PER UN CAPODANNO PARTICOLARE
di Luigi Murolo
La sera del 31
dicembre porterò l’ antico Capodanno vastese in dialetto: «Cand’àjjәcaminåtәchištanòttә …» a casa di Gianna Spadaccini.
Muoverò dall’antistante cappella della Madonna del Soccorso per recarmi di
fronte al portone diquesta specialissima amica (e mi piacerebbe che ci fossero
anche altri amici), salire la gradinata, fermarmi di fronte all’uscio per
intonare, con l’accompagnamento strumentale (una chitarra e un’armonica a
bocca), il canto di questua augurale per l’anno che verrà. Chi sarà presente, si
accorgerà che saremo di fronte a qualcosa
di nettamente diverso dal quel «Buon Capodanno» in lingua ancora eseguitonelle
piazze della città.
L’arcaico capodanno
non divide alcun rapporto culturale con il nuovo. E’ dedicato alla singola
famiglia, alla casa, ai lavori che in essa si svolgono. E, soprattutto, gli
auguri vengono indirizzati ad personam;
vale a dire, ai singoli componenti della famiglia.
Chi erano i
destinatari della quête? In
particolare, i priori delle confraternite dei mestieri: muratori, sarti,
calzolai ecc. In questo caso assumeva il valore di priulåtә (i. e.: «priorata»; canto dedicato ai «priori». Di grande
interesse il San Sebastiano, dedicato
ai muratori). O altrimenti, poteva essere destinato a li signîrә (e qui parliamo di potlatch,
una cerimonia in cui, per affermare il proprio prestigio sociale nella
comunità, lusugnuàrә offriva la
massima quantità possibile di doni).
Io non farò né
l’una cosa; né l’altra. Dedicherò a un mia amica d’infanzia il bene tangibile
di una comune appartenenza a quella comunità dispersa dalla disastrosa frana
del 1956. Sessant’anni fa. In
particolare a Gianna con fratelli e sorelle, abitatrice del Casarino di S.
Pietro dove, ‘mbua’ GiuvuànnәdәPrëngәpә,
nonno di Gianna, tәnàvә la cåsә.
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