Intervista al professor Guido Brunetti
di Giuseppe Catania
Nella prima parte di questa intervista,
pubblicata nei giorni scorsi, il professor Guido Brunetti ha delineato un ampio
quadro delle basi neuroscientifiche della
politica, fornendo un prezioso contributo alla conoscenza e allo studio di quelle rappresentazioni mentali e di quei comportamenti che ricoprono rilevanza politica.
politica, fornendo un prezioso contributo alla conoscenza e allo studio di quelle rappresentazioni mentali e di quei comportamenti che ricoprono rilevanza politica.
In questa seconda parte, il
nostro eminente interlocutore disegna un attraente panorama neuroscientifico
del linguaggio con particolare
riferimento a quello dei politici.
C’è, professor Brunetti,
un rapporto tra linguaggio, cervello e mente?
“Come già abbiamo sostenuto, i progressi
delle neuroscienze in questi ultimi anni hanno generato una vera e propria
rivoluzione scientifica non soltanto nei metodi di diagnosi e cura in medicina
e psichiatria, ma anche nelle nostre millenarie concezioni, a partire dai
sistemi filosofici. Soprattutto, attraverso le splendide metodiche di neuroimaging, la ricerca ci ha permesso
di guardare all’interno del mistero del cervello e di scoprire come la mente
analizza e decodifica il linguaggio, riconosce i volti, codifica le idee, le
emozioni, i pensieri, l’arte. Scoperte importanti poi hanno mostrato il modo in
cui gli esseri umani e le altre specie animali apprendono il linguaggio. Di
grande rilievo scientifico, la scoperta di aree cerebrali coinvolte nei sistemi
di comunicazione”.
Ci può indicare quando incomincia
la ricerca sul linguaggio?
“Confinato per secoli ai
margini, lo studio del linguaggio si è imposto nel Novecento all’interno di
varie discipline, come psicologia, filosofia, psicoanalisi, linguistica,
antropologia, soprattutto per merito di autori fra i quali Peirce, de Saussure,
Jakobson, Putnam, esponenti di quella branca conosciuta con il nome di
strutturalismo. Il termine non è univoco, in quanto legato a un’ampia
dispersione di teorie differenti e contrastanti formatesi nell’ambito delle
scienze umane.
A partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, decolla
quella che abbiamo definito la rivoluzione delle neuroscienze. Lo studio del
linguaggio considerato storicamente campo esclusivo della filosofia, diventa
oggetto di indagine empirica delle neuroscienze cognitive. Le quali modificano profondamente teorie e
ipotesi precedentemente formulate e arricchiscono in modo spettacolare il corpus di conoscenze in materia linguistica, dando vita nel 1985
alla nascita della neurolinguistica. Importante, tra gli altri, il contributo
di Noam Chomsky nel sostenere le teorie innate del linguaggio e l’esistenza di
una grammatica universale ”.
C’è un passaggio
epocale. E’ così?
“I primi esperimenti
neurobiologici mostrano come il linguaggio presenti eccezionali e complesse
caratteristiche e possieda molti livelli funzionali, mezzi espressivi, oggetti,
segni, simboli. La ricerca evidenzia che l’uomo non è la sola specie in grado di
comunicare. Gli animali imparano a ‘interpretare’ i segni e ad emettere
segnali. Animali, come ad esempio, uccelli, api, delfini e arvicole utilizzano
differenti sistemi per trasmettere informazioni e comunicare tra loro
attraverso una combinazione di sguardi, espressioni facciali, posture, gesti,
cure parentali e vocalizzazioni. Gli scimpanzé sono ‘maestri’ nell’uso della
comunicazione ed hanno una grande ‘padronanza’ del linguaggio del corpo (de
Waal). Gli esperimenti rivelano che le grandi scimmie hanno capacità
linguistiche e sistemi per utilizzare segni simbolici. Gli umani e le scimmie
adoperano gesti oro-facciali come principale modo di comunicare. Unito a quello
non verbale e gestuale, il linguaggio è dunque una manifestazione delle fantastiche
attività di gruppi neurali e regioni cerebrali”.
Come si può definire il
linguaggio?
“Definiamo linguaggio l’espressione simbolica del cervello e
della mente. Uno strumento di ‘traduzione’ del pensiero e delle emozioni, di
stati coscienti e inconsci. Una facoltà mentale di comunicare, dove tratti
semantici, segni, significanti e significati sono affidati anche ai metalinguaggi,
gesti, tono della voce, viso, mimica, velocità dell’elocuzione, movimenti degli
occhi, sorriso, riso, postura. In pratica, è una struttura di comunicazione
‘specie-specifica’, che si distingue da quella di ogni altro animale, che
permette di formare un numero infinito di segni (dal greco semeion,semiotica) e che riveste molte funzioni, come quella
conativa ed emotiva.
E’ a Platone e Aristotele che si
deve il concetto di linguaggio come ‘rispecchiamento’ del cervello, fondato
sulla logica, e la distinzione fra segno, significante e significato, uno
studio che percorre tutta la
storia della filosofia. L’uomo è ‘l’animale- ha scritto Aristotele- che possiede il logos, il linguaggio. L’analisi del linguaggio poi è legata
alla filosofia di Kant, al sorgere delle scienze umane nell’800, alle teorie di
Wittgenstein, che riprendono i
concetti di Platone, agli orientamenti dell’ermeneutica di Heidegger e alla
psicoanalisi.
