di Lino
Spadaccini
Lasciata la
Sardegna, carico di esperienze e arricchimento culturale, Domenico Rossetti,
nella primavera del 1802, approda a Genova dove rimarrà per circa un anno.
Proprio in
questo periodo, dopo la momentanea pace tra la Francia e l’Austria, il 19
giugno Napoleone delibera una nuova costituzione per la Repubblica Ligure, retta
da trenta Senatori, presieduti dal Doge, nella persona di Girolamo Durazzo, ed
il potere esecutivo affidato a 5 magistrati (Supremo, di Giustizia, di Legislazione,
dell'Interno, della Guerra e del Mare, delle Finanze). Come supervisore del
nuovo Governo,viene scelto il corso Cristophe Saliceti (Saliceto 1757 – Napoli
1809), Ministro Plenipotenziario della Repubblica francese e amico di
Napoleone.
Durante il
soggiorno nel capoluogo ligure, il Rossetti assiste all’arrivo di Gioacchino Murat,
futuro Re di Napoli,accompagnato dalla gentile consorte, Carolina Bonaparte, ed
ai sontuosi festeggiamenti organizzati per l’occasione: balli, pranzi,
concerti, regate, luminarie e fuochi d’artificio si susseguono per circa dieci
giorni, a partire dalla data
del loro arrivo l'8 luglio. In particolare, il
Rossetti rimane affascinato dalla festa marittima, che lo ispira per la
composizione di un’opera in versi dal titolo Il Bucentoro e La Regatta.
Come afferma
lo stesso autore, il componimento
è una precisa descrizione della festa, raccontata con toni epici: Paride, Elena
e Perseo sono solo alcuni dei tanti personaggi utilizzati dal poeta vastese all'interno
di un quadro allegorico, di non facile comprensione.
Tornato in
sé dai pensieri "epici", il Rossetti s’immerge tra la folla che
assiepa il molo: Tra la folla mi spingo... ed oh spettacolo!. Lo
scenario che si apre davanti agli occhi del poeta è straordinario:
Brilla
intorno il bel porto al color vivido
De’ serici
apparati, ai rai settemplici
Di
prismatiche gemme, alla chiarissima
Della
Beltade lucentezza amabile.
Le tante
barchette, allestite in gran pompa per l’occasione, formano un colore
folkloristico impareggiabile, ma l’attenzione è tutta per il Bucentoro, questa
meravigliosa imbarcazione capace di sciogliere il cuore del poeta:
Mole
superba: è Nave! è Tempio! è Regia!
Alto
torreggia, e in lei la mano artefice
Scolpì
intagli, e rilievi, e cento simboli
Di concordia,
e di amor: vi si avviticchiano
Viperei
gruppi, e in chi li mira ha origine
Dolce paura,
ed un diletto timido.
Le ben
connesse parti intorno spandono
Stemprata
ambrosia, odore soavissimo:
Splendido
Padiglion, opra di Pallade,
Intesto,
rabescato, ed amplo, e morbido
Copre la
cima, che gentil colmeggia:
Termina
quello intorno a nobil loggia,
U’ bella piazza levigata, amplissima
Più che in
larghezza, in sua lunghezza estendesi.
Dopo aver
esaltato quest’opra impareggiabile, creato dall’ingegno ligure, il
Rossetti descrive la Regatta, ovvero
la gara tra le imbarcazioni, che si contendono un pallio bicolor, ambito
premio al vincitore:
Ma già per
l’onde son vicini a correre
Sdrucciolevoli
legni: ecco incomincia
Della
Regatta il ludo. Accoglie un numero
Di sei
ciascuno nerboruti, erculei
Remiganti
famosi, ed un che regola
È del
timone: quei librando tacciono
Col cimento
le forze, han quadri gli omeri,
Robusti
fianchi, e petti; e già coll’occhio
Squadran la
folla, ch’è divisa in duplice
Lista
navicular: la via frapponesi.
Un’assordante
colpo di cannone da il via alla gara. I remi si muovono tutti a tempo,
squarciando le onde con spessi colpi e innalzando spumosa spruzza.
Con
l’avanzare delle bracciate gli sforzi dei remieri raddoppiano, ma vicino a loro
ci sono gli spettatori, che con i loro incitamenti li incoraggiano ad andare
avanti e a cancellare qualsiasi sforzo.
