BICENTENARIO DELLA MORTE
DI UNO DEI PIU' ILLUSTRI PERSONAGGI VASTESI
di LINO SPADACCINI
Dopo la breve esperienza in Toscana quale segretario del generale austriaco Conte Starhemberg, Domenico Rossetti torna nella sua amata Parma per trascorrere gli ultimi mesi di vita, segnata da
atroci sofferenze a causa di una terribile malattia contratta proprio in terra Toscana.
In quel
periodo, il Rossetti ha il privilegio di assistere all’ingresso in città della
nuova duchessa di Parma, Maria Luisa d’Austria, moglie di Napoleone Bonaparte.
Durante la
prigionia del marito sull’Isola d’Elba, Maria Luisa visse nel castello di
Schöenbrun a Vienna, insieme al generale Neipperg, suo amante, anche se, per
salvaguardare la propria reputazione, fece credere di essere ancora sposa
fedele.
Alla fine
del maggio del 1815 un accordo segreto fra Austria, Russia e Prussia riconobbe
a Maria Luisa il possesso dei territori di Parma, Piacenza e Guastalla, oltre
al diritto di successione per suo figlio.
Il 7 marzo
1816 la febbricitante Maria Luisa, accompagnata dal suo amante, si mette in
viaggio verso l’Italia, alla volta prima di Venezia, poi di Verona, ed infine
di Parma, dove aspettava di trovarsi una città con gli abitanti esasperati per
la completa mancanza di soldi e le esasperazioni politiche degli ultimi anni.
Al contrario, il 20 aprile, Maria Luisa entrando a Parma trova davanti a sé una
città festante, che dimostra da subito affetto e gratitudine nella
consapevolezza di un futuro migliore.
Alle tre del
pomeriggio tre colpi di cannone sparati dal castello ed il suono delle campane
annunziano l’arrivo della duchessa. Da porta San Michele fino alla Cattedrale è
schierata in tutta la sua imponenza la
truppa e la guardia nazionale, mentre la folla non smette mai di inneggiare ed
applaudire. Nella Cattedrale si canta il Te Deum e viene data la benedizione,
dopodiché Maria Luisa si ritira a Palazzo Ducale per riposare, ma per ben tre
volte è costretta ad affacciarsi dalla loggia per appagare le richieste della
folla festante.
In quella
giornata di giubilo, pur nella sofferenza, partecipa anche il Rossetti, il
quale insieme ad altri poeti del tempo, quali Jacopo Sanvitale, Antonio Cerati,
Giordani, Bottioni ed altri, manifesta l’esultanza per l'arrivo della duchessa
di Parma attraverso un’Ode saffica.
Le
diciassette quartine, rappresentano il testamento letterario del poeta vastese,
che incontrerà la morte soltanto due mesi più tardi:
Oh fausto annunzio!... oh gioja!...
il cor devoto
Quasi a Lei vola, che sua Diva implora:
Ti bacio, o suol, ch’Ella passando onora,
E sciolgo il voto.
Di plausi echeggia l’aria innamorata,
Or che le sue promesse a noi compìo,
Da la comun speranza e dal desio
Sì sospirata.
Siedi, Donna immortal, siedi sul
Trono,
Che avidamente il raro onore aspetta,
Mentre ognun stassi a Tua sembianza eletta
Umile e prono.
Le parole
del Rossetti sono piene di enfasi e di calore verso l’imperatrice mai
dimenticata, con la speranza che finalmente la città di Parma possa
attraversare un periodo di tranquillità politica: La Tua provvida man fia, che rallegri / Contro il rigord’iniqua atra
sventura / Color, che qual madrigna, ahi, fea Natura, / Mendici ed egri. La
figura nobile e dolce della duchessa (L’uman
To sguardo di bontate è segno) è garanzia di speranza per la città emiliana
che in cambio non può offrire ricchezze o possedimenti, ma solo il calore di un
piccolo stato: Tesor, possanza, impero,
ahi! Non mi è dato / Offrirti, e genti di diverse lingue; / Ma un aprico,
gentil, irriguo, pingue, Picciolo Stato.
