di Lino
Spadaccini
Quasi
contemporaneamente alla stesura della Sofonisba, Domenico Rossetti dà
alle stampe la Cantata In occasione d’essere l’Augusto Imperator de’
Francesi Napoleone I coronato Re d’Italia, dedicata a Mederic-Louis-Elia
Moreau De Saint-Mery, consigliere di stato ed amministratore generale degli
stati di Parma e Piacenza. Quest’opera rappresenta un primo atto di
prostrazione verso il dominatore francese, ed in particolare verso il suo capo
supremo, Napoleone Bonaparte.
Potrebbe sembrare
strano vedere un Domenico Rossetti, decisamente cambiato rispetto alle idee del
1799, quando ne La Superbia de’ Galli
punita, aveva duramente attaccato i francesi e inneggiato agli austriaci
liberatori dell’Italia. In realtà, ci troviamo davanti ad un percorso
intrapreso da molti
poeti dell’epoca, tra cui anche il celebre Vincenzo Monti,
accusato dal critico Francesco De Sanctis, di scrivere versi che «suonavano sempre libertà, giustizia, patria,
virtù, Italia… era un buon uomo che avrebbe voluto conciliare insieme idee
vecchie e nuove, tutte le opinioni, e dovendo pur scegliere, si tenea stretto
alla maggioranza, e non gli piacea di fare il martire».
Diversi sono
i punti in comune tra i due letterati, ma mentre nel primo ritroviamo una
persona capace di montare sempre sul carro del vincitore, e per questo ne fu
accusato per molti anni, in particolare dal suo acerrimo nemico Ugo Foscolo, in
Domenico Rossetti ci troviamo davanti ad un uomo liberale, mite, sincero e
sicuramente anche compiacente verso chi comandava, ma di tutto questo lo si
potrà accusare di una sola cosa, quello di aver accettato l’incarico di
segretario straordinario del conte Starhemberg, dopo che gli austriaci
cacciarono i francesi da Parma nel 1814. Di questa scelta, di cui torneremo a
parlare in altra occasione, il Rossetti se ne pentirà dopo pochi mesi.
Come molti
poeti dell'epoca, anche il Rossetti saluta l’incoronazione del Bonaparte a Re
d’Italia, avvenuta il 26 maggio 1805, con una cantata, immaginando un dialogo
nell’Olimpo tra Giove e Marte, e le personificazioni allegoriche de La Gloria e
La Pace, inframmezzato dal Coro di Genii della Felicità.
Canta Marte:
Nasce
appunto da questa
La cagion
della gara. È glorioso
Napoleon per
me; dunque degg’io
Al magnanimo
Eroe
Le tempie
coronar. Il crederesti?
La Gloria a
me si oppone, e ardita e ingiusta
Me ne
contrasta il vanto. Ah! chi fu mai
Che lui
seguì per tutto?
Ch’il rese
lieto ai fieri
Delle
belliche trombe orridi carmi?
Chi fu, che saldo il tenne
Ai
rimbombanti tuoni
De’ concavi
metalli?
Chi cinse a
Lui la fronte
Di mille e
mille allori?
Chi della
Gloria in seno
Trionfante
il guidò dopo il conflitto?
Chi fu, o
gran Giove, se non Marte invitto?
De’ miei
sudor son frutto
I suoi
sublimi onori,
Abbiano i
miei sudori,
Abbiano al
fin mercè.
Se la mia
man per tutto
Non lo
diresse invano,
Coroni la
mia mano
Il gran
Monarca, il Re.
E Giove
conclude l’opera con toni trionfanti:
Più non si
tardi. Meco tutti i Numi
Scendano su
la terra. Io stesso, io stesso
Napoleone il
grande
Guiderò
sopra il soglio. Emulo al mio
Gli porgerò
lo scettro. Il regal serto
Avrà da me,
da me purpureo manto.
Saluterollo
io primo
Col titolo
d’Augusto.
Gl’Itali
ognora andranno
Di Lui
superbi, ed Ei sarà di loro
Un’amico, un
germano: il nome solo
Di Monarca
n’avrà. Così il sostegno
Avrà il
mendico in Lui, l’orfano il padre
Il premio la
virtù: perpetua stanza
Avranno
entro il suo core
La pietà, la
giustizia ed il valore.
Di sudditi
fedeli
L’Italia
abbonderà. Liberi e uguali
Essi
saranno; Egli da lor domanda
Sol tanta
servitù quanta impedisca
Di perir la
licenza.
