di LINO SPADACCINI
Il 24 ottobre del 1645 moriva a Vasto suor Maria Zocchi,
monaca del terz’ordine di S. Domenico.
Presso l'Archivio Storico "G. Rossetti" di Vasto,
è conservata la trascrizione fedele effettuata dallo storico Luigi Marchesani,
della biografia di suor Maria Zocchi scritta da padre Marcello Oliverio, suo
confessore, che racconta con dovizia di particolari la vita di questa suora,
vissuta in odore di santità, per la sua vita dedicata essenzialmente alla
preghiera, alla sofferenza e alla privazione; una donna straordinaria e
controversa al tempo stesso, che all’età di tre anni predisse la morte del
padre e che parlava con S. Domenico attraverso l’immagine di un quadro.
Nicola Alfonso Viti, prevosto di S. Pietro e storico
vastese, contemporaneo
della Zocchi (morirà quattro anni più tardi), nel suo
volume Memoria dell'antichità del Vasto,
parlando della chiesa di S. Domenico, scrive: "Sta sepolta in questa chiesa Suor Maria Zocchi del Vasto Monaca di s.
Caterina da Siena. Questa Religiosa morse nel 1645: fu di molta bontà di vita,
astinente in modo che passava i giorni, senza che ella prendesse cibo".
Lo stesso Giuseppe de Benedictis, in Memorie
istoriche del Vasto, e Luigi Marchesani, in Storia di Vasto e successivamente in Esposizione degli oggetti raccolti nel Gabinetto Archeologico Comunale
di Vasto, riprendono quanto affermato
dal Viti, soffermandosi più sulla bontà di vita, astinenza e
privazione del cibo, piuttosto che sulla "santità" della Zocchi.
Inoltre, il Marchesani non risparmia dure critiche al memorialista "che rilasciò un abbozzo e non uno scritto
studiato ponderato sulla vita della Zocchi, addimostrasi difettosissimo in
lingua, ortografia e sintassi, e cotanto ignorante de' modi atti ad esprimer i
concetti da non avvedersi di scriver biasimo là dove prefiggesi la lode; ed a
queste sconcezze si aggiunge che ponga per fatto assicurato una pura asserzione".
In un altro documento manoscritto, presente nelle Memorie storiche concernenti Suor Maria Persia Zocchi, il
Marchesani è ancora più esplicito: "…io
deduco che la biologia scritta dall'Oliverio distruggerebbe la opinione
pubblica verso la Zocchi se fosse pubblicata come è scritta: se Zocchi meritò
le lodi pur di Viti, i difetti non piccioli che nella biologia traspariscono
sono attribuirsi alla ignoranza dell'Oliverio nell'arte di scrivere la biologia
".
Suor Maria Persia Zocchi (o Zocco) nacque a Vasto il 5
luglio del 1601 da Alfonso e Camilla Galizio. Tre giorni dopo venne battezzata
nella chiesa di S. Pietro dal prevosto D. Giulio Cesare di Gregorio. Aveva tre
sorelle: Eleonora, Giacoma e Anna, queste ultime due entrambe terziarie
domenicane. Tra i suoi antenati si ricordano Giuseppe, Barone di
Civitaluparella e Fallo, e Alfonso, bisnonno di suor Maria, ricco possidente nativo di Guglionesi e marito di Eleonora de
Amicis di Vasto.
Ultima discendente della famiglia Zocchi fu suor Anna, la
quale ereditò quanto le avevano lasciate i genitori e le sorelle. Con
testamento del 22 dicembre 1679, istituì erede il convento di San Domenico,
donò alla figlia della sua domestica, Beatrice, un appartamento a pian terreno
con mobili in contrada Porta Nuova, e donò la casa di famiglia, sita al termine
della strada Anelli, ad Alfonso e Bartolomeo de Rubeis (nel 1839 una parte
dell'edificio passò a D. Pasquale Barbarotta).
Ma torniamo a suor Maria ed alla Breve relazione scritta da padre Marcello Oliverio. Nella prima
parte il biografo riporta le notizie apprese dalla madre, soffermandosi sulla
predizione della morte del padre fatto dalla piccola Maria Persia all'età di tre
anni: "…mentre il suo Marito, stando
bene di salute, andava pratticando, e negoziando per la Terra, un giorno
all'improvviso, essendo Suor Maria, di tre anni, rivolta alla Madre disse: O'
Mamma, Tata è morto. Ah fresca presontosa (rispose la Madre), che parole sono
queste? Tuo Padre è vivo, stà bene. Sì, è morto (replicò la Figliola); di quà à
tre giorni lo vedrete. Così successe, perché nel terzo giorno morì".
