di LINO SPADACCINI
DSentir
parlare di colonia marina, sembra quasi parlare di tempi lontani. Il nome stesso è
ormai in disuso, sostituito da altri nomi più moderni come Centri estivi,
campeggi, Campus, Grest o Summer Camp, specifico per i ragazzi che vogliono
studiare l'inglese.
La
prima colonia estiva in Italia ha origini antichissime:
risale al 1822 quando
l’Ospedale di Lucca progetta nella vicina spiaggia di Viareggio una colonia per i bambini disagiati. In quegli anni, il medico Giuseppe Barellai, dopo aver portato tre bambini scrofolotici nella spiaggia di Viareggio ed averli sottoposti a bagni di sole e di mare, notò evidenti miglioramenti.
l’Ospedale di Lucca progetta nella vicina spiaggia di Viareggio una colonia per i bambini disagiati. In quegli anni, il medico Giuseppe Barellai, dopo aver portato tre bambini scrofolotici nella spiaggia di Viareggio ed averli sottoposti a bagni di sole e di mare, notò evidenti miglioramenti.
Verso
la metà dell’Ottocento si contarono già una cinquantina di colonie marine, per
lo più localizzate in Emilia Romagna e Toscana.
Da
una primitiva connotazione di mere case di cura, le colonie assunsero con
l’andare del tempo anche la funzione di strutture dedicate ai bambini, che
durante la stagione estiva, le frequentavano per irrobustirsi e giocare,
divertendosi e socializzando con i propri coetanei.Con l’avvento del fascismo,
le colonie crebbero enormemente e vennero frequentate da grandi masse di
bambini. I bimbi ospitati entrarono a far parte di cittadelle dedicate all'infanzia,
all'interno delle quali si radunavano i giovani balilla svolgendo attività
fisica, sport, giochi, bagni di sole e di mare.
Su
iniziativa del Partito Nazionale Fascista, vennero edificati enormi strutture
capaci di ospitare più di mille bambini, come ad esempio la colonia marina
Bolognese di Rimini, realizzata nel 1934, con ben 2000 posti letto.
Anche
per Vasto per la colonia intitolata alla "Principessa di Piemonte", portata
avanti dalla Croce Rossa Italiana e dall'Opera Nazionale Combattenti, si pensò
di realizzare una struttura moderna e accogliente, come si può notare
dall’interessante progetto realizzato dall’Arch. Luigi Martella, formato da una
struttura semicircolare con la parte centrale su più livelli, dotato dei
maggiori conforts, ed anche una cappella per la celebrazione della S. Messa.Il
progetto non andò in porto e al posto della mega struttura ci si continuò ad
arrangiare nei due capannoni situati vicino alla Pineta del Littorio.
L’inaugurazione
della colonia avvenne il 20 luglio 1930, così come riportato sulle colonne del
periodicoIl Vastese d'Oltre Oceano:
"Con avviso a stampa indirizzato
alla cittadinanza, a firma dei Delegati del Comitato pro Colonia Maria
professoressa signorina Maria Monacelli e Segretario del Comitato stesso sig.
Francescopaolo Giovine, chimico farmacista, si è inaugurata domenica 20 luglio
la Colonia Marina in Vasto spiaggia, con la benedizione impartita dal Parroco
della Chiesa Santa Maria Stella Maris". Con le donazioni spontanee dei
cittadini e, soprattutto, della Società Lucio Valerio Pudente, operante negli
Stati Uniti, si poterono costruire "tre
spaziosi capannoni in legno, con copertura di zinco ondulato, capaci di
contenere 40 letti, oltre la cucina; e quest’anno per la durata di 40 giorni,
in quei capannoni sono ospitati 16 bambini dell’Asilo infantile di Atessa, 16
bambini poveri del Vasto e 5 alunni delle nostre scuole elementari; questi
ultimi a spese della Croce Rossa Italiana…".
L'anno
successivo i primi ad essere ospitati furono i bambini del Giardino d'infanzia
di Atessa, accompagnati da quattro suore, due inservienti e un bagnino.
Successivamente, per un periodo di 40 giorni, vennero ospitati nei padiglioni
della Colonia 80 bambini poveri "di
gracile costituzione", della nostra città. "Ai piccoli coloni", si legge in un articolo del luglio 1931
apparso su Il Vastese d'Oltre Oceano,
"durante tutto il periodo della
cura, verrà fatto dalla Trattoria del Popolo, che per l'occasione ha aperto una
succursale a Vasto Marina, il seguente trattamento: Ore 8, colazione: caffè e
latte con panino; ore 12, pranzo; minestra e carne con contorno; ore 16,30,
merenda: marmettata, o salame, o formaggio, o frutta, con pane; ore 19, cena:
minestra in brodo, o minestrone, e frutta".
Alle
spese occorrenti per il funzionamento della colonia Marina, concorreva il
Comitato Provinciale dell'E.O.A. (Ente Opere Assistenziali), con un sussidio di
5mila lire, mentre il comune di Vasto provvide a devolvere alla colonia stessa
il ricavato della tassa di soggiorno. Questa tassa, reintrodotta in questi
ultimi anni, veniva applicata a coloro che soggiornavano per almeno cinque
giorni a scopo di cura, in quei comuni dove rivestivano particolare importanza
le stazioni climatiche o balneari.
Durante
i mesi estivi vennero ospitati a turno i bambini maschi e femmine. "I capannoni muniti di letti e comodità
acconce erano funzionali", si legge in una memoria di Laura Fiorentina
Fabrizio, riportata sul volume Il Novecento
a Vasto, a cura di Beniamino Fiore, "Il personale consisteva di quattro maestre e due raccomandate
inesperte. La cuoca, una cinquantenne giudiziosa oltremisura, faceva da mamma e
da gerarca". La struttura accoglieva circa centocinquanta bimbi divisi
in squadre. "Seduti per terra
all’ombra dei capannoni o della pineta aveva inizio la giornata",
ricorda ancora la signora Fabrizio, "si
faceva la ginnastica, poi a seconda l’età dei bambini si alternavano favole e
lettura fino l’ora di bagno. Nell’acqua si stabiliva il limite da raggiungere
sotto gli sguardi protettori delle maestre e del bagnino che aveva doppia
incombenza: buttarsi in acqua al più lieve pauroso allarme ed andare con una
barchetta a pescare il pesce fresco. I bambini usciti dall’acqua si rotolavano
nella sabbia e poi rientravano per il pranzo. Venivano serviti su sei lunghi
tavoli davanti alla cucina, con pasti abbondanti e sostanziosi, ricchi di
carne, gnocchetti e patate. Per frutta non mancava la mela. Finito il ristoro,
ognuno tirava dal proprio fagottino personale un quadrato di tela e ci si
allungava sopra per riposare e fare la pennichella. A quel sonno seguiva il
girotondo con cantilene e rincorsi a coppie con risa, trilli e battimani".
Con
l’avvento del secondo conflitto mondiale la Colonia cadde in totale abbandono.
Lino
Spadaccini
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