Nella dedica
iniziale risulta ben chiaro il messaggio di devozione verso il governo
francese: «Ma a chi altri mai ora si debbono dedicare i miei carmi se non a
vostra Eccellenza? – scrive il
Rossetti – E sotto quai più validi, più incliti auspicii ricovrare essi si
possono? Di fatto non siete voi forse Eccellenza, una viva immagine
dell’istesso augusto Napoleone I. presso questi popoli? Non fu forse affidata
alla vostra gran mente l’amministrazion generale di questi stati, ove il vostro
nome altamente risuona come quello d’un giusto giudice, di un benefico eroe, di
un tenero padre? Se io non temessi di offendere la vostra naturale modestia, e
la vostra bella umiltà, oh come! ardirei di tesserne i meritati encomii, e di
far eco agli applausi della Parma riconoscente, la quale, oltre ai tanti
ricevuti beneficii, gode perfino di quello d’esser già quasi dell’ontutto
illustrata della sua storia dalle gloriose fatiche di vostra Eccellenza...».
Appassionato
di musica Domenico, oltre a scrivere libretti, è assiduo frequentatore dei
teatri parmensi. Dal suo palchetto si lascia trasportare dalla buona musica,
riuscendo a trasformare le proprie emozioni su carta. Un primo esempio
l’abbiamo già visto con la soprano Maddalena Grassi, un altro esempio, chiaro
segno di gratitudine, è rivolto all’oboista parmigiano Giuseppe Hoffstaeder
venuto a mancare nei primi mesi del 1805: il Rossetti dà alle stampe un Epicedio, dedicato al conte Angelo
Bianchi, direttore degli spettacoli del Teatro Imperiale di Parma.Oltre
all’amabilità delle terzine proposte dal poeta, l’autore dà un piccolo saggio
della sua cultura scientifica, dissertando nelle "annotazioni" sul
rapporto tra luce, colori e suono.
Probabilmente
in questo periodo sono da collocare i due sonetti pubblicati dai tipografi
Marco Rossi e Andrea Ubaldi, per il primogenito dei coniugi Pietro Rivetta e
Giuseppina Gibello. Il primo sonetto verrà successivamente ripreso in Opere poetiche, col titolo Per un vivacissimo fanciullo di sei mesi.
Nell’aprile
del 1806, per i tipi di Marco Rossi e Andrea Ubaldi, Domenico Rossetti pubblica
Disperazione e morte di Giuda. Le terzine scritte «sul più sacrilego,
sul più malvagio degli uomini, quale fu appunto il ferocissimo, ed ingratissimo
Giuda», sono dedicate all’abate D. Sante Marchesi, cattedratico del
Seminario parmense e insigne poeta.
Come ricorda
lo stesso Rossetti nella lettera di presentazione, le terzine furono scritte
appositamente per la pubblica "Adunanza sacra", solita a tenersi dai
pastori della Dora di Torino, nella Settimana Santa. L’abate Sante Marchesi,
che ebbe l’onore di leggere la stesura del testo prima dell’invio
dell’originale a Torino, consigliò vivamente il Rossetti di pubblicarlo per
dare modo a tutti di apprezzare la composizione.
Ecco alcuni
passi che ci aiutano a capire meglio la poesia del Rossetti:
S’assise il traditor sopra di un
sasso,
E meditò di sè danni, e ruine
Col guardo al suolo annuvolato, e
basso.
Poi trasse un urlo, si divelse il
crine,
Balzò su piedi, calpestò la terra,
Ed esclamò lo scellerato alfine:
Ahi! l’Uom Giusto ho tradito! ahi,
quanta guerra
Suscitai contro un Dio per
l’esecrata
Sete dell’ôr, che nel mio sen
s’inserra!
Tra le righe
proposte dal Rossetti traspare in modo vivido la disperazione di uno dei
discepoli prediletti da Gesù, che lo tradisce per trenta denari. La
disperazione ed il rimorso sono così grandi che lo porteranno a compiere il
fatale gesto:
Girando gli occhi d’anatèma carchi
Vede un arbor silvestre, un steril
fico
Coi grossi rami ripiegati in archi.
E spinto già dall’Infernal nimico
S’appressò a quello, e rampicando
salse
Verso la cima su pel tronco antico.
La fune, onde avea cinto il fianco,
valse
Di capestro a quell’empio: un capo
ei lega
A un ramo, e il ramo esaminar gli
calse.