Le man
robuste, e muscolose gonfiansi,
Quasi
scintille tra le dita accendonsi,
I larghi
petti son focosi mantici,
Dell’inarcate
terga i nodi scricchiano,
Grosse le
vene sopra il collo, e tumide,
Diresti nel
vederle, or ora scoppiano:
Gonfio
s’innalza su le spalle energiche
Atro
bollente il sangue, e reso livido.
Ormai siamo
in dirittura d’arrivo, dall’imbarcazione in vantaggio, un remiero lascia il suo
remo e con un salto il vessillo abbranca e ottiene il premio.
Gli
spettatori eccitati applaudono e inneggiano ai vincitori, mentre dal Bucentoro
s’intrecciano canti e danze.
Dopo aver lasciato
Genova, mentre naviga nel golfo di Frejus, Domenico Rossetti è costretto da una
tremenda e improvvisa burrasca a naufragare verso la costa nizzarda in
Provenza. È il marzo del 1803.
Scampato per
miracolo a sicura morte, il letterato vastese approfitta di quell’involontario
soggiorno per visitare i ruderi della città romana di Cemenulum, l’antica
capitale delle Alpi Marittime e patria dei Vedianti Liguri (III-II sec. a.C.),
e approfondire le proprie conoscenze in materia di scienze naturali.
Appreso che
verso il territorio detto di Gairaut scaturiva una sorgente, denominata dagli
antichi Fontana-Santa (FontaineSainte), che a detta di alcuni era del genere
minerale, il Rossetti, la mattina del 24 marzo, si dirige sul luogo insieme a
due amici, Giovan Battista Debernardi e Giuseppe Pennesi, accompagnati da un
certo Gioacchino Vay, allora procuratore ed amministratore dei beni posseduti
da Giovan-Giacomo Vinay.
Chiesto a
gente del luogo la presenza di monumenti nei dintorni, gli viene indicato,
verso la sommità della vicina montagna, l'esistenza di un buco profondissimo da
cui escono gruppi di pipistrelli. Incuriosito, il Rossetti si reca verso il
luogo indicato e giunto all’ingresso della cavità, alle 10,30 del mattino, ha
la fortuna di trovarsi proprio nel momento in cui un raggio di luce penetra
perpendicolarmente all’interno della cavità, illuminando una grossa stalattite.
Davanti a quella visione straordinaria, cerca di penetrare nella grotta ma,
senza mezzi adeguati è praticamente impossibile. Trovate scale e corde scende
all’interno di una grande sala e ai suoi occhi appare uno splendido scenario di
concrezioni calcaree.
Nella prima
sala nota la presenza di una stalagmite alta circa sei metri, a forma vagamente
piramidale, che sembra sorreggere il soffitto. C'è un'altra concrezione che desta
molta curiosità, a causa del profilo molto vicino alle sembianze umane, dove è
possibile distinguere chiaramente la sagoma della bocca, del mento, del naso e
l’incavo degli occhi. Probabilmente, anche in questo caso, ci troviamo davanti
al caso della natura, ma questi particolari saranno sufficienti a scatenare la
fantasia popolare e scientifica, i quali si lasceranno andare alle ipotesi più
disparate. In particolare, lo studioso Maurice Guinguand, parlerà di un viso «magnifique, grandiose, rigide, d’une
divinitéinconnue», riconducibile al dio Mithra oppure a qualche altra
divinità ligure o italica.
«Altri piccoli spechi vi esistono dietro alle
colonne – scriverà Goffredo Casalis nel suo Dizionario Geografico – ai quali si diedero i nomi pomposi di sale, di
camere, di gabinetti alla foggia turchese, e che non si puonno vedere se non se
col chiaror delle faci. Quando, dalle dieci ore insino al mezzodì, i raggi
solari penetrano in questo sotterraneo, ed il chiaror delle faci illumina i
piccoli spechi, vi si gode per alcuni minuti di un aspetto incantevole: le
colonne coi loro bizzarri ornamenti, e le svariatissime stalagmiti che solcano
le pareti, sfavillano ad un istante di mille riflessi di luce a varii colori di
un effetto piacevolissimo».