L'autore
chiude con il proprio giuramento di fedelta:
Io pronunzio al Tuo piè solamente
D’obbedienza e fedeltate il Giuro.
Deh lo serbi ogni secolo futuro
Gelosamente.
Aquila, vola, e narra al Sire
intanto
Ogni mio detto, che di gioja è figlio:
Taci, se spunta sul paterno ciglio
Stilla di pianto.
Le
sofferenze di Domenico Rossetti cessano definitivamente alle ore 8 e 30 del 7
luglio 1816, alla prematura età di 43 anni, nella sua casa al n. 21 della
Strada S. Nicolò, vicino la Cattedrale.
L’eco della
scomparsa del letterato vastese si allarga presto in tutta la cittadina
parmigiana, ed in particolare nei circoli letterali e culturali.Il giorno dopo
aver reso l’anima al cielo, la Gazzetta
di Parma, pubblica in prima pagina: «Ieri mattina, 7 del corrente
Luglio, dopo non lunga malattia è mancato di vita il Signor Avvocato Domenico
Rossetti, che nato in Istonio (il Vasto) il 10 di Ottobre del 1773, e percorse
varie città e paesi sì d’Italia che fuori d’Italia, aveva da 13 anni stabilita
la sua dimora in Parma».Questo il ricordo che il cronista fa del poeta
Rossetti: «Egli godeva la fama di valente giureconsulto, e di assai colto ed
erudito scrittore; ma le rime, che in diverse occasioni stampò, e in cui si
scorge ubertà d’immagini, fervor d’estro, facilità e vaghezza di stile, gli
ottennero e gli conserveranno diuturnamente il nome di buon poeta (…) Il Rossetti soleva dire, che doveva ai
Parmigiani quel buon-gusto, che si era acquistato; e fu in Parma ch’ei lasciò
di far versi estemporanei per tesserne unicamente di quelli che…
successumscribentisotiaquaerunt, e che lungamente meditati vivono più
lungamente».
Non sappiamo
per quale motivo Domenico Rossetti non costruì una famiglia. Forse non sentiva
nemmeno l’esigenza di una moglie e di una progenia, che in qualche modo
potevano legarlo e far cadere quel suo
ideale di vita che si era costruito negli anni precedenti, dalla sua partenza
dalla mai dimenticata Vasto, fino all’arrivo in una città più tranquilla, la
sua seconda patria, Parma, quelle "ospitali
sponde" che l’avevano accolto e maturato culturalmente.
Il cuore e,
soprattutto, la mente del Rossetti erano occupati dalla voglia di conoscere, di
apprendere, di crescere sempre più culturalmente: in tutti i luoghi dove si è
recato, ha cercato sempre di inserirsi nei circoli culturali e di stringere
amicizie con le persone che avrebbero potuto offrirgli qualcosa.
Tutti i
nomi, spesso anche illustri, citati dal poeta vastese, nei suoi tanti viaggi,
non devono essere presi come un "vantarsi", bensì come una prova di
profonda stima e sincera amicizia che il Rossetti metteva in gioco: una partita
a carte scoperte dal quale usciva sempre vincitore, arricchito della preziosa
posta in palio.
Il triste
annuncio arriva ben presto anche a Napoli, dove si trovava il fratello Gabriele
ed a Vasto, la sua città natale, dove c’era la sua famiglia.
In occasione
della morte del fratello, Antonio pubblica per i tipi della Tipografia
Grandoniana di Chieti una Anacreontica, dedicata a D. Domenico Spataro,
per la buona amicizia che lo legava con il defunto, ed inoltre perché «È
nota a tutta questa nostra Patria la vostra letteratura, e la vostra innata
inclinazione a favore de’ letterati». Questo il testo integrale scritto da
Antonio:
Che veggio! Il Grande Apolline
Da’ suoi
destrieri tratto
In cocchio
d’or dall’Etere
Scende ad
Istorio ratto.