Poi l’altro capo intorno al collo
piega;
Ne fa cappio scorsoio a se fatale,
Che, ove fia teso, il collo stringe
e sega.
Era presso a cader, quando l’assale
Un tremito, un torpore, e l’alma
negra
Per la fronte versò sudor mortale.
Ecco crolla la terra, il Sol
s’annegra,
Surgon morti, urlan venti, il tutto
è orrore,
Poichè natura è omai sconvolta ed
egra.
Tralasciamo
il finale, che noi tutti conosciamo benissimo, anche se l’opera meriterebbe una
trattazione più ampia.
Nello stesso
anno il Rossetti cura la traduzione dal francese de La nascita d’amore
(Naissance de l’amour) estratta dalla lettera XXXVI della Lettre à
Emilie sur la mythologie dello scrittore francese Charles Albert Demoustier,
scritta tra il 1786 ed il 1798.
La mancanza
di una dedica, di una presentazione o di altre annotazioni esplicative, ci
impediscono un maggiore approfondimento sulla genesi del libro.
Buon
conoscitore della lingua francese, appreso in gioventù e coltivato durante i
diversi viaggi d’oltralpe, il Rossetti ci offre una traduzione puntuale e
scorrevole in linea con le traduzioni dell’epoca. Un tocco di personalità il
Rossetti lo mostra soprattutto in occasione delle poesie. Mettiamo a confronto
il testo originale con la traduzione del Rossetti:
Comme il étoit sans voile, il étoit sans détours / Eraamore in que’
beglianni / Dès qu’il aimoit, il
disoit : je vous aime. /Senzainganni, / Et cet aveu n’étoit point un
problême /Senzavelo ; e quandoardea / Qu’un amant pût résoudre à peine en quinze
jours. / Per vezzosaNinfa in core,/ Il n’étudioit point ses timides discours /
Con candore, / Comme un certaine Émilie / T‘amo, o Cara, a lei dicea. / Qui
prétend sauver sa pudeur / Non ancora il
suo bel labro / Sous le voile douteux de l’amphibologie. /Erafabro / Tandis,
que ses regards, ses soupirs, sa langueur /
Di dubbiezze, e di mistero; / Nous font du secret de son coeur /Nèchiedevanogliamanti / Le secret de la
comédie.
Giorni tanti
A decidere del vero.
Non aveva il Dio bendato
Studiato
Il suo timido linguaggio,
Come Emilia, che m’intende,
Ma pretende
Al pudor non fare oltraggio.
Usa equivoche parole,
Perchè vuole,
Che il suo cor io non disveli;
Ma i suoi suardi, i sospir suoi
Sono poi
Del suo cornunzii fedeli.
Quel languor, che mostra in viso
Quel sorriso
Ben rivelano che m’ama:
Di celarlo a me pur crede,
Nè s’avvede,
Che palese è quel, che brama.
Il lavoro
del Rossetti non è quello del semplice traduttore: egli si appropria del testo
trasformandolo e arricchendolo come fosse un’opera propria, pur mantenendo
intatto il significato voluto imprimere dall’autore. Così ci troviamo davanti
ad una piccola trasformazione del testo francese, che lo avvicina di più al
lettore italiano in quel preciso momento storico.
Prendiamo in
esame un altro brano del Demoustier:
Adieu, tous les secrets de la
coquetterie,
Soupirs, larmes, coups d’oeils,
sourires, trahisons;
Adieu, fureurs, craintes,
soupçons,
Noirs enfans de la jalousie...
Questa la
traduzione del Rossetti :
Addio,
secreti, addio,
Galanti modi
dell’astuto sesso.
Pianti,
sospiri, tradimenti, inganni.
Addio,
sguardi furtivi, addio, sorriso,
E voi
chiechi furori,
Voi
sospetti, e timori,
Cui vomitò
dalla tartarea foce,
(Orrendi
figli!) Gelosia feroce...
