Sulla presenza dei Padri Lucchesi, così come venivano chiamati i Chierici Regolari della Madre di Dio,presenti nella chiesa del Carmine, abbiamo già ampiamente parlato in precedenza, sottolineando l'importanza che hanno avuto questi religiosi soprattutto sull'educazione scolastica dei giovani vastesi, approfondendola figura di alcuni straordinari personaggi.
A questi bisogna senz'altro aggiungere il vastese Padre Giuseppe De Rubeis, religioso di profonda fede e vasta cultura, dalla vita piuttosto travagliata a causa della vocazione mai accettata dal padre.
La famiglia de Rubeis, annoverata fra le nobili dal Palma e dal Pacichelli, è una delle più antiche vastesi, già presente in alcuni documenti del XIV secolo. Tra gli illustri personaggi del passato, si ricordano Alfonso, erario dell'Università del Vasto nel 1575, Giovan Francesco, giureconsulto, un altro Giovan Francesco mastrogiurato nel 1663, così come Giacinto e Domenico, mastrogiurati rispettivamente nel 1706 e 1746.
Nell'arma di famiglia, scolpito in pietra sulla torre edificata dai de Rubeis nel 1614, tuttora esistente in contrada San Biase, si notano due cipressi piantati sulle vette laterali di un monte con tre cime. Sulla vetta centrale è presente un uccello appollaiato su di un paniere contenente quattro uova.
I de Rubeis abitavano nella palazzina quattrocentesca, già dei baroni Zocchi, in via Anelli (in precedenza via de Rubeis). La famiglia si estinse nel 1757 ed il patrimonio venne ereditato dai Barbarotta.
A questi bisogna senz'altro aggiungere il vastese Padre Giuseppe De Rubeis, religioso di profonda fede e vasta cultura, dalla vita piuttosto travagliata a causa della vocazione mai accettata dal padre.
La famiglia de Rubeis, annoverata fra le nobili dal Palma e dal Pacichelli, è una delle più antiche vastesi, già presente in alcuni documenti del XIV secolo. Tra gli illustri personaggi del passato, si ricordano Alfonso, erario dell'Università del Vasto nel 1575, Giovan Francesco, giureconsulto, un altro Giovan Francesco mastrogiurato nel 1663, così come Giacinto e Domenico, mastrogiurati rispettivamente nel 1706 e 1746.
Nell'arma di famiglia, scolpito in pietra sulla torre edificata dai de Rubeis nel 1614, tuttora esistente in contrada San Biase, si notano due cipressi piantati sulle vette laterali di un monte con tre cime. Sulla vetta centrale è presente un uccello appollaiato su di un paniere contenente quattro uova.
I de Rubeis abitavano nella palazzina quattrocentesca, già dei baroni Zocchi, in via Anelli (in precedenza via de Rubeis). La famiglia si estinse nel 1757 ed il patrimonio venne ereditato dai Barbarotta.
Giuseppe nacque il 29 maggio 1680. Dopo le prime cure materne,
cominciò a frequentare le scuole dei Padri Lucchesi nel collegio del Carmine,
sotto la direzione di Padre Giacomo Feniù. I progressi nello studio non
tardarono a manifestarsi, grazie alla forza di volontà e una maturità superiore
a quella dei suoi coetanei. Ragazzo piuttosto schivo e solitario, in realtà
scansava quando più poteva le amicizie, per non cadere in tentazioni che
potessero offendere la propria innocenza. "Il P. Giacomo gli inserì nel cuore tra le altre virtù un grande amore e
rispetto SS.mo Sagramento dell'altare", ricordava
Padre Erra nelle Memorie della
Congrega, "facendonegli
spesso ricevere una grande consolazione dell'Anima sua, e non minore profitto
spirituale. Mostrava un particolar genio e talento alla Poesia Latina sopra divoti
argomenti, singolarmente in lode di quei Santi, che si distinsero nel venerare
la Purità della B. Vergine, che sì bene aveva preso a imitare. Una virtù sì
rara non poteva in conto alcuno restar nel Secolo, e il Mondo non era luogo
proporzionato per un cuore sì puro e sì devoto. Infatti con voce ben distinta
sentì chiamarsi alla nostra Congregazione; ed avendo manifestata questa
vocazione a sua Madre, ella ne ebbe un gran contento". Non
fu così per il padre, il quale andò su tutte le furie, proibendogli di
avvicinarsi al Collegio.Un venerdì, a tarda ora e di nascosto, Giuseppe raggiunse
l'Oratorio per andare a pregare; al termine, si ritirò nella camera del suo
padre spirituale, con l'intenzione di non tornare più a casa. Padre Giacomo,
per evitare ulteriori problemi, non glielo permise, ma ormai il danno era
fatto: il padre appreso della fuga del figlio, andò a riprenderselo e lo
trattenne a casa quasi come un carcerato. Per di più andò a lagnarsi con il Rettore
del Collegio, "quasi si volesse
sedurre un suo Figliolo", precisava P. Erra, portando le proprie
rimostranze fino al Marchese del Vasto.
