venerdì 6 maggio 2016

Oggi parte il Giro D'Italia ... ma noi ricordiamo la prima gloriosa tappa a Vasto del 1959

Il Giro d'Italia è come l'amore: lo aspetti a lungo e passa veloce!” (Anonimo)
 
Da Apeldoorn nei Paesi Bassi a Torino, lungo 3.383 km e 21 tappe.
È il Giro d'Italia 2016, la 99esima edizione della corsa rosa targata Gazzetta-Rcs Sport (6-29 maggio). Che è composto da due crono individuali (prima e nona tappa), una cronoscalata (15esima tappa), quattro tappe di alta montagna, sette tappe di media montagna, sette tappe per i velocisti, 42.200 metri di dislivello complessivi.
Il Giro è già partito dall'Olanda due volte, nel 2002 e nel 2010; è la 12esima volta che prende il via dall'estero. L'ultima volta che è terminato a Torino invece è stato nel 1982 con la vittoria della maglia rosa di Bernard Hinault, tre Giri conquistati dal francese.
Quest'anno non vedremo il Giro a Vasto, passa per l'Abruzzo interno.  Vogliamo ricordare però  quella prima gloriosa tappa a Vasto del 1959.

24 maggio 1959: Vasto per la prima volta è sede di tappa
La nostra città e ed una parte d'Abruzzo nel Giro d'Italia del 1959 raccontate da Giovanni Mosca, (giornalista, disegnatore e scrittore. Roma, 1908 – Milano, 1983).
In questo “pezzo”, dal titolo «la tappa ingenua», dell'inviato speciale del “Corriere della Sera” c'è, decisamente, davvero molto Abruzzo con la sua particolare atmosfera di fine anni Cinquanta.

25 maggio 1959. Partenza della tappa Vasto-Teramo. L'entusiasmo dei ragazzi vastesi per il Giro d'Italia 
 
 ARTICOLO DI GIOVANNI MOSCA
25 maggio. Lasciamo Vasto col tenero, commosso ricordo d'una città tra le più care ed ingenue del mondo. Un'ingenuità antica, da secolo decimonono, quando si scriveva sui muri, in occasione d'una visita di deputati: «Viva gli onorevoli parlamentari della provincia!». Così è
scritto ancor oggi. La settimana scorsa sono stati in visita a Vasto l'on. Giuseppe Spataro, ministro delle Poste, e l'on. Giuseppe Pastore, ministro per il Mezzogiorno, «Vasto» si legge su un grande manifesto a colori, «saluta fiera e commossa l'amato concittadino». (E' Spataro). E su un altro, testualmente: «Viva il difensore delle aree depresse!»
E' il grido di gioia e d'amore d'una terra che non tanto reclama diritti quanto, ancora, come al tempo delle torri che sul litorale adriatico s'allineano a difesa dai saraceni, s'affida a un protettore. Sembra di vedere l'on. Giulio Pastore, armato di lancia e di scudo, vigilare continuamente sulle aree, e non appena veda che accennano a deprimersi, immediatamente, fra il giubilo delle popolazioni, correre ai ripari.

Ci lasciamo il guerriero alle spalle, e via per la diritta e facile strada d'una tappa breve e fuggevole come tutte le cose buone, come tutte le cose semplici e pulite. Ragazze bellissime che si nascondono sotto vestiti da educande e, guardate, ridono e arrossiscono come al tempo, appunto, in cui si scriveva «Viva gli onorevoli parlamentari della provincia!». Gli uomini sono seri e gentili, i ragazzi festosi, e applaudono tutto, non solo i corridori, ma i giornalisti, i meccanici, la polizia della strada, le automobili pubblicitarie e soprattutto, con commovente stupore antico, il prodigio dell'elicottero. Tutto è bello. Di tutto si rallegrano, di tutto sono grati. Credono a tutto. Quando, dopo alcuni chilometri di corsa, Gaul, Anquetil, Poblet e Van Looy, avendo accelerato, si trovano involontariamente in testa al gruppo, subito credono, entusiasti, nella «grande fuga» e il clamore che si leva corre fino a Fossacesia e a Lanciano.