Seguono anni
di intensa e felice attività forense ed una partecipazione sempre più attiva
nella vita pubblica: grazie alle sue qualità oratorie, viene spesso chiamato a
pronunziare discorsi ed orazioni funebri e d'occasione, alla presenza di
autorità civili ed ecclesiastiche. Di questo periodo è da ricordare senz'altro
l’orazione fatta nell’aprile del 1808 (pubblicata lo stesso anno per i tipi di
Marco Rossi e Andrea Ubaldi), davanti la Corte di Giustizia Criminale di Parma
in favore di Giuseppe Barilli di Noceto. Con lucidità e fermezza il Rossetti riesce
a smontare l’accusa di omicidio a carico del suo cliente, anche per l’assenza
di testimoni oculari, ottenendo dalla Corte di Giustizia Criminale la «pena
in via correzionale di sei mesi di carcere, ed inoltre solidariamente con
Giuseppe della Donnina detto Poli alle spese processali».
Dell’anno
precedente è il sonetto dedicato al celebre scultore e pittore Gaetano Callani,
per aver dipinto un quadro rappresentante il pontefice Pio VII (Mussi, Parma,
1807).
Nei primi
anni di permanenza a Parma, Domenico Rossetti riprende gli studi universitari e
l’8 agosto del 1808 conferma la precedente laurea in diritto penale e canonico
nella Real Università Parmense,per dissertazione su uno scritto in lingua
francese discussa con il prof. Godi.
Per questa
importante occasione, il Rossetti declama un sonetto nella gran Sala
dell’Università, dove ricorda le traversie di gioventù fino al suo arrivo a
Parma:
Nel turbo
avvolto d’infiniti mali
Fu il
settimo mio lustro a scorrer lento:
Errai di
lido, in lido, alfin contento
Le Parmensi
baciai sponde ospitali.
Nel triennio
1808-1810, dove è prevalente l’attività forense, il Rossetti non perde il vizio
di poetare, dando alle stampe alcune opere minori, ispirate da situazioni
occasionali, come per la guarigione da una malattia del signor Angelo Bianchi,
amico del Rossetti; un’ode scritta nel febbraio del 1809, dedicato al signor
Rougier de la Bergerie, prefetto del Dipartimento dell’Yonne, con cui
intrattiene una relazione epistolare, grazie all’intermediazione di un
ufficiale francese, il signor Jeannin, in servizio in Italia; ancora un’ode al
signor HuguesNardon, amministratore e prefetto degli stati di Parma e Piacenza,
dal maggio 1808 all’agosto del 1810, in occasione del suo passaggio e dimora
nella città di Borgo S. Donnino; per le nozze Villa-Bernardi celebrate a Parma
nel luglio 1809,cura la pubblicazione di un piccolo volumetto dedicatoa Filippo
Vincenzo Ponticelli, comprendente due sonetti: il primo dal titolo Alla
novella sposa,a firma di
TibiscoPentebio (nome arcadico del Ponticelli), ed il secondo creato nel breve
spazio di sette minuti, con le rime obbligate proposte dallo stesso Ponticelli,
dal titolo Agli sposi, a firma di Domenico Rossetti, Tra i pastori
della Dora, Aminta; ancora un sonetto dedicato ai signori Filippo Linati,
Giacomo Tommasini e Luigi Torrigiani, stampato in semplice volantino e
distribuito tra la gente, probabilmente durante qualche rappresentazione
teatrale, come era d’uso in quel periodo.
Le opere più
rappresentative di questo periodo sono le tre odi che compongono La notte,
versi dedicati a Francesco Vezzi in occasione della sua ricuperata salute.
«Permettetemi dunque – scrive il Rossetti nella lettera dedicatoria – ch’io, obliando oramai per qualche
istante il gelo, e l’indole grave degli attuali miei studi, festeggi col canto delle
Muse la vostra ricuperata salute, e saetti con pungenti sarcasmi, e ferrei
dardi quelle funeste notti, nelle quali si palpitò tanto sulla vostra sorte».
Come afferma
il Rossetti, quest’opera è parto di studi e approfondimenti intorno alla notte
e a tutti i misteri e le ombre che la circondano. La notte, o la cieca
tenebrìa, osservata e cantata attraverso molteplici aspettati, che la
dipingono ora misteriosa, ora perversa ed ora ancora avversa e insidiosa, che all’uom
mestizia rechi / con l’aspetto fatale / o del nulla, o del male. La notte non è soltanto lo spazio
temporale tra il tramonto e l’alba, la notte può essere anche il male che
abbiamo dentro di noi, soprattutto a causa del dolore, che ci fa vedere le cose
sotto un’ottica poco lucida e deformata. Così conclude il poeta abruzzese la
terza ode: Chi il crederia? Propizia / Notte, tu pur gli sei; / Malvagia,
inesorabile, / No, te non fèro i Dei: / Mi rese ingiusto il core / L’eccesso
del dolore.
