mercoledì 15 febbraio 2017

LA FRAGILITA' E LA VULNERABILITA' DEL NOSTRO TERRITORIO

Dopo le tragiche settimane di inizio anno, abbiamo scritto un fondo per "La Notizia" periodico dell'Università delle Tre Età di Vasto. Ve  lo riproponiamo. Il giornale è uscito ieri. 

di NICOLA D'ADAMO

Questo inizio 2017 verrà ricordato per molti anni per la sequenza di fatti tragici che hanno seminato distruzione e morte nel nostro Abruzzo.
Ancora terremoto negli Appennini del centro Italia, nevicate intense mai viste prima, una valanga gigantesca che ha distrutto un albergo e ci ha fatto piangere 29 morti tra cui la giovane e brillante Jessica Tinari di Vasto; elicottero caduto dopo un
soccorso con altre 6 vittime; oltre ai terribili disagi di famiglie terremotate e di interi paesi isolati per la neve e senza luce.

Giorni e giorni di pena terribile, di brutte notizie, di commozione collettiva che ha toccato nell’intimo ognuno di noi.

Ora, passata la bufera, il quesito che ci si pone è : “Si poteva evitare tutto questo?”

Semplicisticamente si potrebbe rispondere: “Tutto, no. Ma qualcosa sì”.

E per fare un ragionamento a mente fredda bisogna allargare l’orizzonte, non fermarsi solo allo spazzaneve che non poteva entrare in azione perché mancava il carburante.

Partiamo dal tema ambientale. In Italia, nell’ultimo mezzo secolo, le stagioni sono cambiate - ce ne siamo accorti tutti - e le piogge torrenziali causano troppo di frequente irreparabili disastri. Quest’anno tormente di neve mai viste prima (forse nel 1956) hanno paralizzato il centro-sud, seminando anche morte.

E questo non dipende dal surriscaldamento del Pianeta? Su questo versante la questione sembrava aver preso la strada giusta con la firma dell’importante accordo sul Global Warming da parte di di 171 Paesi, ma ora con la nuova amministrazione americana si sta rimettendo in discussione tutto. Di fronte a queste situazioni ci sentiamo smarriti e indifesi.

Lo siamo ancora di più quando veniamo a conoscenza del mancato rispetto delle più elementari norme di sicurezza che possono creare seri problemi. In questi giorni dalla Commissione Grandi Rischi abbiamo sentito l’allarme sulla diga del lago di Campotosto che è su una faglia attiva e potrebbe provocare un effetto come quello della diga del Vajont. L’allarme è poi rientrato, ma il problema è sempre lì. Di un errore similare, con conseguenze molto tragiche, si è discusso molto dopo il terremoto dell’Aquila. Era il caso dei palazzoni di via XX Settembre costruiti sulla faglia e distrutti nel 2009 provocando numerose vittime. Allucinante fu la notizia che già nel 1938 la faglia veniva segnalata nelle carte sismiche e ciononostante nei successivi piani regolatori questa pericolosità non venne recepita. La considerazione è che contro il terremoto poco possiamo fare, ma se pur sapendo andiamo a costruire sulla faglia, vuol dire che i guai siamo andati a cercarceli.


Negli ultimi anni comunque la sensibilità è aumentata e sono state varate molte norme antisismiche, prendendo ad esempio altri paesi del mondo abituati ai terremoti - ad esempio il Giappone – dove da tanto tempo hanno adottato tecniche di costruzione che fanno reggere l’edificio alle scosse telluriche. Speriamo che nei lavori di ricostruzione vengano rispettate anche da noi tutte queste best practice.


Il Piano Regolatore è una cosa seria, specialmente con i cambiamenti climatici in atto. Non si può rimanere scioccati se una “bomba d’acqua” spazza via un campeggio realizzato alla foce di un torrente: la colpa è di chi autorizzato quella struttura in un luogo così pericoloso!

In questi giorni molto abbiamo discusso dell’Hotel Rigopiano a Farindola: poteva essere costruito in quel posto? Dopo il disastro la Magistratura sta indagando se è vero che lì in passato c’erano state altre slavine, se la struttura poggiava sui detriti delle valanghe. Ma oramai è troppo tardi, l’albergo è stato distrutto e i morti ci sono stati.

Infine, un capitolo a parte merita l’organizzazione dei soccorsi. Ma anche qui il discorso parte da lontano, dallo spopolamento della montagna.

I comuni non hanno soldi, sia perché gli abitanti si sono ridotti al minimo, sia perché non ci sono più i trasferimenti dallo Stato. Come fa un piccolo comune ad avere uno spazzaneve per raggiungere chi abita nelle frazioni ed è rimasto isolato?

Lo stesso discorso vale per la Provincia che in teoria è stata abolita, ma esiste ancora e deve assicurare una serie di servizi, tra cui, in caso di neve, la pulizia di tutte le strade provinciali, anche se i fondi non ci sono.

Tale servizio è essenziale in caso di calamità (neve, alluvioni, frane) perché altrimenti non possono transitare i mezzi di soccorso o quelli per il ripristino dell’energia elettrica, come è successo nel Teramano nelle scorse settimane.

In questo desolante quadro di disservizi, meno male che funziona la moderna macchina della Protezione Civile, che in caso di necessità assicura un pronto intervento nelle zone colpite dai disastri.

Ma una pronta azione di soccorso, dopo la sciagura, è una magra consolazione. La Natura comunque fa il suo corso e non è possibile intervenire. L’uomo però può limitare i danni.

La fragilità del nostro territorio è sotto gli occhi di tutti: le Istituzioni facciano la loro parte per non aggravare ulteriormente la situazione! Noi cittadini faremo la nostra!

Nicola D’Adamo (noivastesi)

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