Tutto è modesto, tutto è sommesso, tutto è pieno di garbo e di discrezione. Tutto ha un profumo di casa e di famiglia. A Fossacesia, un paesino odorante di pane, vince il traguardo Alessandro Fantini, un corridore ch'è nato qui. Vince con cinquanta metri di vantaggio, anche perché tutti gli altri lo hanno lasciato andare, e la gente, che lo capisce, saluta, con lo stesso applauso, la bravura del compaesano e la cortesia dei suoi avversari.

Tagliato il traguardo, Fantini scende di macchina, abbraccia i parenti e gli amici, stringe la mano ai conoscenti. Il Gruppo rallenta per aspettarlo.

Dopo pochi chilometri, per stupire queste brave persone, scatta Baldini portando avanti a tutti – tra i pini di San Vito Chietino, che hanno il tronco altissimo e la chioma, lassù in cima, piccolina – la sua bella maglia di campione del mondo. Poi, alla prima svolta, quando nessuno lo vede più, frena e si fa riprendere.

Gente ingenua, che non sta bene ingannarla. D'altra parte, oggi, la tappa si sa come andrà: i «grandi» non si impegneranno, e a un certo punto lasceranno scappare i minori. Sarà bene farlo nella maniera più pulita. La strada corre diritta. Da una parte il mare, dall'altra la modestia e la discrezione di colli che non vanno oltre i centro metri. Su quello di Ortona è scritto «M. 72», eppure è qui, lungo la breve discesa che riporta la strada al livello del mare, che si deciderà la corsa.

Fuggono Ernzer e Velucchi, i due più modesti del Giro. Li rincorrono altri modesti, fra i quali Guarguaglini, un cognome che non potrà mai essere quello d'un campione, ma la folla – felice di tutto – lo applaude come se fosse Coppi.
E' a questo punto che Gaul, corridore sensibile, capisce che questa gente non merita inganni grossolani, e che un'apparenza di lotta bisogna darla: per cui scatta, si unisce al gruppetto dei nove che inseguono Velucchi ed Ernzer, e per qualche chilometro mentre le ragazze lo ricoprono di fiori, riesce a dare l'impressione della grande battaglia. Poi, al primo tratto di strada deserta, rallenta, si lascia raggiungere dal grosso. I nove, anzi gli undici, perché i due primi verranno presto agguantati, hanno via libera. E gli undici poi, diventano venti, perché altri nove, indisturbati, lasciano il plotone dei campioni, e via verso il traguardo di Teramo attraverso i bei viali di Pescara e i nomi gentili di Silvi, Pineto, Roseto: questo paese un tempo si chiamava Rosburgo, alla tedesca, un nome da grande città, con il porto popolato da mille pennoni e mille ciminiere. Il più moderno nome si adatta meglio alle sue venti barche e ai suoi piccoli giardini dove è il mare, con i suoi spruzzi, ad annaffiare le rose.

Poco dopo Roseto si prende a sinistra, si lascia il mare, e ci s'interna verso Teramo, che vuol dire «città posta tra due fiumi», inter amnes urbs dove però la solennità di quell'urbs è temperata dalla modestia dei fiumi: il Tordino e il Vezzola. Si sale. I venti fuggitivi arrancano e sudano, il gruppo dei campioni segue tranquillo a cinque minuti. Ma la folla, convinta che sia stato staccato di forza, applaude ai venti «giganti» ormai prossimi al traguardo, li accompagna e li sospinge con boati di delirante entusiasmo, e Benedetti, l'astuto vincitore che non ha mancato di spingere Padovan sulla destra contro le transenne, viene portato in trionfo come il più grande ciclista del mondo.

Dopo qualche ora, quando Teramo s'è calmata ed è andata a dormire, finalmente, m'accorgo, passeggiando per le sue strade deserte, che anche qui sono venuti in visita i due ministri, e che anche qui, su tutti i muri come al tempo delle torri erette a difesa dai saraceni, si legge: «Viva il difensore delle aree depresse»”.

Giovanni Mosca


25 maggio 1959. Tappa Vasto-Teramo. "In fila indiana ecco Van Looy, Poblet, Coletto, Anquetil e Gaul subito dopo l'abitato di Vasto"


 

 

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