Il 1810 è
l’anno del ripudio della moglie Giuseppina da parte di Napoleone Bonaparte, per
non avergli dato prole e l’ottenimento della mano di Maria Luigia d’Austria
(Vienna 1791 – Parma 1847), primogenita dell’Imperatore Francesco I d’Asburgo.
Molti poeti decantano quest'ultimo avvenimento con componimenti poetici, così
come il Rossetti, che scrive ben tre sonetti dedicati ai novelli sposi. In
particolare, nel primo parla della ragione di Stato che ha costretto Napoleone
a ripudiare la moglie: Sol perché al Trono del suo gran Monarca / Un nato
Erede dopo lui non resta. / Ragion di Stato a comun pro si desta; / Amor le
sorge incontro... il ciglio inarca / L’Augusta Coppia, ondeggia, e si
rammarca... / Pur magnanima cede a l’ardua richiesta.
Il grande
successo personale per Domenico Rossetti giunge nel giugno dell’anno
successivo, quando l’imperatore francese e la sua consorte danno al mondo il
tanto sospirato erede, François, a cui viene imposto il titolo di "Re di
Roma", per riallacciare idealmente la dinastia napoleonica alla lontana
tradizione dell’impero carolingio.
Per
l’occasione anche a Parma vengono organizzati festeggiamenti in grande stile,
da parte della Società de'Filomati. Il Giornale
del Taro, per l’occasione pubblica un articolo non firmato, forse inviato,
o forse scritto da uno dei componenti della Società de'Filomati, oppure, perché
no, dallo stesso Rossetti:
«…Finita
l’adunanza già eran tutti in sulla mossa, allorché fatto cenno di voler
parlare, ed impetratone licenza dalla maggiore autorità, il Signor Avvocato
Rossetti, poeta estemporaneo, spinto da quel caldo entusiasmo che suscita nei
petti italiani il grande avvenimento che si celebra, ed elettrizzato dalla
scintilla febea che gli uditi versi aveano sprigionata, con grata meraviglia
de’ circostanti e con bello ardimento imprese ad epilogare, improvvisando nel
difficile metro dell’ottava, tutti gli svariati poemetti che recitati aveano i
Filomati. In questo arduo cimento il Signor Rossetti ha superato sé stesso.
Novità d’immagini, vigore e pomposità di verso, difficoltà di rime insperatamente
e nobilmente superate, tutto in fine ha contribuito a rendere il suo canto
robusto, maestoso ed improntato d’un conio originale. L’iterato batter palma a
palma, ed i vocali applausi della sceltissima adunanza tutta sono irrefrenabili
testimonianze di quanto di quanto siam venuti dicendo».
Lo stesso
cronista al termine dell'articolo, dà un piccolo saggio della difficoltà dei
versi estemporanei creati dal poeta
abruzzese:
Nel
preambolo dopo aver chiusa la precedente ottava così:
«Saran mie
rime in sì propizj istanti
Imperiose
energiche sonanti;»
voltosi il
Poeta al ritratto di S. M. I. e R. disse:
«E come no,
se qui l’immaginveggo
Di LUI che
di sua luce il mondo irradia?
E come no,
se in fronte ad esso io leggo
Qual più
vanta saper mente Palladia?
E come no se
già ben io m’avveggo
Ch’EI fatto
è Nume alla Parmense Arcadia?
Per LUI la
fiamma in me serpa fatidica,
E sia mia
musa nel suo dir veridica».
Per la
stessa occasione, il Rossetti viene incaricato dal Consiglio Amministrativo
della Società Filo-Musico-Drammatica di Parma, di comporre una Cantata
per festeggiare la nascita ed il battesimo del Re di Roma, da eseguirsi la sera
del 13 giugno nel Teatro S. Caterina, musicata dal maestro Giuseppe Alinovi.Il
testo del libretto è un omaggio in puro stile encomiastico, immaginando un
dialogo, o meglio una contesa tra la Gloria, nutrice del bambino, e Marte, il
dio della guerra, sostenuti dal coro di Genii di queste due deità.
La Gloria
annuncia la nascita del figlio dell’Augusto Imperatore: Godete, sì, godete,
/ Eletti Genii della Gloria amici. / Oggi l’Augusta Prole / Tra le Paterne
braccia / Vedran liete e ridenti / Entro del tempio le adunate genti.