Successivamente, padre Marcello passa alla testimonianza
diretta, a partire dal suo arrivo a Vasto, come lettore nel convento di S. Domenico,
durante il priorato di padre Pietr'Angelo da Furci. Appena giunto a Vasto, il
priore gli disse che una sua penitente voleva parlargli "il che negatogli sempre; un giorno visitando
gl'Altari doppo pranzo, secondo l'usanza nostra, venne Suor Maria, e
prostrandosi a' miei piedi disse: Padre, per carità ascoltatemi quattro parole
spirituali, perché così mi ha comandato il Padre S. Domenico, il che io
stimando cosa feminile, risposi: Come? S. Domenico vi parla? Sì padre (mi
soggiunse), e mostrandomi col dito la Imagine di S. Domenico nel quadro d'un Altare,
disse: ecco là quello mi parla, e mi hà comandato che venga à parlare con V.P…".
L'entrata nel terz'ordine di S. Domenico è legato al
"miracolo" di un altro quadro, quello di S. Agnese presente nella
chiesa dell'Annunziata. "In un'altra
occasione", riferisce padre Oliverio, "le domandai, perché s'era fatta Monaca nostra, mentre in detta Terra
del Vasto v'era un Munistero di S. Chiara, dove si vivea con tanta osservanza,
e v'erano molte di buono Spirito? Rispose; che quest'era stata sempre la sua
intenzione, e desiderio; ma perché una mattina entrando nella nostra Chiesa
dell'Annunziata, mi parlò quella Imagine della Beata Agnese, che stava dipinta
nel quadro d'un Altare (mostrandomela col dito) mi disse: Maria, perché non ti
vesti del mio Abito, e dell'Ordine della mia Religione di San Domenico? Dal che
subito si vestì Monaca di Casa del terzo nostro Ordine". "Quando Suor Maria videsi vestita di questo
santo abito", spiega il biografo,
"cercò con ogni sforzo conformarsi alla vita di S. Caterina da Siena nella
povertà, ubbidienza, e castità verginale; che però si diede ad una estrema e
rigida penitenza: non mangiò mai carne, mai pesce, mai uova, mai minestra, o
cosa cotta, mai frutta; e benché fingesse di mangiare, altro cibo non voleva,
che un tozzo di pane duro, e fiorito, acciò fosse amaro; e da sua porzione dava
secretamente à poveri, da quali prendeva qualche erba di cicoria…".
Oltre alla privazione del cibo, suor Maria si esponeva a
gravi mortificazioni corporali: "Portava
un cilicio, che li copriva tutte le spalle, a petto; e perché desiderava uno
più grande cilicio per tormentare tutto il corpo, m’impose, che ce l’avessi
procurato farcelo fare; onde le dimandai vedere quello che portava per vedere
la fattura di quel cilicio; mi rispose, che non era possibile per stare
incastrato, e conglutinato con la sua carne; che volendo distaccarlo avveria
tirato pezzi di carne non senza gran dolore…".
La stanza di Suor Maria era piccola e senza letto, in quanto
dormiva sopra una cassetta, ed erano presenti solo un crocifisso in legno,
un'immagine della Madonna ed un libro di preghiere alla Vergine. "Andava scalza, co’ piedi nudi anco à tempo
di neve, et acqua", scrive ancora Padre Oliverio, "Mai cercò vesti alla sua madre, ne a parenti, e se l’erano
offerte somme di denari li rinunziava. Mai si curò, li lavassero li panni, che
portava… Accadde una volta, che Suor Maria s’infermasse gravemente di febbre…
non volle mai farsi osservare, né prendere alcuno medicamento; e perché stava
nella sua cameretta sopra d’una sua cassa piccola coricata, e stesa, dove stava
talmente sconcia, che il capo pendeva da una parte, come fosse cadavero, e
dall’altra parte pendevano le gambe con i piedi…". Non mancano nella Breve relazione racconti di episodi di
tentazioni per saggiare la "santità" della donna: "Un giorno… per voler fare prova della sua
umiltà e perfezione, li dissi: suor Maria, vogliamo aiutare questi poveri?
Rispose: Come? Andiamo insieme per questa terra cercando limosina; ma per
muovere à compassione le genti bisogna che andiamo ignudi tutti e due, ed ella
con prontezza rispose: si, si Padre, volentieri mi spoglierò, e verrò nuda
limosinando per carità di quelli poveri… perché dove è Carità, ed amore di Dio,
non può esservi scandalo".
Lo storico Luigi Anelli, spesso duro con la Chiesa, nel
volume Ricordi di storia vastese,
rigetta decisamente il caso di santità, esprimendosi senza mezzi termini:
"Da una parte un monaco briccone,
dall’altra una povera pazza; ed ecco come il calendario gregoriano registra
sempre santi novelli!".