Dopo aver
esplorato attentamente tutta la prima grande sala, il Rossetti nota una
imboccatura che conduce verso il basso. Preso un sasso, lo lascia cadere giù,
per riuscire a capire la profondità del pozzo. Probabilmente il cunicolo doveva
essere sì stretto e pericoloso, ma di una profondità tale, che con lunghe corde
ne avrebbe potuto tentare la discesa.
Mosso ancora
da spirito indomito, privo timori reverenziali, si lega una corda intorno alla
vita e, aiutato dai compagni, si fa calare lungo lo stretto cunicolo. Così
descriverà la pericolosa discesa nel poemetto, pubblicato l'anno successivo: «Un
foro triangolare, prolungato per cinque metri, scavato in un masso di marmo
parasito, ed appena atto a ricevere il corpo di un uomo non pingue, è il primo
sentiere, che bisogna scorrere coll’ajuto di corde. In fine di esso si trova
l’imboccatura di un ampio canale tortuoso, pendente, e che va a finire ad un
secondo foro, largo quanto il primo, esistente nel centro della volta della
seconda grotta... Prima che si giunga al suddetto foro secondo, scorgesi alla
sinistra un sasso di color rosso, fatto a guisa di un piedistallo, su del quale
si ammira una bell’opra naturale, simile ad una statuetta, rappresentante un
vecchio malinconico d’aspetto, e con le braccia alzate verso il cielo: veduto a
qualche distanza sembra vivente.Arrivato il lume a quel basso pavimento
dopo 27 metri
di strada – prosegue il Rossetti – rischiarata in qualche modo l’interna
capacità della nuova caverna, ei può tentare l’accesso; ma sempre con pericolo
di sbattere la testa e il corpo nelle pareti, specialmente, se la corda
comincia a ciondolare. Io so, se fu critica la mia situazione nel discendervi,
e se fu anche molto più critica nel risalire, epoca in cui quasi disperai di
potere uscirne vivo».
Giunto nella
seconda grotta, il letterato vastese rimane spaventato dalla visione di ombre
di animali feroci di terribile aspetto, come leoni, cavalli, furie, cinghiali,
pitoni, ecc. e più muove il lume più gli sembrano che questi animali si muovano
in tutte le direzioni. Dopo la sorpresa iniziale si rende conto che è solo un
effetto ottico e che si trova davanti a innocue rocce.
La seconda
grotta esplorata è lunga circa venti metri, ma anche molto stretta, con una
larghezza che varia tra uno e cinque metri. La parete di fondo termina nel buio
densissimo, infatti, sarà lo stesso Rossetti a riferire che «Malgrado una
quantità di lumi, ch’io vi accesi dappresso, non potei in verun modo diradarne
le tenebre; ed avendovi replicate volte scagliato al di dentro de’ grossi
sassi, questi o non mandarono all’orecchio verun rumore, o lo mandarono cupo,
debole, e simile a quello di un corpo caduto in mezzo alle acque».
Il viaggio
del Rossetti termina davanti a questa coltre buia e impenetrabile: non può
andare oltre a causa della mancanza di mezzi e assistenza da parte dei
compagni, vinti dallo spavento e dal timore di penetrare in quel luogo troppo
pericoloso.
Galvanizzato dalla recente scoperta e spinto dai suoi amici più cari, il
Rossetti lascia andare la vena poetica cimentandosi nella stesura di un
poemetto in versi. La Grotta di Monte-calvo poemetto dell’avvocato Domenico Rossetti membro di varie
accademie esce dai
torchi dalla Stamperia di Domenico Pane, nell’anno XII della Rivoluzione
francese, corrispondente al 1804. Il poemetto è dedicato a Giovan Giacomo
Vinay, consigliere della prefettura di Torino e padrone del fondo dove venne
scoperta la grotta, ed alla Repubblica letteraria «per la novità e nobiltà
del soggetto».
Il poemetto
è diviso in tre canti. Il primo tratta dell’origine della città provenzana, del
suo clima e del viaggio alla grotta; nel secondo è contenuta la descrizione dettagliata
della grande sala e delle sale attigue, ricche di concrezioni; nell’ultimo
canto si parla della discesa nella seconda grotta e degli oggetti e meraviglie
in essa contenute, il tutto arricchito da numerose annotazioni di chimica e
fisica.