Già pensieroso arrestasi,
Poi tocca
la sua lira,
E canta:
il tuo Domenico,
Vasto, più
non respira.
Quel Figlio tuo dottissimo
Già già
ne’ Cieli è asceso;
Ei ti
colmò di Gloria,
prove or
ti paleso.
Quando da te partissene
Fè risuonar suo nome
Là nel Sebeto, e il Tevere
D’allor gli ornò le chiome.
Ei della lingua Ebraica
Maestro fu in sapienza;
Il prisco dir del Lazio
Sapea per eccellenza.
Parlava la Siriaca;
La Greca, e Gallicana,
La Svizzera, e Germanica,
Spagnola, ed Anglicana.
Scoprì, son anni tredici,
La Grotta a Montecalvo:
Si espose a un gran pericolo,
Ma pure uscinne salvo.
Ei fu nell’alta Italia
Al Foro rinomato;
Ei della Dora, e Emonia
Pastor venne acclamato.
Che più! Nelle Accademie
Fu membro, e Precettore,
Fu celebre Filosofo,
E massimo Oratore.
A tutti era piacevole;
Dall’uomo letterato,
Dal Nobile, dal Popolo
Fu sempre venerato.
Ed or la Parca barbara
L’à verde in Parma spento,
E Parma al suo deposito
A’ eretto un monumento.
Qui tace Apollo, e veggonsi
In altro cocchio d’oro
Dal Ciel Le muse scendere
Disposte in nobil coro.
Col loro Dio s’uniscono,
E i plettri rifulgenti
Toccando in suono armonico
Cantano questi accenti:
Intenso Nume fulgido,
Omai convien tornare
Rossetti il gran Domenico
Nell’etra ad esaltare.
Tosto i destrieri rapidi
Spingono i vanni al Cielo,
Ed ambo i cocchi covronsi
Da un denso azzurro velo.
Resta sorpreso Istorio,
Poi piange, e nel dolore
Sclama: Perduto ò un genio,
Che mi colmò d’onore.
Lasciata la
terra natale in giovane età, Domenico non ne fece più ritorno. L’unico legame
con i suoi familiari è rappresentata dalla corrispondenza, soprattutto con il
fratello minore Gabriele, a lui molto legato. Ad oggi si conoscono solo sei
lettere scritte tutte da Gabriele al fratello Domenico, conservate presso
l'Archivio dell'Istituto del Risorgimento di Roma.
Tutte prive
di date, le lettere furono presumibilmente scritte tra la fine del 1811 ed il
settembre dell’anno successivo. L’elemento di continuità che attraversa tutto
il carteggio è rappresentato dal progettato matrimonio di Domenico con una tale
Maria Curti e dell’attesa di alcuni documenti non meglio precisati: «…L’annunzio
del tuo matrimonio con la illustre fanciulla Curti – scrive Gabriele – annunzio
che io ho dato alla nostra famiglia fin dal punto in cui il signor Panisi a me
lo diè, ci ha rallegrati tutti e massime il fratello don Andrea, che gode
finalmente che tu prenda tranquillo porto dai tuoi tanti viaggi e che si
aggiunga un tanto splendore al lume del nostro sangue, e così nuovi rampolli,
non indegni degli avi, spingono la nostra progenie all’ammirazione dell’età
future: tu sai che la nostra stirpe ha sempre abbondato di grandi letterati,
sai che la gloriosa catena non è interrotta, che il nome di don Andrea e forse
(taccia quella simulazione che si usurpa il nome di modestia) il mio in questi
lidi sono lucidi come la fronte del sole…».
Il matrimonio del fratello e la pubblicazione del poema epico La
Vetturia, da imprimersi per i tipi bodoniani, erano l’occasione per
Gabriele di riabbracciare, dopo tanti anni di lontananza, il fratello tanto
amato. Ma sia il matrimonio, quanto la stampa del poema andarono a monte.
L’amore di
Gabriele per il fratello è sempre alto e ben palese nelle sue accorate lettere.
