giovedì 28 luglio 2016

DOMENICO ROSSETTI (7^ puntata) : anni di intensa attività forense e partecipazione attiva nella vita pubblica parmense

di Lino Spadaccini

Quasi contemporaneamente alla stesura della Sofonisba, Domenico Rossetti dà alle stampe la Cantata In occasione d’essere l’Augusto Imperator de’ Francesi Napoleone I coronato Re d’Italia, dedicata a Mederic-Louis-Elia Moreau De Saint-Mery, consigliere di stato ed amministratore generale degli stati di Parma e Piacenza. Quest’opera rappresenta un primo atto di prostrazione verso il dominatore francese, ed in particolare verso il suo capo supremo, Napoleone Bonaparte.
Potrebbe sembrare strano vedere un Domenico Rossetti, decisamente cambiato rispetto alle idee del 1799, quando ne La Superbia de’ Galli punita, aveva duramente attaccato i francesi e inneggiato agli austriaci liberatori dell’Italia. In realtà, ci troviamo davanti ad un percorso intrapreso da molti
poeti dell’epoca, tra cui anche il celebre Vincenzo Monti, accusato dal critico Francesco De Sanctis, di scrivere versi che «suonavano sempre libertà, giustizia, patria, virtù, Italia… era un buon uomo che avrebbe voluto conciliare insieme idee vecchie e nuove, tutte le opinioni, e dovendo pur scegliere, si tenea stretto alla maggioranza, e non gli piacea di fare il martire».
Diversi sono i punti in comune tra i due letterati, ma mentre nel primo ritroviamo una persona capace di montare sempre sul carro del vincitore, e per questo ne fu accusato per molti anni, in particolare dal suo acerrimo nemico Ugo Foscolo, in Domenico Rossetti ci troviamo davanti ad un uomo liberale, mite, sincero e sicuramente anche compiacente verso chi comandava, ma di tutto questo lo si potrà accusare di una sola cosa, quello di aver accettato l’incarico di segretario straordinario del conte Starhemberg, dopo che gli austriaci cacciarono i francesi da Parma nel 1814. Di questa scelta, di cui torneremo a parlare in altra occasione, il Rossetti se ne pentirà dopo pochi mesi.

Come molti poeti dell'epoca, anche il Rossetti saluta l’incoronazione del Bonaparte a Re d’Italia, avvenuta il 26 maggio 1805, con una cantata, immaginando un dialogo nell’Olimpo tra Giove e Marte, e le personificazioni allegoriche de La Gloria e La Pace, inframmezzato dal Coro di Genii della Felicità.
Canta Marte:

Nasce appunto da questa
La cagion della gara. È glorioso
Napoleon per me; dunque degg’io
Al magnanimo Eroe
Le tempie coronar. Il crederesti?
La Gloria a me si oppone, e ardita e ingiusta
Me ne contrasta il vanto. Ah! chi fu mai
Che lui seguì per tutto?
Ch’il rese lieto ai fieri
Delle belliche trombe orridi carmi?
Chi fu, che saldo il tenne
Ai rimbombanti tuoni
De’ concavi metalli?
Chi cinse a Lui la fronte
Di mille e mille allori?
Chi della Gloria in seno
Trionfante il guidò dopo il conflitto?
Chi fu, o gran Giove, se non Marte invitto?
De’ miei sudor son frutto
I suoi sublimi onori,
Abbiano i miei sudori,
Abbiano al fin mercè.
Se la mia man per tutto
Non lo diresse invano,
Coroni la mia mano
Il gran Monarca, il Re.

E Giove conclude l’opera con toni trionfanti:

Più non si tardi. Meco tutti i Numi
Scendano su la terra. Io stesso, io stesso
Napoleone il grande
Guiderò sopra il soglio. Emulo al mio
Gli porgerò lo scettro. Il regal serto
Avrà da me, da me purpureo manto.
Saluterollo io primo
Col titolo d’Augusto.
Gl’Itali ognora andranno
Di Lui superbi, ed Ei sarà di loro
Un’amico, un germano: il nome solo
Di Monarca n’avrà. Così il sostegno
Avrà il mendico in Lui, l’orfano il padre
Il premio la virtù: perpetua stanza
Avranno entro il suo core
La pietà, la giustizia ed il valore.
Di sudditi fedeli
L’Italia abbonderà. Liberi e uguali
Essi saranno; Egli da lor domanda
Sol tanta servitù quanta impedisca
Di perir la licenza.