La Dea si
proclama sua nutrice ed è colei che guiderà il pargolo all’insegnamento della
Filosofia ed alle arti della guerra, tale da renderlo del Gran Padre seguace
e imitator, e lo guiderà trionfante in ogni terra... ed in mezzo
all’aspra guerra pace alfin germoglierà.
Accompagnato
da una vigorosa musica che esprime una marcia militare, avanza minaccioso Marte,
seguito dai Genii guerrieri, che rivendica la tutela del pargolo: Alla mia
sola cura / L’Augusto Pargoletto il Cielo affida. / Sopra il Paterno scudo /
Trarrà i sonni per me: fian suoi trastulli / Aste, usberghi, e bandiere: il mio
valore / Gl’infonderò nel petto, / One fastoso un dì regga il destino / Della
stirpe d’Ascanio, e di Quirino.
Alla fine è
la Gloria ha trovare la soluzione: entrambi gli dei educheranno l’erede
dell’Imperatore. L’approvo, risponde Marte, Teco in pace, o Dea,
ritorno: / Altro più bramar non so, e insieme concludono: Deh! si vada
in quest’istante / La bell’Opra a incominciar. / Roma onori il suo Regnante, /
Torni il Tebro a giubilar.
Un altro
componimento, ancora per la nascita del Re di Roma, viene dato alle stampe
direttamente dal Rossetti, per i tipi di Giuseppe Paganino.
Gli ultimi
avvenimenti porteranno ulteriore fama e notorietà al Rossetti, non solo per le
apprezzate opere poetiche, ma anche per la palese simpatia del poeta abruzzese
verso il governo francese.
Nel corso del
1811, dove la vena poetica del Rossetti è particolarmente ispirata, altre opere
escono ancora dai torchi di Giuseppe Paganino. Di particolare importanza è l’ode
per la nascita e battesimo del figlio del barone Enrico Dupont Delporte,
prefetto del Dipartimento del Taro, e della sua consorte Alix Sirugue. Per
l’occasione il Giornale del Taro
riporta la cronaca dei festeggiamenti mettendo in evidenza l’ode pubblicata dal
Rossetti: «Compiuta la solenne cerimonia e dispensati rinfrescamenti e dolci
alla numerosa eletta adunanza, si venne pur distribuendo un’oda del Sig.
Avvocato Rossetti elegantemente impressa, ed avente a piè di pagina una fedele
versione francese in prosa del Sig. Giuseppe Duplessis. Quest’oda che ha
elevato plauso anche fra i meno facili leggitori, racchiude, a parer nostro,
non vulgari bellezze. Essa è tutta intesa a celebrare il nascimento ed il
battesimo dell’inclito pargoletto, a predire i suoi vanti futuri, ed a
preconizzare i presenti degl’illustri genitori».
Altre opere
pubblicate nel corso dell’anno sonoSciolti
epitalamici recitati alla mensa nuziale degl'illustri sposi il Signor Pietro
Jacobacci e la Signora Maria Maffei, un Epicedio
alla tomba del celebre Proposto Poggiali Storiografo di Piacenza, un
sonetto dedicato alla bella e talentuosa attrice Gaetana Andolfati, per
l'interpretazione della Semiramide
nel Teatro Imperiale di Parma, un’ode in onore del celebre tenore Claudio
Bonoldi, per l'interpretazione della parte di Marco Orazio nell’opera Gli Orazj e Curiazj del compositore
Domenico Cimarosa, ed infine un sonetto estemporaneoinserito, insieme ad altre
due composizioni (un sonetto di Vincenzo Jacobacci, Consigliere di Prefettura
del Dipartimento del Taro, e un madrigale, in lingua francese, di Joseph de
Lama) in un libretto curato da Alessandro Aloat, come tributo d’amicizia, per
le nozze di Benedetto Brunati e Metilde Polloni.
Il 7 agosto 1811 un distinto signore triestino
chiede informazioni sulla pubblicazione di una poesia dal titolo "Per la nascita del Re di Roma",
scritta dall’avvocato Domenico Rossetti. Troppe coincidenze: stesso nome,
entrambi avvocati e stessa passione per la poesia. Non sembra vero per il Conte
Domenico Rossetti de Scander di Trieste, a quel tempo fiorente emporio
commerciale portuale dell’Austria, che un suo omonimo possa scrivere una poesia
inneggiando al nemico giurato Napoleone. Il nobile triestino vuole andare a
fondo nella vicenda e scrive ai librai Molini e Landi di Firenze, di
procurargli la copia del libricino «giacché
costando 50 cent.i non potrà essere voluminosa» e chiede, inoltre, di
prendere a Parma ogni possibile informazione intorno all’autore, perché come
spiega egli stesso «Questa notizia mi
serve tanto per soddisfare alla curiosità quanto per prevenire equivoci».
