giovedì 8 marzo 2018

Polsi e "Nustalgie de Vaste", un vero e proprio inno alla terra d'adozione



Link per ascoltare la canzone NUSTALGIE DE VASTE cantata da Gaetano Ciancio http://www.vastospa.it/html/canti/musica/Nostalgia_di_vasto.mp3

di LINO SPADACCINI


Aniello Polsi, illustre compositore e poeta abruzzese, nativo di Mutignano (Te) e vastese d'adozione, autore di commedie, romanze, inni e musica sacra, deve la sua grande notorietà soprattutto alla cospicua produzione di canzoni popolari, attraverso la "bella parlatura pajsane", come affermava il compianto don Salvatore Pepe. "Di tale parlatura", puntualizzava il sacerdote vastese nella prefazione al volumetto "Ariette pajsane", pubblicato nel 1965, "che non è solo il dialetto del popolo, ma il linguaggio dei suoi sentimenti, ricco di espressioni imprevedibili oltre che intraducibili".
I versi del M° Polsi sono più di semplici parole "messe in colonna così, come le ho sentite", come
soleva affermare l’autore stesso, scritte su fogli, quasi per caso, senza rime o preziosismi ermetici, tipici della poesia. I risultati ottenuti vannoben oltre, proprio perché alla bellezza semplice e immediata dei versi si abbina una straordinaria melodia capace di entrare nel cuore e nella testa delle persone. Il ritornello de "La canzone de nonne" ne è solo un piccolo esempio: Tuppe-tuppe a lumurtale / s'à ‘mmalateluspiziale, / pe' la troppa malatije / s'à vinnute la spiziarije. / Ndi, ndi, nde, / quand'è belle lucìtele me'. Come scriveva il critico lancianese Giuseppe Rosato in un articolo pubblicato nel 1973, "…È difficile non ricordare il motivo, quel filo conduttore che attraverso il recupero di un’aria popolare porta dall’orecchio al sentimento il ricordo, o più ancora la riconquista, di un caro mondo di affetti che sono in sostanza un nostro patrimonio comune".
Tra le innumerevoli canzoni del vasto repertorio popolare del M° Polsi, in cui traspare tutta la raffinatezza poetica, con spiccato richiamo al tema della nostalgia, della lontananza da casa e dall'amore,ricordiamo: La Scaffette, Ci stave 'na vote, Vocche a vocche, Arivinghe a primavere, 'N terra straniere, la già citata La canzone de nonne e, soprattutto, Nustalgie de Vaste, un vero e proprio inno alla terra d'adozione.
Scritta nell'immediato dopoguerra e dedicata a Carlo Marinucci, illustre cittadino vastese che emigrò in Argentina seguendo le orme dello zio Carlo Della Penna, nonché fondatore insieme a Espedito Ferrara e Angelo Cianci del periodico Histonium, lo spartito ed il testo della canzone vennero pubblicati sul n.10 del 1947 del quindicinale vastese.
Oltre a fare il giro del mondo, attraverso la testata vastese diretta da Ferrara, Polsi stampò diverse copie per farne gentile omaggio con dedica ai suoi amici più cari.
Alfredo Guzzetti, apprezzando il gentile dono, così scrisse il 25 febbraio 1948 al M° Polsi: "Le semplici, toccanti parole, e la musica melodiosa, formano un complesso vivo e palpitante di amore triste ed avvincente realizzato in maniera veramente magistrale.Bravo!Nessuno più di me e meglio di me fu malato di nostalgia per questa nostra impareggiabile Vasto sia nelle interminabili giornate trascorse in terra in Terra Africana che in quelle più dolorose e tristi passate alle impervie pendici dell'Ymalaya.Puoi quindi facilmente immaginare quanto piacere mi hai fatto offrendomi il dolce patetico canto". Il giorno successivo il musicista casolano Filippo De Cinque scrisse: "Mio caro Maestro,altro che non dare un giudizio più che di ammirazione – anche se di un umile amico e collega – per la vostra ispirata, suggestiva e veramente nostalgica canzone! Grazie, molte grazie di cuore pel ricordo assai caro. E l'augurio paterno che molto altre bellissime compagne vengano da Voi donate all'arte divina, moltissime e superbe altre gioie siano da essa riserbate all'artista gentilissimo". Un biglietto di ringraziamento giunse anche da don Salvatore Pepe dalla basilica di S. Petronio a Bologna: "Caro Maestro,siete nobile e gentile fino al punto di avere un pensiero per me!Mi avete commosso, e Ve ne sono grato, assicurandovi modesta, ma viva risonanza".
Il 16 marzo dello stesso anno, il Generale d'Aeronautica Vittorio Giovine, attento osservatore delle vicende vastesi e grandi appassionato di musica, scrisse la seguente lettera:

Egregio Maestro,
"Nostalgia di Vasto" mi era già nota per averla letta sul numero di "Histonium" del Natale u.s. Aggiungo che recentemente, trovandosi a Roma l'amico Florindo R. Chinni, ben nota anima d'artista, non ho mancato, pur nella fugacità della sua graditissima visita, di commentare con lui la suggestiva canzone e pregarlo di ripetermela al piano.
Con simultaneità telepatica Ella, caro Maestro, mi faceva offerta della copia speciale, ornandola di cordialissima dedica autografa.
Ciò m'incoraggia a dirle la mia impressione ed è che l'ampio e genuino respiro della melodia a due voci, di fattura squisitamente folcloristica, rivela, attraverso la limpida paginetta, una concretezza stilistica, che è quella di una mente musicale che "sa il fatto suo" e che ben conosce il soggetto che tratta, tutto sole, tutto mare e giardino. Il canto, brioso e passionale a un tempo, si ispira a tale purezza di sentimento da ricondurre l'ascoltatore, davvero con volo nostalgico, alle incancellabili e dolcissime impressioni dell'infanzia. Quando una cosa così semplice riesce a commuovere, essa è certo nel dominio dell'arte, col conseguente privilegio della stabilità. Ben sappiamo, del resto, come sia virtù propria della Musica quella di sorprendere, fermare e tramandare, nella più spontanea ed efficace interpretazione, la divina bellezza delle cose naturali e la ineguagliabile potenza dei sentimenti più cari.
Sia dunque concesso a me, per la passione che ho delle cose belle, di dirle un "bravo!" di cuore e ringraziarLa, non soltanto per l'offerta gentile, ma anche e soprattutto per la felice creazione che aggiunge magnificenza e amore alla terra che mi è tanto cara.
Con animo grato, La saluto cordialmente.
       Vittorio Giovine

Due anni più tardi, il 18 gennaio del 1950, in una successiva lettera inviata al M° Polsi, Vittorio Giovine tornò sulla composizione: "…Passando ad altro argomento, ho qui sott'occhio, ripescata fra le tante carte di musica, la Sua "Nostalgia di Vasto", che mi ripasso a fiato sommesso col mio dimenticatissimo Böhm. È sempre bellissima nella sua semplicità e in quella cullante nenia di barcarola le dà un sapor di marina, dall'ondeggiante ritmo e il tonfo lieve del remo. Io non ricordo cosa Le scrissi nel febbraio del 48, quando ebbe l'amabilità di farmene omaggio con bellissima dedica; ma ricordo di aver scritto con spontaneità e cuore su questa Sua graziosa composizione, che mi colpì come un classico brano di danza. Mi piace ripeterle questa mia gradita impressione, anche se questo suo nostalgico canto ha un posto non eminente nel quadro delle Sue ben più complesse composizioni. Qui è che la mano maestra si svela anche nel tratto semplice".
Ma andiamo a rileggere il brano, così come lo conosciamo, precisando che del testo esistono varie versioni con leggere variazioni di scrittura che, comunque, non ne cambiano la sostanza:

Vaste bbelle tra mare e giardine
paradise terrestre tu si'.
nghelu core ti tinghe vicine,
'nnanz' a l'ucchie tu sempre mi sti'.

Rit.:Vularrìvulà, Vaste me',
pe' 'navodda sole da te.
Ma quande, quande sta lundananze
nen chiù me separe?
Ma quande, quande i' chi luciele
turchine arimire?
Ah!...

Scaramuzze, Casarze, Vignole,
Cungarelle, lu Fare... che chiù?
O chiesette diSande Nicole,
m'aricorde i' sempre de vu'.  Rit.

Tra le cose chiù care e chiu'sande,
che cunzirve tu, Vaste, pe' me,
ci sta mamme ch'aspette da tande
luritorne pe' ma revedè.

Rit.:Vularrìvulà, mamma me,
pe' 'navodda sole da te.
Maquande, quande sta lundananze
che chiù me separe?
Ma quande,quande i' chi lu nome
aduraterichiame?!...
Ah!...

Un'ultima curiosità. Tra le carte conservate nel fondo Polsi presso la Biblioteca R. Mattioli di Vasto è conservato un testo dattiloscritto del brano, dove è presente una quarta strofa, successivamente eliminata, che fa riferimento all'amata ed al desiderio di sposarsi:

Mamme aspette e m'aspitte tu pure,
o Marì, cà ci avemaspusà;
ma st'attese, sapissegne dure,
pare tempe che ma' vo' passà. Rit.




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