Nella dedica iniziale risulta ben chiaro il messaggio di devozione verso il governo francese: «Ma a chi altri mai ora si debbono dedicare i miei carmi se non a vostra Eccellenza? –  scrive il Rossetti – E sotto quai più validi, più incliti auspicii ricovrare essi si possono? Di fatto non siete voi forse Eccellenza, una viva immagine dell’istesso augusto Napoleone I. presso questi popoli? Non fu forse affidata alla vostra gran mente l’amministrazion generale di questi stati, ove il vostro nome altamente risuona come quello d’un giusto giudice, di un benefico eroe, di un tenero padre? Se io non temessi di offendere la vostra naturale modestia, e la vostra bella umiltà, oh come! ardirei di tesserne i meritati encomii, e di far eco agli applausi della Parma riconoscente, la quale, oltre ai tanti ricevuti beneficii, gode perfino di quello d’esser già quasi dell’ontutto illustrata della sua storia dalle gloriose fatiche di vostra Eccellenza...».
Appassionato di musica Domenico, oltre a scrivere libretti, è assiduo frequentatore dei teatri parmensi. Dal suo palchetto si lascia trasportare dalla buona musica, riuscendo a trasformare le proprie emozioni su carta. Un primo esempio l’abbiamo già visto con la soprano Maddalena Grassi, un altro esempio, chiaro segno di gratitudine, è rivolto all’oboista parmigiano Giuseppe Hoffstaeder venuto a mancare nei primi mesi del 1805: il Rossetti dà alle stampe un Epicedio, dedicato al conte Angelo Bianchi, direttore degli spettacoli del Teatro Imperiale di Parma.Oltre all’amabilità delle terzine proposte dal poeta, l’autore dà un piccolo saggio della sua cultura scientifica, dissertando nelle "annotazioni" sul rapporto tra luce, colori e suono.
Probabilmente in questo periodo sono da collocare i due sonetti pubblicati dai tipografi Marco Rossi e Andrea Ubaldi, per il primogenito dei coniugi Pietro Rivetta e Giuseppina Gibello. Il primo sonetto verrà successivamente ripreso in Opere poetiche, col titolo Per un vivacissimo fanciullo di sei mesi.
Nell’aprile del 1806, per i tipi di Marco Rossi e Andrea Ubaldi, Domenico Rossetti pubblica Disperazione e morte di Giuda. Le terzine scritte «sul più sacrilego, sul più malvagio degli uomini, quale fu appunto il ferocissimo, ed ingratissimo Giuda», sono dedicate all’abate D. Sante Marchesi, cattedratico del Seminario parmense e insigne poeta.
Come ricorda lo stesso Rossetti nella lettera di presentazione, le terzine furono scritte appositamente per la pubblica "Adunanza sacra", solita a tenersi dai pastori della Dora di Torino, nella Settimana Santa. L’abate Sante Marchesi, che ebbe l’onore di leggere la stesura del testo prima dell’invio dell’originale a Torino, consigliò vivamente il Rossetti di pubblicarlo per dare modo a tutti di apprezzare la composizione.
Ecco alcuni passi che ci aiutano a capire meglio la poesia del Rossetti:

S’assise il traditor sopra di un sasso,
E meditò di sè danni, e ruine
Col guardo al suolo annuvolato, e basso.
Poi trasse un urlo, si divelse il crine,
Balzò su piedi, calpestò la terra,
Ed esclamò lo scellerato alfine:
Ahi! l’Uom Giusto ho tradito! ahi, quanta guerra
Suscitai contro un Dio per l’esecrata
Sete dell’ôr, che nel mio sen s’inserra!