Le notizie tardano ad arrivare a Triste.
Finalmente, con lettera datata 4 novembre i signori Molini e Landi comunicano
le tanto attese notizie biografiche del poeta abruzzese, ricevute dal loro
corrispondente di Parma. In realtà le notizie sono piuttosto confuse e prive di
qualsiasi fondamento: «Nacque in Siena 8
Maggio. 1772 – da Niccolò Rossetti e da Francesca Piccolomini, il primo
Siciliano, ma essendo stato educato in Siena nel Collegio de’ Nobili, dopo
esserne sortito prese moglie nella famiglia Piccolomini. L’avv. Dom. Rossetti
terzogenito di questo matrimonio, ed il padre dopo essere stato Governatore di
alcune Città del Regno di Napoli fu nominato ad esserlo della città di Messina,
ove lasciò le Sue ossa nella terribile catastrofe del
gran terremoto ivi avvenuto. Allora Domenico trovavasi in Roma in Collegio dopo
essere stato precedentemente educato in Napoli fino all’età di 14 anni nel
Collegio de’ Cadetti Reali». Non sappiamo da quali fonti abbia appreso le
notizie il corrispondente dei librai fiorentini, o se semplicemente le informazioni
erano state costruite ad arte, magari dallo stesso Rossetti, vista l'accusa di
diserzione che ancora pendeva sul suo capo. In molte citazioni, infatti, viene
più volte riferita l'origine "senese" del Rossetti e, addirittura, in
alcuni documenti legati alla massoneria parmense, è lo stesso Rossetti a
sostenere la sua origine toscana. «È da
otto anni incirca ch’egli dimora a Parma – prosegue la descrizione del Molini
Landi – ed esercita la professione
d’avvocato con molta lode ed onestà, ed è stimato dalla Repubblica letteraria
per molte operette da lui scritte con sapere ed eleganza, è anche poeta
improvvisatore felicissimo, è parlatore eloquente, ottimo scrittore ed erudito
amplissimo. Egli è un uomo di più di mezzana statura, benfatto di corpo, volto
piuttosto bronzato, occhi di vivacità straordinaria, naso alquanto aquilino».
Tre giorni dopo, viene recapitata al conte
triestino la tanto attesa "Visione"
in onore del Re di Roma. Già dalle prime battute gli balena l’idea di storpiare
il testo, riscrivendo quasi una parodia dell’originale: «E, preso dal suo giuoco stesso, poetico e politico, continuò, rapido e
imperterrito, a stravolgere le parole dell’omonimo avversario, letteralmente
rispondendogli per le rime; ma finì col sentirsi stanco e nauseato di dover
infierire contro un pargolo innocente per colpire e quasi riscattare la bolsa
piaggeria nella quale era coinvolto il suo nome».
Le prime tre terzine originali
Già de la Fama il clamoroso suono
Annunziava a le diverse Genti
Il nato in Francia Successore
al Trono;
Tutta la terra e ‘l Ciel l’udian plaudenti,
Fuorché gli scogli d’Albion
nemica,
Che l’eco invan ne ripetean
frementi;
Ed io de l’aura acceso ai Vati amica
Giva la cetra armonizzando
omai,
A non vulgare accinto Ascrea
fatica;
vengono
trasformate nel modo seguente:
Già di Fama venal l’usato suono
Annunziava alle diverse genti
Il nato in Francia successore
al trono;
Le terre a lui servil’
l’udianpladenti,
Ed Albion di tirannia nemica
Vi rispondea a cachinni aspri
e frementi;
Mentr’io dell’aura acceso al vero amica
Romper volea la cetra mia,
ché omai
Splende in adular l’ascrea
fatica.
Stanco del gioco, dopo aver scritto tre buone
facciate, ripone i fogli tra le scartoffie del suo archivio.
Forse proprio dopo la scoperta di quella
"scomoda" omonimia, il letterato triestino, sui frontespizi dei libri
pubblicati, a scanso di qualsiasi equivoco, si firmerà "Domenico Rossetti
nobile de Scander".
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