Dopo questa chiara e
accurata disamina filosofica e scientifica del fenomeno in questione, vuole
illustrarci il linguaggio dei politici?
“Anche il linguaggio dei
politici, nella sua dimensione semantica e sintattica con l’analisi e
l’interpretazione dei segni comunicativi e della struttura dei testi, è un
processo cognitivo, espressione dell’organizzazione neurale e dei dispositivi
cerebrali.
Un tempo- ha sostenuto
Schwatzeberg- ‘a fare politica erano le idee’. Oggi, la politica tende alla
‘spettacolarità, alla visibilità, alla messinscena’, al linguaggio iconico attraverso
segni conativi ripetuti in modo ‘quasi ossessivo’. Non è importante comunicare
qualcosa, ma apparire. Più che un
mezzo razionale di analisi, il linguaggio dei politici diventa -ha affermato McLuhan-
un ‘rumore di fondo’ e il politico
un soggetto ‘inaffidabile e insincero’.
Il linguaggio dei politici mostra
un declino progressivo. Si passa da una lingua colta a una lingua ‘debole’,
fatta spesso di parole basse, scatologiche, di garbugli lessicali e anticaglie
linguistiche.
Le ricerche mostrano la presenza di una cattiva, grossolana e
sciatta comunicazione, espressa attraverso una grammatica e una sintassi
elementare, banale e insulsa, e arricchita con errori linguistici.
Gli scritti dei politici, per Orwel, sono scadenti, di nessuna consistenza razionale, lessicale e
contenutistica. Prevale la ‘cattiva
comunicazione’, la quale comporta
una ‘cattiva politica’. Una politica che si è ‘deteriorata’ e, con essa, anche
il linguaggio politico, logoro, saturo, ripetitivo. E’ un linguaggio che
insegue quello dei social network, termini ad effetto, slogan, turpiloquio,
volgarità. Si ricorre alla semplificazione che appare ‘vaga e insincera’,
svuotata di significato, ragionamento e riflessione.
Una comunicazione ‘non
comunicante’, e che non sa comunicare.
Pure il presidente Obama ha sottolineato sia il trend
‘distruttivo’ di una politica americana ‘urlata’ e impregnata di ‘retorica
volgare’ che i ‘danni’ prodotti dalla civiltà dei social e dalla
‘balcanizzazione’ dei media.
Le strategie comunicative -spiega Brunetti-
sono concepite e utilizzate
per imporre un candidato (candidate-oriented
), costruendo un’immagine in
modo simile a come si opera per ‘acquistare’ un ‘prodotto di consumo’ nella pubblicità. Si
tratta di un modello ‘potenzialmente pericoloso’, in quanto si fonda
sull’equiparazione tra ‘prodotto politico’ e ‘prodotto commerciale’(Menger). La
politica si trasforma in infomercial. Fatto
che modifica in sostanza la natura stessa della politica, che diventa un
processo rituale e ‘privo di senso’ nel quale il solo fatto di essere visibili non è rivelatore di ‘nulla’.
Il risultato è che il cervello, essendo selettivo, sceglie e
respinge la maggior parte dei messaggi. Questo mostra che i messaggi emozionali
e simbolici, l’immagine iconica e sonora, i segni del linguaggio politico e la
spettacolarizzazione non potranno mai sostituire i concetti, il pensiero, le
idee (Roscher), e i tratti
caratteriali e mentali del soggetto politico”.
Come concludere,
professor Brunetti?
“ Diventare leader, possedere carisma o uno stile per comunicare
e decidere sono aspetti della personalità che non si acquisiscono attraverso i
libri o la costruzione di un’immagine ‘mass-mediatizzata’. Sono strategie che non servono a costruire lo standing e altre doti personali di
fascino, equilibrio mentale, attitudine al comando, forza di persuasione, ecc.
Il cervello di ciascuno di noi, come hanno dimostrato le neuroscienze, ha
proprie caratteristiche. La combinazione genetica, le varie esperienze familiari e socio-culturali
ed altri numerosi fattori fanno del cervello individuale una struttura
irripetibile. Reagan, de Gaulle e la Thatcher, ad esempio, si sono imposti per
le loro qualità, per la loro levatura intellettuale e morale, per i loro
principi, per la loro autorevolezza o empatia.
Il carisma, se non c’è, uno non
se lo può dare.
A determinarlo concorrono
molteplici elementi, come tratti
personali, connessioni sinaptiche, sistemi neurali e meccanismi cerebrali
insieme con fattori ambientali. La mente umana non è soltanto origine e
manifestazione della vita individuale, ma anche causa finale, progettualità e
condizione essenziale del ‘finalismo’ del mondo”.
Essere uomini- conclude il
professor Brunetti- significa dunque dare senso alla vita, essere
chiamati alla crescita e al bene della persona umana. Secondo la nostra
concezione, la ricerca del bene è il fine sia della morale che della politica. Di conseguenza, la politica, in base
all’analisi epistemologica da noi condotta, coincide con l’etica. L’etica della responsabilità”.
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