Tra le righe proposte dal Rossetti traspare in modo vivido la disperazione di uno dei discepoli prediletti da Gesù, che lo tradisce per trenta denari. La disperazione ed il rimorso sono così grandi che lo porteranno a compiere il fatale gesto:

Girando gli occhi d’anatèma carchi
Vede un arbor silvestre, un steril fico
Coi grossi rami ripiegati in archi.
E spinto già dall’Infernal nimico
S’appressò a quello, e rampicando salse
Verso la cima su pel tronco antico.
La fune, onde avea cinto il fianco, valse
Di capestro a quell’empio: un capo ei lega
A un ramo, e il ramo esaminar gli calse.
Poi l’altro capo intorno al collo piega;
Ne fa cappio scorsoio a se fatale,
Che, ove fia teso, il collo stringe e sega.
Era presso a cader, quando l’assale
Un tremito, un torpore, e l’alma negra
Per la fronte versò sudor mortale.
Ecco crolla la terra, il Sol s’annegra,
Surgon morti, urlan venti, il tutto è orrore,
Poichè natura è omai sconvolta ed egra.

Tralasciamo il finale, che noi tutti conosciamo benissimo, anche se l’opera meriterebbe una trattazione più ampia.

Nello stesso anno il Rossetti cura la traduzione dal francese de La nascita d’amore (Naissance de l’amour) estratta dalla lettera XXXVI della Lettre à Emilie sur la mythologie dello scrittore francese Charles Albert Demoustier, scritta tra il 1786 ed il 1798.
La mancanza di una dedica, di una presentazione o di altre annotazioni esplicative, ci impediscono un maggiore approfondimento sulla genesi del libro.
Buon conoscitore della lingua francese, appreso in gioventù e coltivato durante i diversi viaggi d’oltralpe, il Rossetti ci offre una traduzione puntuale e scorrevole in linea con le traduzioni dell’epoca. Un tocco di personalità il Rossetti lo mostra soprattutto in occasione delle poesie. Mettiamo a confronto il testo originale con la traduzione del Rossetti:

Comme il étoit sans voile, il étoit sans détours / Eraamore in que’ beglianni  / Dès qu’il aimoit, il disoit : je vous aime. /Senzainganni, / Et cet aveu n’étoit point un problême /Senzavelo ; e quandoardea / Qu’un amant pût résoudre à peine en quinze jours. / Per vezzosaNinfa in core,/ Il n’étudioit point ses timides discours / Con candore, / Comme un certaine Émilie / T‘amo, o Cara, a lei dicea. / Qui prétend sauver sa pudeur / Non ancora il suo bel labro / Sous le voile douteux de l’amphibologie. /Erafabro / Tandis, que ses regards, ses soupirs, sa langueur           / Di dubbiezze, e di mistero; / Nous font du secret de son coeur /Nèchiedevanogliamanti / Le secret de la comédie.
Giorni tanti
A decidere del vero.
Non aveva il Dio bendato
Studiato
Il suo timido linguaggio,
Come Emilia, che m’intende,
Ma pretende
Al pudor non fare oltraggio.
Usa equivoche parole,
Perchè vuole,
Che il suo cor io non disveli;
Ma i suoi suardi, i sospir suoi
Sono poi
Del suo cornunzii fedeli.
Quel languor, che mostra in viso
Quel sorriso
Ben rivelano che m’ama:
Di celarlo a me pur crede,
Nè s’avvede,
Che palese è quel, che brama.

Il lavoro del Rossetti non è quello del semplice traduttore: egli si appropria del testo trasformandolo e arricchendolo come fosse un’opera propria, pur mantenendo intatto il significato voluto imprimere dall’autore. Così ci troviamo davanti ad una piccola trasformazione del testo francese, che lo avvicina di più al lettore italiano in quel preciso momento storico.
Prendiamo in esame un altro brano del Demoustier:
Adieu, tous les secrets de la coquetterie,
Soupirs, larmes, coups d’oeils, sourires, trahisons;
Adieu, fureurs, craintes, soupçons,
Noirs enfans de la jalousie...
Questa la traduzione del Rossetti :
Addio, secreti, addio,
Galanti modi dell’astuto sesso.
Pianti, sospiri, tradimenti, inganni.
Addio, sguardi furtivi, addio, sorriso,
E voi chiechi furori,
Voi sospetti, e timori,
Cui vomitò dalla tartarea foce,
(Orrendi figli!) Gelosia feroce...


