riceviamo e pubblichiamo
Catturati da uno sguardo
Domenica 3 dicembre davanti ad una significativa rappresentanza dei fedeli è stato illustrato il lavoro di restauro sulla tela di San Giovanni Battista.
Il Parroco, Don Domenico ha ringraziato la restauratrice Michela Tavano e il Dott. Sergio Caranfa, funzionario della Soprintendenza. Quest’ultimo ha seguito tutte le fasi del lavoro fino all’ultimo sopralluogo fatto il 30 ottobre in compagnia dell’Arcivescovo che, proprio con Caranfa, si è particolarmente congratulato per il metodo di approccio all’opera. Il soggetto della tela, come ha sottolineato il parroco, è rappresentato alla luce del IV Vangelo (Vangelo di Giovanni) che descrive il più grande fra i nati di donna, non tanto come “battezzatore” ma come Testimone e Precursore. In tutta la scena risuonano le parole dell’Evangelista Giovanni che nel primo capitolo del suo Vangelo parla di Colui che non è luce ma che “doveva dare testimonianza alla luce” (Gv 1,8); colui che pur precedendo nella predicazione il Messia viene dopo di lui, “dopo di me viene un uomo che è avanti a me” (Gv 1,31).
Le prime battute sono state dedicate dunque alla presentazione del soggetto, che con umiltà guarda i suoi discepoli e indica l’Agnello: facendosi voce della Parola segna il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento. Lo stesso tramonto, infatti, che fa da sfondo all’opera, è cifra di quel passaggio dal vecchio al nuovo giorno. Don Domenico è poi passato ad illustrare le fasi del restauro avvalendosi delle immagini preparate dalla Tavano soffermandosi, in particolare, sull’arte di liberare la mano dell’artista originale. In modo sublime il lavoro di restauro ha restituito un volto particolarmente luminoso nel suo incarnato e uno sguardo profondo. La scena rappresenta proprio il riconoscimento di Gesù come Messia, lo sguardo di Giovanni è fisso sul fedele come lo fu su Andrea e l’altro suo discepolo che “sentendolo parlare così, seguirono Gesù” (Gv 1, 37). Il visitatore, dunque, è quasi catturato dalla profondità di quello sguardo e di quelle labbra appena aperte che parlano dell’Agnello, indicato con la mano e rappresentato simbolicamente ai suoi piedi.
La serata poi è stata particolarmente preziosa per le parole del Prof. Paolo Calvano che, studiando lo stemma riemerso con maggiore chiarezza dopo il lavoro, ha potuto correggere la datazione del capolavoro. L’opera che anche dalle schede della Soprintendenza era considerata del XIX secolo, può invece essere considerata della metà del XVII secolo visto che la committenza è della famiglia D’Arcangelo-Invitti che aveva avuto un figlio di nome Giovanni nato nel 1650 e morto nel 1688.
L’ultima pennellata della sera è stata quella della restauratrice che, con parole molto personali, ha descritto il suo lavoro durato quasi nove mesi in cui ha avuto l’opportunità di fare un salto nel tempo alla conoscenza della sensibilità e della competenza dell’artista. Michela Tavano ha così condiviso con il pubblico la dolce fatica di restituire decoro all’opera liberandola dai ritocchi impropri del passato e risanandone anche le lacerazioni presenti che ne mortificavano la bellezza. Persino la scritta “Ecce agnus Dei” era stata in passato ritoccata male e riportata sul verso sbagliato del cartiglio (con l’aggravante di aver scritto Agnus con la parola sbagliata Angnus). L’occhio della restauratrice, che pian piano si è allenato nei lunghi mesi a scrutare la bellezza nascosta, non ha fatto altro che riconsegnare l’incanto il più possibile vicino all’originale perché l’autore continui a dialogare con il visitatore di oggi. Alla fine della presentazione tutti hanno potuto vedere da vicino la tela che nei prossimi giorni verrà ricollocata nella cappella del Fonte.
(Dal sito di S. Maria Maggiore)
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