzo.
Quando frate Francesco vide tutta quella gente che accorreva
per vedere il compagno, e la stessa marchesa che piangeva per l’emozione,
supplicò Mons. Carafa, di richiamare frate Umile alla Santa obbedienza. Il
frate rivenuto in sé, si mise in ginocchio e si scusò davanti ai presenti
perché si era addormentato a causa dei patimenti subiti la notte precedente.
Frate Umile ebbe un'altra estasi, sempre a Palazzo d’Avalos,
alla presenza della Marchesa Carafa e del Principe don Cesare Michelangelo. Una
dama di corte era gravemente ammalata e chiese le preghiere di frate Umile, ma
quando gli baciò il cordone, il frate si elevò in aria con le braccia aperte,
ma con la punta degli zoccoli che toccavano per terra. Richiamato da frate
Francesco di Cercello, assicurò l’inferma che sarebbe guarita, come in effetti
avvenne.
Quando andava per le strade di Vasto a elemosinare il pane,
tanto ne riceveva e tanto ne elargiva ai poveri, i quali, stremati dalla fame,
spesso lo seguivano. Ma tanto pane elargiva ai poveri, tanto se ne ritrovava
nelle tasche. Operò anche miracoli sul vino, riempiendo botti vuote.
Era così mirabile la sua fede che invocando il nome di Gesù,
o col segno della croce, oppure toccando la sua corona del rosario, guarì molti
malati in fin di vita.
Passato al convento di Monteodorisio, frate Umile morì il 17
giugno del 1780. La notizia si sparse presto in tutto il circondario: il
Marchese, seguito da tutta la sua numerosa corte, e tantissima gente da Vasto,
ma anche dai centri vicini, si recarono a Monteodorisio per venerare la salma.
Per soddisfare la numerosa folla accorsa, fu necessario esporre il feretro per
tre giorni. Nonostante fosse custodito con diligenza, non si riuscì a
trattenere la folla, che fece in mille pezzi il saio del "santo" pur
di riportare una reliquia a casa. Il terzo giorno gli fu aperta la vena del
braccio destro e ne uscì sangue vivo e abbondante, tanto da riempire due
ampolle di vetro, e si bagnarono molti panni di lino.
Lino Spadaccini
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