Seguono anni di intensa e felice attività forense ed una partecipazione sempre più attiva nella vita pubblica: grazie alle sue qualità oratorie, viene spesso chiamato a pronunziare discorsi ed orazioni funebri e d'occasione, alla presenza di autorità civili ed ecclesiastiche. Di questo periodo è da ricordare senz'altro l’orazione fatta nell’aprile del 1808 (pubblicata lo stesso anno per i tipi di Marco Rossi e Andrea Ubaldi), davanti la Corte di Giustizia Criminale di Parma in favore di Giuseppe Barilli di Noceto. Con lucidità e fermezza il Rossetti riesce a smontare l’accusa di omicidio a carico del suo cliente, anche per l’assenza di testimoni oculari, ottenendo dalla Corte di Giustizia Criminale la «pena in via correzionale di sei mesi di carcere, ed inoltre solidariamente con Giuseppe della Donnina detto Poli alle spese processali».
Dell’anno precedente è il sonetto dedicato al celebre scultore e pittore Gaetano Callani, per aver dipinto un quadro rappresentante il pontefice Pio VII (Mussi, Parma, 1807).
Nei primi anni di permanenza a Parma, Domenico Rossetti riprende gli studi universitari e l’8 agosto del 1808 conferma la precedente laurea in diritto penale e canonico nella Real Università Parmense,per dissertazione su uno scritto in lingua francese discussa con il prof. Godi.
Per questa importante occasione, il Rossetti declama un sonetto nella gran Sala dell’Università, dove ricorda le traversie di gioventù fino al suo arrivo a Parma:
Nel turbo avvolto d’infiniti mali
Fu il settimo mio lustro a scorrer lento:
Errai di lido, in lido, alfin contento
Le Parmensi baciai sponde ospitali.

Nel triennio 1808-1810, dove è prevalente l’attività forense, il Rossetti non perde il vizio di poetare, dando alle stampe alcune opere minori, ispirate da situazioni occasionali, come per la guarigione da una malattia del signor Angelo Bianchi, amico del Rossetti; un’ode scritta nel febbraio del 1809, dedicato al signor Rougier de la Bergerie, prefetto del Dipartimento dell’Yonne, con cui intrattiene una relazione epistolare, grazie all’intermediazione di un ufficiale francese, il signor Jeannin, in servizio in Italia; ancora un’ode al signor HuguesNardon, amministratore e prefetto degli stati di Parma e Piacenza, dal maggio 1808 all’agosto del 1810, in occasione del suo passaggio e dimora nella città di Borgo S. Donnino; per le nozze Villa-Bernardi celebrate a Parma nel luglio 1809,cura la pubblicazione di un piccolo volumetto dedicatoa Filippo Vincenzo Ponticelli, comprendente due sonetti: il primo dal titolo Alla novella sposa,a firma di TibiscoPentebio (nome arcadico del Ponticelli), ed il secondo creato nel breve spazio di sette minuti, con le rime obbligate proposte dallo stesso Ponticelli, dal titolo Agli sposi, a firma di Domenico Rossetti, Tra i pastori della Dora, Aminta; ancora un sonetto dedicato ai signori Filippo Linati, Giacomo Tommasini e Luigi Torrigiani, stampato in semplice volantino e distribuito tra la gente, probabilmente durante qualche rappresentazione teatrale, come era d’uso in quel periodo.
Le opere più rappresentative di questo periodo sono le tre odi che compongono La notte, versi dedicati a Francesco Vezzi in occasione della sua ricuperata salute. «Permettetemi dunque – scrive il Rossetti nella lettera dedicatoria  – ch’io, obliando oramai per qualche istante il gelo, e l’indole grave degli attuali miei studi, festeggi col canto delle Muse la vostra ricuperata salute, e saetti con pungenti sarcasmi, e ferrei dardi quelle funeste notti, nelle quali si palpitò tanto sulla vostra sorte».
Come afferma il Rossetti, quest’opera è parto di studi e approfondimenti intorno alla notte e a tutti i misteri e le ombre che la circondano. La notte, o la cieca tenebrìa, osservata e cantata attraverso molteplici aspettati, che la dipingono ora misteriosa, ora perversa ed ora ancora avversa e insidiosa, che all’uom mestizia rechi / con l’aspetto fatale / o del nulla, o del male. La notte non è soltanto lo spazio temporale tra il tramonto e l’alba, la notte può essere anche il male che abbiamo dentro di noi, soprattutto a causa del dolore, che ci fa vedere le cose sotto un’ottica poco lucida e deformata. Così conclude il poeta abruzzese la terza ode: Chi il crederia? Propizia / Notte, tu pur gli sei; / Malvagia, inesorabile, / No, te non fèro i Dei: / Mi rese ingiusto il core / L’eccesso del dolore.