"Durò qualche
tempo questo suo travaglio", ricordavano ancora le Memorie,"che sempre più si accresceva per le doglianze,
che con esso lui faceva suo Padre, accusandolo di crudeltà e d’ingratitudine ,
che lo volesse abbandonare. Giuseppe gli rispondeva sempre con molto rispetto e
modestia, ma anche con più costanza: che Iddio che era il primo supremo
Padrone, e che la sua voce doveva esser più ubbidita, che quella della Carne e
del Sangue; e chiamandolo ad assicurare la sua salute sotto il manto della B.
Vergine, lo pregava a non mettergli ostacolo". Il richiamo della
voce di Dio si faceva sempre più forte. Un giorno che il padre era fuori Vasto,
trovò il coraggio di scappare e mettersi in viaggio verso Napoli. Giunto nel
convento di S. Maria in Portico a Chiaia, si gettò ai piedi del rettore, gli
raccontò tutta la sua storia e quanto desiderava in cuor suo. Il rettore, che
già conosceva la storia del ragazzo, pensò bene di non accoglierlo, bensì di affidarlo
al Barone Genova, suo parente e una delle persone più in vista nella Città del
Vasto.
I travagli del ragazzo ancora non erano finiti, in quanto
il padre appena seppe del suo allontanamento, corse subito a Napoli dai Padri
Lucchesi, inveendo contro di loro per avergli sequestrato e plagiato il figlio.
Alla fine si raggiunse una mediazione: il giovane venne trasferito presso un
altro ordine religioso, i Padri Pii Operai, lontano da qualsiasi pressione. Al
termine del periodo di prova si sarebbe valutata la propria vocazione. "Si trattenne in quel luogo per qualche mese",
ricordava P. Erra, "nel qual tempo non volle egli mai trattare con suo Padre da solo a
solo, temendo di qualche violenza. Era vietato ai nostri Padri di parlargli. Ma
queste precauzioni, e tutte le arti, e attentati del Padre, e di altri Parenti
ed Amici a nulla servirono. Sicché stando costante nella sua vocazione il
Nunzio ordinò al di lui Padre, che non più lo inquietasse, ma lo lasciasse
nella sua Libertà. Il perché andato nella sua Casa del Novizio, fu accolto da i
Padri, come un bel dono mandato da Dio, e gli diedero l'Abito alli 12 Giungo
1701".
Terminato il noviziato non senza problemi e prove di
mortificazione, Giuseppe fece la professione religiosa e proseguì gli studi,
per la preparazione al sacerdozio, prima a Lucca e successivamente a Napoli.
Nel 1717 Padre Giuseppe venne nominato Vice-Rettore e inviato a
Vasto (dove rimarrà fino alla morte), insieme a P.Domenico Monacelli, anch'egli
vastese, e un confratello operaio, con l'obiettivo di riaprire il Collegio del
Vasto, dopo che era stato chiuso nel 1706, in seguito alla fuga del Marchese
d'Avalosed alla confisca dei suoi beni, con la conseguente privazione delle
rendite verso i Padri Lucchesi.
