Le bellezze e la storia di Vasto
in una poesia degli inizi del '900.
A decantare il fascino del nostro
territorio e le gesta eroiche di grandi personaggi del passato è Berengario
Galileo Amorosa (1865-1937), educatore, storiografo e cultore di tradizioni
locali.
Nato a Riccia, in provincia di
Campobasso, nel 1865, frequenta gli istituti scolastici di Assisi, Campobasso e
Napoli, dove si iscrive all'università, laureandosi in legge. Si dedica con
passione all'insegnamento, dapprima nel paese natale, e successivamente a
Montenero di Bisaccia. Nel 1891 vince il concorso per ispettore scolastico ed
accetta il trasferimento a Conegliano Veneto. Seguono altri trasferimenti a
Pieve di Cadore, Sulmona, Penne, Sassari e Lanciano.
Nel 1903 vince il concorso a
provveditore agli studi, ed esercita le proprie funzioni a Catanzaro, Chieti,
Caserta e di nuovo a Chieti, fino al 1923, quando viene collocato a riposo.
Appassionato di storia e
tradizioni locali, Amorosa pubblica una serie di lavori davvero interessanti,
tra i quali ricordiamo Riccia nella
storia e nel folklore e Il Molise,
Almanacco regionale. Anche nel periodo "abruzzese", si dedica
allo studio del territorio, con particolare attenzione alle località storiche
con un grande passato sulle spalle. Da qui nascono una serie di poesie, tra le
quali quella che di seguito riportiamo integralmente, dal titolo "Vasto", pubblicata nel 1926 sul
quindicinaleIl Vastese d'Oltre Oceano
diretto da Luigi Anelli.
Vasto
Vasto
O fulvo arco lonato
del lido, che accogli nel seno
de l'onda il bacio
glauco:
o luminosa rada,
feconda d'aranci e d'olivi
che i rami al mar
protendono,
io vedo in te la
forza, la gloria in te miro di questa
libera patria italica.
Su te s'accende, a'
primi bagliori del sole che nasce,
alta l'antica Istonio;
e risplendono tutte
sul colle ove posi e sul mare
le vestigia dei secoli.
A te Diomede venne,
fuggente l'impura Egialea,
il primo segno a
imprimere
de la città novella,
che lana a gli Elleni e a l'Urbe
diede falangi eroiche.
Diede a gli Edili
Sceva, a Cesare Didio navarca,
ed a le Muse il
giovane
l'udente, redimita di
lauro la chioma dal divo
Traiano in Capitolio.
Pur la ferocia franca
d'Aimone, o Istonio, vincesti,
quando con nome
barbaro
da le macerie aduste
te volle risorta di fronte
al mare ed a le
Tremiti,
fra Termoli che
accolse nel' ardue sue mura Platone,
e la verde penisola
su cui Buca – la gemma
de l'inclita terra frentana –
e Pennalucesparvero.
Piombar su te la
strage furente e la cieca rapina
di Saraceni e d'Ungheri;
ed ospite a te venne
quel Terzo Alessandro cui l'onda
ruppe il naviglio
fragile.
Ma ne la pace azzurra,
del sol ne la luce divina,
lontan sul flutto
cerulo,
altre visioni attinge
da te la pupilla o il pensiero
nel tempo e ne lo
spazio.
Ecco, il Gargano
inarca lo sprone dei ripidi fianchi,
da cui, chiuso nel
ferreo
giaco, ritto in
arcione, balzò Fieramosca – l'eroe
de la Disfida – a
gl'inferni:
de l'epica Disfida che
franse la gallica boria,
stolida ed immutabile,
e che Riccio de Parma,
cresciuto a' tuoi miti favoni
ebbe ardito fra i
Tredici.
Ecco, di Marchesani lo
spirito fiero, che addita
di Lissa il fato
tragico
Oltre l'estremo lembo
del cielo e del mare, solcato
da le vele di porpora.
Te di Caldora il
fasto, te il fasto dei D'Avalos cinse,
quando vedesti
estatica
passar per le tue vie
Vittoria Colonna, florente
di bellezza e di
cantici.
Ti di Rossetti i
carmi, di Nirico l'alta fierezza,
del gran Palizzi il
genio
e di Cordella il
sogno, qual tenera madre, nutristi
per la gloria
d'Italia;
mentre per Roma il
Ricci la giovine vita a Mentana
offerse in olocausto,
e cadde a Porta Pia da
prode il Bosco, ascoltando
l'inno de la vittoria.
Salve, città, che
tanto fervore di storia commosse,
per i tuoi figli
celebre,
pe' colli tuoi
feconda, pel mar che carezza la riva
sorridente di fascino;
salve, e ripiglia il
corso di nuove e più liete fortune
ne la fuga de' secoli.
B. G. Amorosa
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