Il 1810 è l’anno del ripudio della moglie Giuseppina da parte di Napoleone Bonaparte, per non avergli dato prole e l’ottenimento della mano di Maria Luigia d’Austria (Vienna 1791 – Parma 1847), primogenita dell’Imperatore Francesco I d’Asburgo. Molti poeti decantano quest'ultimo avvenimento con componimenti poetici, così come il Rossetti, che scrive ben tre sonetti dedicati ai novelli sposi. In particolare, nel primo parla della ragione di Stato che ha costretto Napoleone a ripudiare la moglie: Sol perché al Trono del suo gran Monarca / Un nato Erede dopo lui non resta. / Ragion di Stato a comun pro si desta; / Amor le sorge incontro... il ciglio inarca / L’Augusta Coppia, ondeggia, e si rammarca... / Pur magnanima cede a l’ardua richiesta.
Il grande successo personale per Domenico Rossetti giunge nel giugno dell’anno successivo, quando l’imperatore francese e la sua consorte danno al mondo il tanto sospirato erede, François, a cui viene imposto il titolo di "Re di Roma", per riallacciare idealmente la dinastia napoleonica alla lontana tradizione dell’impero carolingio.
Per l’occasione anche a Parma vengono organizzati festeggiamenti in grande stile, da parte della Società de'Filomati. Il Giornale del Taro, per l’occasione pubblica un articolo non firmato, forse inviato, o forse scritto da uno dei componenti della Società de'Filomati, oppure, perché no, dallo stesso Rossetti:
«…Finita l’adunanza già eran tutti in sulla mossa, allorché fatto cenno di voler parlare, ed impetratone licenza dalla maggiore autorità, il Signor Avvocato Rossetti, poeta estemporaneo, spinto da quel caldo entusiasmo che suscita nei petti italiani il grande avvenimento che si celebra, ed elettrizzato dalla scintilla febea che gli uditi versi aveano sprigionata, con grata meraviglia de’ circostanti e con bello ardimento imprese ad epilogare, improvvisando nel difficile metro dell’ottava, tutti gli svariati poemetti che recitati aveano i Filomati. In questo arduo cimento il Signor Rossetti ha superato sé stesso. Novità d’immagini, vigore e pomposità di verso, difficoltà di rime insperatamente e nobilmente superate, tutto in fine ha contribuito a rendere il suo canto robusto, maestoso ed improntato d’un conio originale. L’iterato batter palma a palma, ed i vocali applausi della sceltissima adunanza tutta sono irrefrenabili testimonianze di quanto di quanto siam venuti dicendo».
Lo stesso cronista al termine dell'articolo, dà un piccolo saggio della difficoltà dei versi   estemporanei creati dal poeta abruzzese:
Nel preambolo dopo aver chiusa la precedente ottava così:
«Saran mie rime in sì propizj istanti
Imperiose energiche sonanti;»
voltosi il Poeta al ritratto di S. M. I. e R. disse:
«E come no, se qui l’immaginveggo
Di LUI che di sua luce il mondo irradia?
E come no, se in fronte ad esso io leggo
Qual più vanta saper mente Palladia?
E come no se già ben io m’avveggo
Ch’EI fatto è Nume alla Parmense Arcadia?
Per LUI la fiamma in me serpa fatidica,
E sia mia musa nel suo dir veridica».