Alla notizia del futuro matrimonio del germano il suo cuore è pieno di gioia e
annunzia l’immediata spedizione dei documenti richiesti appena gli fossero
giunti da Vasto: «...io le spingerò a te con la rapidità del fulmine e tutte
assicurate in posta».
Gabriele
scrive spesso al fratello inviando anche piccoli schizzi e poesie cercando il
suo consenso. Quando non giungevano risposte, o passava troppo tempo tra una
missiva e l’altra, non perdeva occasione di rimproverare il fratello invitandolo
ad essere più accorto nello spedire le lettere, volendo escludere a priori la
malafede: «Ma cielo! perché sono io privo delle sospirate risposte? vanno
esse smarrite? oppure... no, no: vanno smarrite»; ed ancora: «Caro
Domenico mio, se è vero che ami il tuo Gabriele, se è vero che mistimi non
indegno di te (ed io mel sento), prendi cautele tali che le tue risposte mi
arrivino. Altrimenti ... chi sa che potrei, oh Dio! che potrei accusarne mai?».
In un’altra
lettera Gabriele dimostra tutto il suo affetto per il fratello maggiore: «Io
desiava che tu rivedessi adulto quel tuo Gabriello che tu lasciasti fanciullino
e che tanto ama un degno fratello da cui è sicuro esser riamato, e da cui il
suo destino sinora lo divide». Per l’occasione Gabriele acclude alla
lettera un suo autoritratto in miniatura, a detta di molti, somigliante alla
realtà, per far scoprire al fratello la sua nuova fisionomia di adulto, in
quanto Domenico aveva lasciato la città natale quando il piccolo Gabriele aveva
circa dieci anni e, quindi, in tutti questi anni di lontananza, lo ricordava
nel fiore della fanciullezza.
Un altro
elemento che emerge dal carteggio è la sollecitazione rivolta da Gabriele al
fratello nel terminare e pubblicare al più presto l’ode in onore di Ottavio
Marmile, Duca di Campochiaro, ministro di Polizia della città di Napoli:
personaggio sicuramente importante ed influente, che forse avrebbe potuto
aiutarlo nella definitiva archiviazione del caso, in quanto su Domenico pendeva
ancora l’accusa di diserzione.
Nell’agosto
del 1812, per i tipi di Giuseppe Paganino di Parma, Domenico Rossetti pubblica
la tanto attesa Ode Saffica dedicata ad
Ottavio Mormile Duca di Campochiaro.
L’Ode è
accompagnata da una lettera dedicatoria dell’autore, datata 30 agosto 1812, in
cui si esprime in questi termini: «Eccellenza. La fiducia, che la generosa
benignità di Vostra Eccellenza inspirò al mio minor Germano [Gabriele], il rese
ardito d’intitolarvi (e n’ottenne il vostro pieno gradimento) un poetico Inno
nel vostro fausto ritorno dai colloquj di pubblica felicità, avuti nella
Capitale dell’Impero con quell’Augusto, invincibile Monarca… Animato da uguale
fiducia, oso io pure. Eccellenza, consecrarvi il lavoro di pochi versi,
concepiti tra l’ammirazione delle vostre sublimi virtù, che una bugiarda Fama
decada incessantemente, e il cui Nome con vera grandezza ne risuona altamente
nell’animo. Degnateli, Eccellenza. D’un vostro propizio sguardo, ond’io possa
riputarmi fortunato al pari del mio Germano, e gareggiare con lui ne’ dovuti sensi
di sincera ed eterna gratitudine…».
Di notevole
interesse sono invece due terzine: la prima dedicata alla famiglia, ed in
particolare al fratello Gabriele: «Deh! Fratel mio, perdona: ah Tu se’
mesto, / Ch’io Te non cerchi, e inumidisci i lumi!… / Del tenero amor mio tutti
ne attesto/Vindici i Numi». In una nota, Domenico parla dei suoi fratelli:
«L’Autore ha tre fratelli Germani. Il primo è Andrea Rossetti, Canonico,
personaggio di somma probità e dottrina, e zelantissimo Banditor del Vangelo.