Più approfondita l'analisi del Prof. Luigi Murolo nel saggio
"Il cibo Negato. Un caso di santità
popolare nel XVII secolo", presente nel volume "Le muse fra i negozi" (Bulzoni,
1992). "La cospicua quanto rigorosa
documentazione raccolta dall'Oliverio per maggior gloria di suor Maria",
precisa lo storico vastese, "consente,
al contrario, di fissare una serie di punti fermi riconducibili all'interno di
una tipologia generale di comportamenti: sotto questo punto di vista, dunque,
il quadro che emerge permette di giungere con certezza alla diagnosi di
anoressia mentale". Situazione questa che ritroviamo molto spesso nel
"modulo domenicano di santità
femminile", come ad esempio in S. Caterina da Siena, soprattutto nella
privazione del cibo oppure negli aspetti penitenziali: pratiche, queste,
considerate necessarie per il
raggiungimento della perfezione cristiana.
"Gli interventi
del biografo", chiude il Prof. Murolo, "in sostanza si innervano nella trama umana della donna conferendo quel
tono popolaresco adatto al racconto: sicché la riuscita commistione di reale e
immaginario - suffragata in ogni caso da qualche lettura - non solo si adegua
alla mentalità del tempo, ma ne interpreta coerentemente le aspirazioni. Certo,
le immani sofferenze patite da Maria Zocchi si presentano oggi come un «caso»:
ma, molto più di una ricostruzione su documenti, esso consente di restituirle
la dignità di vita vissuta insieme con centinaia di uomini e donne senza nome
accomunati dallo stesso destino".
Lo stesso Marchesani, in un altro documento molto
interessante, si esprime più liberamente sulla Zocchi, riportando voci e umori
della popolazione: "V'à chi tiene
per apocrifa la biologia, e forse scritta per mettere in derisione l'Oliverio:
ciò sul riflesso che giammai un Confessore sarebbesi azzardato dire alla
penitente voler entrambi andare ignudi per la città. Altri dice che l'Oliverio
debba aver avuta coscienza morale troppo indulgente per aver lodata la Zocchi,
che Apparisce vanitosa per aver permesso all'Eremita di prendersi pezzetto di
vestimenta di lei, impaziente verso la Signora, che in chiesa pretendeva saper
del marito ecc., difetti nell'umiltà base di ogni santità. Altri crede che
l'Oliverio fu un gran semplicione, un uomo credulo buono assai, onde divenne
ammiratore di una devota assai difettosa nella carità. Altri opina che
l'Oliverio mancò di arte di scrivere, e che perciò le cose svantaggiose al suo
soggetto non sieno ripassate nella maniera da lui espressa, ma ne' modi
regolari, cioè che all'Eremita ella non permise, ma questi destramente tolse la
porzioncella di abito, al che la Zocchi non apportò reclami ecc. In vero
considerandosi che Zocchi è lodata anche dal Viti, e che l'Oliverio non si
proponeva il biasimo ma la lode della Zocchi e perciò ebbe in pensiero di dire
cose buone e non male, si à motivo di ritenere come pensieri non ben espressi
qui che svelano difetti. Ma qui mi fermo", chiude il Marchesani, "poiché fu sempremai mio proponimento
nello scrivere delle cose patrie non elevarmi a giudice sul merito de' miei
concittadini".
Oltre
alla vita di suor Maria Zocchi, nel fascicolo conservato presso l'Archivio
Storico è presente tutta la documentazione raccolta dal Marchesani sull'origine
della famiglia e sull'abitazione, oltre a interessanti notizie sulla chiesa di
San Domenico e sulle tombe dei domenicani, per cercare di capire dove fu
sepolta la Zocchi. "Da persone che
frequentavano la chiesa di S. Domenico", si legge in alcuni appunti del
Marchesani, "ò saputo con certezza
che il primo altare a sinistra di chi entrava era dedicata al testè nominato
Santo (cioè S. Domenico); che accanto a detto altare esistevano due sepolture
contigue, l'una pe' Padri Domenicani, l'altra per le Monache di casa dello
stesso ordine. Sono poi assicurato da Michele di Luigi d'Ermilio (che dal Sr
Rulli fu incaricato della riunione dell'ossame di tante e tante sepolture in un
Cimitero) sono assicurato che gli scheletri delle Monache furono collocati
nella stessa sepoltura de' Padri Domenicani; che nulla di particolare apparve
nelle vestiture non più riconoscibili, e che con robusta volta la sepoltura de'
Padri è stata indi chiusa; laonde tengo per certo che colà si serbino gli
avanzi di Suor Maria Zocchi". In un altro documento successivo, viene
precisato che durante i lavori all'interno della chiesa i "fabbricatori e specialmente i sacristani di
S. Pietro" vennero incaricati dal Rulli di raccogliere "convenevolmente e religiosamente in Cimitero"
tutte le ossa raccolte dalle sepolture. Quindi le ossa delle "pinzòchere Domenicane", così come
le definisce il Marchesani, vennero mischiate con quelle dei frati.
Lino Spadaccini
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