Il poema si
compone di 165 ottave (63 per il primo canto, 59 per il secondo e 43 per il
terzo), per un totale di 1320 versi nel metro ABABABCC. Al termina dell’opera,
nelle annotazioni, il Rossetti ringrazia
i Pastori della Colonia della Dora di Torino, di cui era fiero far parte, vista
la presenza di illustri e noti letterati del tempo, quali Luigi Andrioli
(Filinto), segretario della Colonia, l’amico Anton-Maria Ballor (Aristeo), la
poetessa Diodata Saluzzo Roero di Revello, in arcadia Dafne, e, soprattutto il rinomato
Signor Abate Valperga de Caluso, degno maestro dell’immortale Vittorio Alfieri.
Grazie al
notevole successo di vendita del libro, con il prezzo fissato in lire 12, ed
alle numerose richieste di copie da ogni parte d’Italia, il Rossetti, con una pubblicazione
indirizzata Agli amatori delle scienze e delle utili scoperte, data alle
stampe probabilmente nel 1804, annuncia l’imminente ristampa dell’opera, per l’editore
Luigi Mussi, riveduta ed ampliata con ulteriori ottave. All’annuncio, in
realtà, non seguirà la pubblicazione.
L’eco della
scoperta della grotta si estende, sin dal primo giorno, dapprima nei dintorni
di Nizza, successivamente nell’intera Francia ed anche in Italia.Studiosi e
ricercatori si recano sul luogo per verificare con i propri occhi l’entità
della scoperta. Tra questi troviamo il professor Vassalli-Eandi, docente di
fisica sperimentale nell’Università di Torino, il quale riprendendo la scoperta
del Rossetti pubblicherà un estratto del poema nel quarto volume della BibliothequeItalienne. «Je ne chercherai point de rendre en
presse les merveilles que l’auteur a décrites en vers – scriveràlostudiosopiemontese
– ni de parteciper de son enthoisiame; ma
je tacherai de donner une idée de cette grotte, en y ajoutant la notice de la
maniere dont elle a été découverte, en attendant que quelque naturaliste en
fasse une description complette, telle qu’elle parait la meriter».
Vassalli-Eandiproseguiràraccontando la scopertadellagrotta, la discesadel
Rossetti e la descrizione delle sale, terminando il brevesaggioaffermandoche il
proprietariodelterrenodovevennescoperta la grotta, il consigliere di prefettura
Jean-Jacques Vinay «a fait couper et
polir plusieurs morceaux des stalactites, tires des differens endroits de cette
grotte, et il vient de les presenter à l’Académie, pour en enrichir le musée
d’histoire naturelle; quelques-uns de ces morceaux èmulent les stalactites de
la célèbre grotte d’Antiparos, tant par la varieté des couleurs que par leur
poli».
Tra i
giornali che riporteranno la notizia della scoperta con toni encomiastici e
trionfalistici, si distinguerà il Giornale
delle Muse e delle Grazie, il quale scriverà«Questa grotta recentemente
scoperta dall’avv. Domenico Rossetti è l’ottava meraviglia della natura».
Ai tanti commenti
positivi, si contrappone la dura critica di un tal FilomusoAjuti (uno dei tanti
pseudonimi usati dall'avvocato e letterato Giovan Battista Fontana,
specializzato nella denigrazione dei suoi nemici), in quale in una lunga e ragionata
esposizione di 28 pagine, composta da un’introduzione e 29 note, tenta di
screditare tutta l’opera, con frequenti commenti volutamente offensivi e di
cattivo gusto nei confronti del poeta vastese. «Veggo dal vostro prospetto Agli
amatori ec., fatto ultimamente uscire in Parma – esordisce l’Ajuti
nell’introduzione – che minacciate l’Italia di una nuova edizione della
Grotta di Montecalvo, poemetto illustrato da lunghe e ragionate annotazioni,
che dette note siano per esser lunghe vel credi, per ingrossar il corpo del
volumetto, ma ragionate nel credo per due motivi 1° perché non istà a voi
dirlo, se sono vostre; 2° perché non ponno essere ragionate, quando non siano
pezzi copiati…».