Molto sono gli aneddoti su P. Giuseppe riportati nelle Memorie dei
Chierici Regolari. "Avendo conosciuto, che nel Vasto il
Demonio vendemmiava, per così dire, l'anime, a cagione principalmente di alcuni
libertini, che si trovavano nella Corte del Marchese", ricordava P. Erra, "il P. Giuseppe si mise in cuore di
combatterlo non men con la Dottrina, che con l'Esempio. Faceva molto, ma gli
pareva di far poco, se non gli riusciva di fare un colpo da Maestro contro il
Nemico; e fu di levare certa Giovane da una Casa, che era lo scandalo della
Città. Essendo riuscito in questa impresa, ebbe da soffrire una gran
persecuzione; ma non per questo si raffreddò il suo zelo e la sua costanza
Cristiana, pronto anche a dare la vita ed il sangue per impedire le offese di
Dio. Chi restò colpito, essendo molto potente , ottenne, che non potesse aver
acceso al Palazzo del Marchese, sotto pretesto che fosse perturbatore della
pace. Indusse ancora il custode dei Cani per le cacce di quel Signore, a
condurre la notte tutta quella canatteria sotto le finestre del P. Giuseppe a
latrare, ove si sentirono altresì sonare corni da Caccia, con altri strepiti, e
canzoni ingiuriose, e tutto ciò per impedire sturbare quel poco sonno, che l'instancabile
Servo di Dio prendeva. Ma egli metteva tutto ciò a conto di guadagno per lo
Paradiso; e non temendo l'odio dei tristi, quando il peccato era pubblico;
pubblicamente dal Pulpito lo fulminava".
Persona infaticabile, P.
Giuseppe, venne scelto da tantissime persone, sia uomini che donne, come guida
spirituale. Ogni giorno recitava il suo uffizio ed il rosario e santificava le
vigilie delle feste con rigoroso digiuno e con aspra disciplina. Molto spesso,
di nascosto dagli altri confratelli,
ricorreva anche all'uso del cilicio e delle stellette di ferro, che gli
provocavano profonde ferite.
Grande devoto della
Madonna, P. Giuseppe ne parlava sempre con sentimenti elevati. P. Alessandro
Pompeo Berti, persona di grande cultura, ricordava di aver sentito tanti
panegirici nella sua lunga vita, ma quello sull'Immacolata Concezione pronunciata
da P. Giuseppe fu uno dei più belli che avesse mai ascoltato.
Oltre all'insegnamento nel
Collegio, il religioso vastese si occupò con ammirabile spirito di abnegazione
verso gl'infermi ed i moribondi, senza allentare l'osservanza della "Regolar Disciplina" e le asprezze
delle sue penitenze, che lo portarono a minare ben presto la propria salute.
Persona rigida nelle
regole, scansava qualsiasi tipo di distrazione o tentazione. Le memorie dei
Padri Lucchesi raccontano che una volta i novizi del Collegio del Carmine erano
vicini ad una finestra ad osservare il passaggio di una processione; visto che
passavano molte donne, P. Giuseppe prese un cappello e lo appoggiò alla
finestra, impedendone la vista. Un'altra volta, i novizi si fermarono ad
ascoltare una banda; appena P. Giuseppe si accorse che in mezzo a loro c'era
una donna, scappò via come se avesse visto il diavolo, invitando i compagni a
seguirlo.
Invitato a partecipare ad
una commedia recitata da alcuni studenti, a metà del secondo atto, si alzò in
piedi e cominciò a protestare incredulo di "vedere e sentire cose tanto scomposte". Il suo esempio venne
seguito da tutti gli altri creando nella sala una confusione generale.
Quando arrivò la chiamata
di sorella morte, P. Giuseppe aveva soli 36 anni.
P. Berti scrisse, che egli
dal pulpito predisse la morte, e che "alcuni
giorni dopo il suo passaggio fu veduto da una femmina che poi morì in concetto
di Santa, uscire dal Purgatorio, e volarsene in Paradiso".
P. Giuseppe si ammalò
all'improvvisocolto da una forte febbre. Inizialmente i medici non riuscirono a
capire la gravità della situazione, anche per colpa del religioso, che
minimizzava il grave stato di salute, rifiutando di accettare le cure.
Stringendo la croce al
petto, P. Giuseppe rese l'anima al cielo il 13 gennaio 1723.
Diffusasi velocemente in
città la notizia della morte, furono davvero in pochi quelli che non andarono a
visitare la camera ardente.
P. Giuseppe fu il primo
religioso appartenente ai Chierici Regolaria morire ed essere sepolto nella chiesa
del Carmine a Vasto.
Lino Spadaccini
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