Per la stessa occasione, il Rossetti viene incaricato dal Consiglio Amministrativo della Società Filo-Musico-Drammatica di Parma, di comporre una Cantata per festeggiare la nascita ed il battesimo del Re di Roma, da eseguirsi la sera del 13 giugno nel Teatro S. Caterina, musicata dal maestro Giuseppe Alinovi.Il testo del libretto è un omaggio in puro stile encomiastico, immaginando un dialogo, o meglio una contesa tra la Gloria, nutrice del bambino, e Marte, il dio della guerra, sostenuti dal coro di Genii di queste due deità.
La Gloria annuncia la nascita del figlio dell’Augusto Imperatore: Godete, sì, godete, / Eletti Genii della Gloria amici. / Oggi l’Augusta Prole / Tra le Paterne braccia / Vedran liete e ridenti / Entro del tempio le adunate genti.
La Dea si proclama sua nutrice ed è colei che guiderà il pargolo all’insegnamento della Filosofia ed alle arti della guerra, tale da renderlo del Gran Padre seguace e imitator, e lo guiderà trionfante in ogni terra... ed in mezzo all’aspra guerra pace alfin germoglierà.
Accompagnato da una vigorosa musica che esprime una marcia militare, avanza minaccioso Marte, seguito dai Genii guerrieri, che rivendica la tutela del pargolo: Alla mia sola cura / L’Augusto Pargoletto il Cielo affida. / Sopra il Paterno scudo / Trarrà i sonni per me: fian suoi trastulli / Aste, usberghi, e bandiere: il mio valore / Gl’infonderò nel petto, / One fastoso un dì regga il destino / Della stirpe d’Ascanio, e di Quirino.
Alla fine è la Gloria ha trovare la soluzione: entrambi gli dei educheranno l’erede dell’Imperatore. L’approvo, risponde Marte, Teco in pace, o Dea, ritorno: / Altro più bramar non so, e insieme concludono: Deh! si vada in quest’istante / La bell’Opra a incominciar. / Roma onori il suo Regnante, / Torni il Tebro a giubilar.
Un altro componimento, ancora per la nascita del Re di Roma, viene dato alle stampe direttamente dal Rossetti, per i tipi di Giuseppe Paganino.

Gli ultimi avvenimenti porteranno ulteriore fama e notorietà al Rossetti, non solo per le apprezzate opere poetiche, ma anche per la palese simpatia del poeta abruzzese verso il governo francese.
Nel corso del 1811, dove la vena poetica del Rossetti è particolarmente ispirata, altre opere escono ancora dai torchi di Giuseppe Paganino. Di particolare importanza è l’ode per la nascita e battesimo del figlio del barone Enrico Dupont Delporte, prefetto del Dipartimento del Taro, e della sua consorte Alix Sirugue. Per l’occasione il Giornale del Taro riporta la cronaca dei festeggiamenti mettendo in evidenza l’ode pubblicata dal Rossetti: «Compiuta la solenne cerimonia e dispensati rinfrescamenti e dolci alla numerosa eletta adunanza, si venne pur distribuendo un’oda del Sig. Avvocato Rossetti elegantemente impressa, ed avente a piè di pagina una fedele versione francese in prosa del Sig. Giuseppe Duplessis. Quest’oda che ha elevato plauso anche fra i meno facili leggitori, racchiude, a parer nostro, non vulgari bellezze. Essa è tutta intesa a celebrare il nascimento ed il battesimo dell’inclito pargoletto, a predire i suoi vanti futuri, ed a preconizzare i presenti degl’illustri genitori».
Altre opere pubblicate nel corso dell’anno sonoSciolti epitalamici recitati alla mensa nuziale degl'illustri sposi il Signor Pietro Jacobacci e la Signora Maria Maffei, un Epicedio alla tomba del celebre Proposto Poggiali Storiografo di Piacenza, un sonetto dedicato alla bella e talentuosa attrice Gaetana Andolfati, per l'interpretazione della Semiramide nel Teatro Imperiale di Parma, un’ode in onore del celebre tenore Claudio Bonoldi, per l'interpretazione della parte di Marco Orazio nell’opera Gli Orazj e Curiazj del compositore Domenico Cimarosa, ed infine un sonetto estemporaneoinserito, insieme ad altre due composizioni (un sonetto di Vincenzo Jacobacci, Consigliere di Prefettura del Dipartimento del Taro, e un madrigale, in lingua francese, di Joseph de Lama) in un libretto curato da Alessandro Aloat, come tributo d’amicizia, per le nozze di Benedetto Brunati e Metilde Polloni.