Dopo aver ironicamente offerto il suo aiuto per
ampliare in modo costruttivo l’uscita della ristampa del volume, l’Ajuti prende
in giro il cognome del poeta vastese: «Rossetti: parola del più singolare
rossetto che vuol dire belletto…». E prosegue, analizzando e commentando
pari passo tutto il volume del Rossetti: «Invece di farvi chiamare avvocato
dovevate nominarvi chimico, od almeno garzoncello di qualche Farmacqua, se
cominciate allora, e di passaggio a praticar l’analisi di una da voi non ancora
conosciuta cert’acqua sol creduta minerale. Ma ditemi per fede vostra…
perché trafelavate di sete, posso anche congetturare il motivo, cioè essendo in
questa città di passaggio, val a dire incognito, non trovaste con tutta
l’abbondanza… un cane solo che vi esibisse un bicchiere di pisciarello».
In base alla
distanza della grotta dal centro abitato di Nizza e dall’ora della scoprimento,
per ritornare sul posto con adeguate corde per calarsi all’interno, dovevano
essere oltre le due di notte: «Il vostro vestito era forse composto tutto di
pietra di Bologna fosforeggiante, onde poter sicuramente muovere un passo dove
non si sarebbe veduto punto, neppure se fosse stato di mezzodi, senza l’aiuto
di una quantità di torcie ben divampanti?».
Secondo
l’Ajuti, la scoperta della grotta sul Monte Calvo è tutta una montatura con
l’unico scopo di ricevere fama e gloria: «Permettete che io vi dica come fu
la faccenda. Fu che voi forse in quel dì vi giacevate in qualche lettuccio… in
preda a qualche meraviglioso sogno… Dunque è evidente che voi sognaste
profondamente, e che forse nel giorno seguente digerito quel vino di cui eravate
cotto, e svegliatovi alfine inventaste quella favola, e vi tiraste su quattro
magri versi; e per accettare con chevivere pregaste per amor di Dio uno
Stampatore ad imprimerveli, e voi gli vendeste agli sciocchi, ai creduli, de’
quali pur troppo n’è infinito il numero dovunque…».
Successivamente
l’Ajuti passa a criticare il Giornale
delle Muse e delle Grazie, che ha parlato della scoperta con toni
trionfalistici, ed infine, chiude la pesante lettera evidenziando l’assurdità
della scoperta della grotta, in quanto «…è noto dalle storie, ch’era cognita
agli antichi Romani, e traevano da essa (giacché era una miniera di nativo
muriato di soda) il sal comune, o sal di cucina; e la curarono finché poterono
averne per anni moltissimi. Trovatala poi, e creduta omai vuota,
l’abbandonarono. Il tempo ne ha chiusa forse l’entrata allora praticatissima…».
La critica
dell’Ajuti è sicuramente fuori luogo, eccessiva e con toni decisamente
offensivi («opera scritta da un vero membro genitale») diretti alla
figura del poeta vastese; grossolani errori sono presenti nell’esposizione e,
probabilmente, le esagerazioni evidenziate dall’Ajuti potevano anche essere
parzialmente condivise, visto che, almeno in Italia, fino a pochi anni fa, della
grotta di Monte Calvo non si aveva la benché minima traccia. In fondo, il
Rossetti aveva scoperto solo una delle tante grotte sparse nel mondo, nemmeno
poi tanto importante viste le modeste proporzioni, le scarse concrezioni e
l’assenza di notizie in merito. La realtà dei fatti andrà in tutt’altra
direzione: il tempo e la storia hanno dato ragione al Rossetti, soprattutto per
l’insolita presenza di una piramide, che ancora oggi, dopo oltre duecento anni,
nasconde un mistero tutto da scoprire.
Torniamo per
un attimo al poemetto scritto dal Rossetti. Sul frontespizio è presente una
bella incisione dello Stagnon, disegnata dalla pittrice Sophie Leclerk
(1777-1829), moglie di Scipione Giordano e protetta del Consigliere di
Prefettura Giovan-Giacomo Vinay, padrone del fondo dove avvenne la scoperta la
grotta, che ritrae il giovane Domenico, poco più che trentenne, con l’indice
della mano sinistra che indica una piramide raffigurata alla sua destra; mentre
alla sua sinistra si può notare una piccola costruzione denominata Bastide, di
cui il Rossetti parla a p. 42 ne LaGrotta.