Il secondo chiamasi Antonio: egli non manca di estro poetico; però non ha
potuto troppo coltivarlo per altre occupazioni, che ne lo han distolto. Il
minore che è quegli, a cui si fa qui allusione, ha nome Gabriello, ed è poeta
insigne: Egli dimora in Napoli, ed è uno de’ genj, che godono dell’onore di
essere ammessi alla sapiente conversazione del sig. Duca».
La seconda
terzina è rivolta al paese natìo: «Scorser tre lustri, e più ch’io te
lasciai/ Fanciullo ancora un bel suol natio:/ Non vile pellegrin pel mondo errai,/
Auspice un Dio». Il ricordo del Rossetti è ancora vivo ed ancorato nel suo
cuore e la speranza è quella di poterla riabbracciare un giorno: «Possa la
Patria dell’immortale Pudente (coronato Poeta in Campidoglio nell’età di 13
anni omnibus sententiisjudicum, sotto il Regno di Trajano), al di lui ritorno,
un figlio, che sebben lungi, l’ha sempre amata teneramente, e ne ha fatto
echeggiare il glorioso nome per tante e sì diverse Regioni». Il Rossetti
ricorda i numerosi viaggi fatti in Italia ed in Europa per inoltrarsi sempre
più sull’arduo sentiero delle scienze, conversando con i più privilegiati Genj
d’Italia, e d’Europa, quasi a giustificare la sua partenza dalla città
partenopea. Altra nota d’interesse è la citazione di una lettera, datata 9
giugno 1812, da parte del sindaco della città adriatica, Massimino Barbarottae
da altri qualificati personaggi, contenenti lusinghieri elogi al
poeta vastese.
L’ode del
Rossetti non è certamente una delle opere migliori: ancora una volta ci
troviamo davanti ad una poesia encomiastica con l’unico scopo di aggraziarsi il
noto personaggio, che avrebbe potuto fargli decadere l’accusa di diserzione.
Infatti, il prode e saggio Eroe, come lo definisce il Rossetti, tra le
sue peculiarità, oltre ad essere profondo filosofo ed oratore, «ha per
compagne indivisibili delle sue azioni la retta giustizia, la clemenza,
l’umanità».
Presso la
Biblioteca Comunale "G. Rossetti" di Vasto, nel vol. IV dei
manoscritti, si conserva una lettera scritta a Milano il 2 ottobre 1804,
attribuita a Domenico Rossetti e indirizzata al fratello Gabriele.
Il cattivo
stato della lettera e la sua dubbia paternità, ci impongono una certa cautela
sull’esprimere un giudizio definitivo. Dai biografi non si fa cenno ad un
soggiorno di Domenico nella città lombarda: sappiamo che nel 1804, prima di
trasferirsi a Parma, il Rossetti soggiorna undici mesi nel capoluogo
piemontese, ma non ci sono notizie di conferma di un suo eventuale soggiorno a
Milano, seppur per poche settimane, anche se ciò non è totalmente da
escludere.
L’inizio
della missiva è molto confuso e incomprensibile, fatta con tono di rimprovero
verso il fratello minore: «Più volte io ti ho ripetuto, che per toglierti
dall’animo quelle cattive disposizioni che si opponevano a’ tuoi progressi, mentre
non furon mai da tanto validi i miei raddoppiati sforzi, un grand’errore da tua
parte vi sarebbe riuscito. Or bene dileguato il prestigio che ti affascinò gli
occhi, conoscerai già che un maggiore non potevate commetterlo…».
