Don Domenico Spagnoli, parroco di S. Maria Maggiore, ha inaugurato la Quintena con una riflessione sulla profondità teologica dell’inno “Ave Spina”. Da stasera verranno approfonditi i temi della “Famiglia”.
Sacra Spina, l’autenticità storica
Nella
chiesa di Santa Maria Maggiore, nel cuore del centro storico di Vasto, è
custodita una reliquia venerata non solo dai vastesi ma da tutte le popolazioni
del circondario. È la reliquia della Sacra Spina, una delle spine provenienti
dalla corona che cinse il capo di Cristo in croce quindi appartenente alle cosiddette “reliquie per contatto”.
La preziosa Reliquia fu concessa tra il febbraio 1562
e il marzo 1563 dal Pontefice Pio IV al marchese del Vasto Ferrante
(Ferdinando) Francesco II° d’Avalos. In
un modesto, ma prezioso libretto edito
nel 1786 per volontà della Congrega del SS. Sacramento e della Sacra Spina,
l’autore così scrive:
“è
questa una spina intera lunga once tre ed un minuto di palmo architettonico
romano, aspersa nella punta del divin Sangue,
graziosamente concessa dal Pontefice Pio IV al famoso D. Ferdinando
D’Avalos, Governatore di Milano e delegato al Concilio di Trento come Ambasciatore del Re di Spagna Filippo
II. Dopo la cui morte, fu ella da D. Alfonso D’Avalos, di lui erede,
trasportata nel Vasto, e situata nella
Chiesa Parrocchiale Collegiata Insigne di Santa Maria Maggiore, dove
presentamente si venera”.
Un’antica tradizione vuole che la Sacra Spina
fiorisca, emettendo una lanugine delicatissima, come bambagia, di colore bianco
tra le 12 e le 15 del Venerdì Santo, quando esso coincide con il 25 marzo,
festa dell’Annunciazione del Signore.
Intorno al 1590/91 il figlio di Ferrante, Alfonso
Felice, dona la reliquia alla Chiesa Arcipretale di Vasto sotto il titolo di S.
Maria Maggiore. Sempre in onore della Spina, nel 1718 è accordato un Ufficio
particolare (liturgia delle ore).
Dell’autenticità della Sacra Spina non ci sono dubbi
fondati, nonostante la perdita della bolla di donazione autentica del Sommo
Pontefice, che nel 1645 restò bruciata, e ciò per due ragioni probanti:
l’autorevolezza, appunto del donatore cioè il Papa, e la motivazione del dono:
le fini capacità diplomatiche dimostrate dal d’Avalos al Concilio di Trento.
Riguardo la perdita dei documenti, si racconta che nella notte del 14-15 giugno 1645
la Sacra Reliquia scampò ad un rovinoso incendio divampato in chiesa a causa dei lumi non
spenti bene e che distrusse
completamente l’altare contenente
la Reliquia, ed il tetto della chiesa, probabilmente anche l’Autentica Papale.
Miracolosamente, la Sacra Spina rimase indenne grazie alla temerarietà di uno
schiavo turco che, sfidando coraggiosamente le fiamme, riuscì a raggiungere la nicchia, ove era custodita, e a portarla in salvo, ricevendone, come premio,
la libertà. Tale evento, ritenuto prodigioso, è
raffigurato nella grande tela ad olio del 1857, situata sulla volta della
navata centrale ed eseguita dal vastes
Andrea Marchesani. La teologia cattolica, precisa molto bene il senso e il
valore che sono attribuiti alle reliquie; culto “indiretto”: il culto,
cioè, rivolto alla persona cui quell’oggetto è attribuito; nel caso
specifico, al Cristo sofferente. Ne è
testimone la ricca liturgia composta per la festa, preceduta da una “quintena”
di preparazione con stupendo Inno “Ave Spina” ricco di
riferimenti biblici e di una intensa spiritualità.
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