La piramide,
situata a circa cento metri dalla sommità del Monte Calvo, nel territorio di
Falicon, è una delle rarissime strutture piramidali esistenti in Europa. Le sue
dimensioni sono relativamente modeste, le basi hanno dimensioni che variano da
5 a 6,5 metri, e in più la sua cima oggi risulta tronca all’altezza di 3 metri.
I materiali di costruzione utilizzati derivano da un minerale locale, che ne
danno un aspetto rudimentale e fatiscente, tra l’altro molte pietre che la
compongono, durante gli anni, sono state asportate da ignoti vandali:
probabilmente, a causa di una leggenda che vuole che sotto la piramide ci sia
un tesoro nascosto.
Molte sono
le ipotesi formulate sulla natura della piramide. La piramide disegnata dalla
Leclerk è la più antica rappresentazione finora conosciuta: nessun testo,
antecedente alla scoperta del Rossetti, menziona in alcun modo la presenza di
una struttura piramidale nella zona.
C’è da
chiedersi se sia possibile che il poeta vastese, nella stesura de LaGrotta, dove descrive ogni minimo
dettaglio della scoperta, abbia potuto tralasciare di indicare la presenza di
una piramide di sicuro interesse storico.
All’inizio
del ventesimo secolo lo scenario cambia completamente. Èil Bollettino della Sezione delle Alpi Marittime del Club Alpino
Francese ad aprire la strada a nuove interpretazioni circondate da una
dimensione sacra ed al tempo stesso esoterica. Nell’articolo si legge: «in maniera di segnale, l’abisso è
sormontato, o meglio coperto, da una enigmatica piramide innalzata lì dalla
mano dell’uomo, la cui origine è oscura...». Sono bastate due parole énigmatique
e ténébreuse, a scatenare una vera e propria corsa alle interpretazioni
più disparate, con ipotesi legate al culto di Mithra, ai Templari ed alla
Massoneria, di cui lo stesso Domenico Rossetti faceva parte.
Tanti sono gli illustri studiosi che nel tempo hanno cercato di
spiegare il mistero della piramide. Gli studi continuano ancora oggi, grazie a
Pierre Bény, Catherine Ungar e YannDuvivier, tre ricercatori francesi membri
dell’IPAAM (Institut de Préhistoire et d’Archéologie Alpes Méditerranée) di
Nizza, autori di un interessante volume,
di oltre 300 pagine, pubblicato nel 2008, La
Pyramide de Falicon e La Grotte des Ratapignata, ed ancora un lungo saggio pubblicato
nel 2012, dove sono presenti molti documenti inediti, alcuni dei quali
riguardanti il legame del Rossetti con la massoneria.
Nel breve
soggiorno torinese, durato solo undici mesi, il Rossetti frequenta l’Accademia
dei Pastori della Dora, col nome arcadico di Aminta, dove si confronta con i
migliori letterati della città quali l’abate Valperga de Caluso, maestro di
Vittorio Alfieri, la poetessa Diodata Saluzzo Roero e tanti altri.
Il Rossetti
rimarrà molto legato alla Colonia: in molte pubblicazioni, fino all’ultima del
1816, pochi mesi prima della morte, non mancherà di rimarcare la sua
appartenenza all'Accademia torinese.
Oltre a La Grotta di Monte Calvo, il Rossetti,in
questo periodo, cura la pubblicazione di una raccolta di poesie per le nozze
dell’avvocato Leopoldo Cunietti, personaggio di spicco della municipalità di
Alessandria, con Carolina Demaria.
Anticipato
da una breve nota alla "Coppia
impareggiabile", il libretto si compone di un’iscrizione in latino del
poeta Felice Zampa, un’Ode libera di un tal Cerori, L’ipotesi di Platone sopra l’origine d’amore e d’imeneo, canzone
del sacerdote Luigi Richeri, socio dell’Accademia Italiana Tiberina, un Sonetto
in vernacolo di EdouardCalvoi, un Madrigale, sempre in vernacolo di Felice
Buzan, stampatore del libro, ed infine un Sonetto
ed uno Strambotto del nostro Domenico
Rossetti.
Nessun commento:
Posta un commento