Il 7 agosto 1811 un distinto signore triestino chiede informazioni sulla pubblicazione di una poesia dal titolo "Per la nascita del Re di Roma", scritta dall’avvocato Domenico Rossetti. Troppe coincidenze: stesso nome, entrambi avvocati e stessa passione per la poesia. Non sembra vero per il Conte Domenico Rossetti de Scander di Trieste, a quel tempo fiorente emporio commerciale portuale dell’Austria, che un suo omonimo possa scrivere una poesia inneggiando al nemico giurato Napoleone. Il nobile triestino vuole andare a fondo nella vicenda e scrive ai librai Molini e Landi di Firenze, di procurargli la copia del libricino «giacché costando 50 cent.i non potrà essere voluminosa» e chiede, inoltre, di prendere a Parma ogni possibile informazione intorno all’autore, perché come spiega egli stesso «Questa notizia mi serve tanto per soddisfare alla curiosità quanto per prevenire equivoci».
Le notizie tardano ad arrivare a Triste. Finalmente, con lettera datata 4 novembre i signori Molini e Landi comunicano le tanto attese notizie biografiche del poeta abruzzese, ricevute dal loro corrispondente di Parma. In realtà le notizie sono piuttosto confuse e prive di qualsiasi fondamento: «Nacque in Siena 8 Maggio. 1772 – da Niccolò Rossetti e da Francesca Piccolomini, il primo Siciliano, ma essendo stato educato in Siena nel Collegio de’ Nobili, dopo esserne sortito prese moglie nella famiglia Piccolomini. L’avv. Dom. Rossetti terzogenito di questo matrimonio, ed il padre dopo essere stato Governatore di alcune Città del Regno di Napoli fu nominato ad esserlo della città di Messina, ove lasciò le Sue ossa nella terribile catastrofe del gran terremoto ivi avvenuto. Allora Domenico trovavasi in Roma in Collegio dopo essere stato precedentemente educato in Napoli fino all’età di 14 anni nel Collegio de’ Cadetti Reali». Non sappiamo da quali fonti abbia appreso le notizie il corrispondente dei librai fiorentini, o se semplicemente le informazioni erano state costruite ad arte, magari dallo stesso Rossetti, vista l'accusa di diserzione che ancora pendeva sul suo capo. In molte citazioni, infatti, viene più volte riferita l'origine "senese" del Rossetti e, addirittura, in alcuni documenti legati alla massoneria parmense, è lo stesso Rossetti a sostenere la sua origine toscana. «È da otto anni incirca ch’egli dimora a Parma – prosegue la descrizione del Molini Landi – ed esercita la professione d’avvocato con molta lode ed onestà, ed è stimato dalla Repubblica letteraria per molte operette da lui scritte con sapere ed eleganza, è anche poeta improvvisatore felicissimo, è parlatore eloquente, ottimo scrittore ed erudito amplissimo. Egli è un uomo di più di mezzana statura, benfatto di corpo, volto piuttosto bronzato, occhi di vivacità straordinaria, naso alquanto aquilino».
Tre giorni dopo, viene recapitata al conte triestino la tanto attesa "Visione" in onore del Re di Roma. Già dalle prime battute gli balena l’idea di storpiare il testo, riscrivendo quasi una parodia dell’originale: «E, preso dal suo giuoco stesso, poetico e politico, continuò, rapido e imperterrito, a stravolgere le parole dell’omonimo avversario, letteralmente rispondendogli per le rime; ma finì col sentirsi stanco e nauseato di dover infierire contro un pargolo innocente per colpire e quasi riscattare la bolsa piaggeria nella quale era coinvolto il suo nome».
Le prime tre terzine originali

Già de la Fama il clamoroso suono
   Annunziava a le diverse Genti
   Il nato in Francia Successore al Trono;
Tutta la terra e ‘l Ciel l’udian plaudenti,
   Fuorché gli scogli d’Albion nemica,
   Che l’eco invan ne ripetean frementi;
Ed io de l’aura acceso ai Vati amica
   Giva la cetra armonizzando omai,
   A non vulgare accinto Ascrea fatica;

vengono trasformate nel modo seguente:

Già di Fama venal l’usato suono
   Annunziava alle diverse genti
   Il nato in Francia successore al trono;
Le terre a lui servil’ l’udianpladenti,
Ed Albion di tirannia nemica
   Vi rispondea a cachinni aspri e frementi;
Mentr’io dell’aura acceso al vero amica
   Romper volea la cetra mia, ché omai
   Splende in adular l’ascrea fatica.

Stanco del gioco, dopo aver scritto tre buone facciate, ripone i fogli tra le scartoffie del suo archivio.
Forse proprio dopo la scoperta di quella "scomoda" omonimia, il letterato triestino, sui frontespizi dei libri pubblicati, a scanso di qualsiasi equivoco, si firmerà "Domenico Rossetti nobile de Scander".



















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