L’autore
della lettera passa a ricordare i primi insegnamenti dati con la speranza di
avviarlo ad una nobile carriera: «…Richiama in seguito alla memoria le tanto
luminose idee, di cui procurai arricchir tua mente, pria sulla scienza
dell’uomo e sulle facoltà morali… indi su fatto il complesso di tutti i rami
dell’umano sapere, e de varj poteri o arti che ne derivano, a loro
subordinazione; più particolarmente alfine sulla bella arte del disegno
considerata come tanti linguaggi; sulle verità generali e primieramente che
riguardano l’attività inalterabile della materia e i fenomeni maggiori della
natura e sue leggi; sulla geologia e geografia… Rivolgi finalmente l’attenzione
tua sopra gli avanzamenti che io ti preparavo, e senza portar troppo oltre lo
sguardo, arrestato sulla situazione vantaggiosissima, che ti veniva da me
assicurata nel Vasto dopo venti altri mesi soltanto…».
Nella
lettera si fa cenno anche all’amicizia con il famoso Luigi Valentino
Brugnatelli, che gli avrebbe potuto giovare nello studio della scienza chimica,
e sappiamo che il Rossetti era molto interessato a questi argomenti, anzi, come
abbiamo visto nella Grotta di Monte-Calvo
ed in altre pubblicazioni, possiamo dire che aveva una buona conoscenza della
materia.
Dopo altre
righe assolutamente indecifrabili, l’autore chiede di consolare "la
madre nostra", e augura "senno e coraggio" per la
prossima partenza fissata per il 15 di ottobre verso l’Università di Napoli; e,
sappiamo, che Gabriele partì per la capitale del Regno proprio nel 1804, a
ventun'anni, per dedicarsi alla pittura.
La firma è
parzialmente illeggibile, ma si riesce ad intuire Tuo amatissimo fratello
Francesco Paolo... Questo allontanerebbe la paternità da Domenico Rossetti,
ma non è del tutto da escludere l'uso di un nome falso, a causa dell'accusa di diserzione.
Il giusto
riconoscimento alla memoria del poeta vastese da parte della sua città natale
arriverà soltanto dopo oltre cinquant’anni dalla morte: una lapide, eretta per
pubblica sottoscrizione nel giugno del 1869, verrà posta all’ingresso del
cimitero comunale, accanto a quella del fratello Antonio.
L’iscrizione dettata dal medico e
letterato vastese Giacinto Barbarotta verrà alquanto modificata rispetto
all’originale, in quanto monca del cappello iniziale e della conclusione, in
cui l’epigrafista vastese ricorda ai Parmigiani che il corpo di un cittadino
istoniense si trova nella loro terra e li invita, per amore dell’Italia, ad
erigere un monumento in suo onore.
Questo è il testo modificato usato
per la lapide:
DOMENICO ROSSETTI
PER ESTRANIE RAGIONI PEREGRINANDO
COLSE FAMA NON PERITURA
DI MEDICO GIURECONSULTO TEOLOGO
FISICO
IN POETARE EBBE ESTRO IMPROVVISO
PENSIERI SUBLIMI ESPRESSIONI VIVACI
FU L’UOMO DEI DOTTI
STIMATO PER LE POLITICHE COMMESSIONI
FESTEGGIATO DALLA STUDIOSA GIOVENTU’
UNO DEI GENI MIRACOLOSI
CHE AD ESTASI BELLISSIMA DI GLORIA
ISPIRATI DALLA VOCE DELL’ONNIPOTENTE
RALLEGRANDO I MORTALI
IN QUESTA VALLE DI PIANTO
INTERMINABILE:
VISSE 40 ANNI - MORI’ IN PARMA A DI’
7 LUGLIO 1816
OH IL DEGNO UOMO CHE SI RIMPIANGE!
Siamo giunti
al termine del nostro speciale in occasione del bicentenario della morte di
Domenico Rossetti, illustre figlio di Vasto, nella speranza di aver reso il
giusto merito ad un personaggio poco conosciuto, che continua, ancora oggi dopo
tanti anni, a sorprenderci. Domenico Rossetti è una scoperta continua: grazie
al web ed alle ricerche nelle principali biblioteche italiane, tanto materiale
è emerso, ma le ricerche sono ancora lunghe e potrebbero portare a sorprendenti risultati, in particolare se venissero alla luce i
tanti manoscritti e lettere, come riferito da alcuni storici, ma di cui finora
non è stata trovata traccia.
Lino
Spadaccini
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