martedì 2 febbraio 2016

Verso Carnevale (2/5):le origini de "LA STORIE" (Canto satirico), gli autori del secolo scorso

di Lino Spadaccini
Vicina alla figura di Antonio Rossetti è quella del poeta contadino Antonio Parisi, animatore indiscusso di "Štorie" per mezzo secolo, a cavallo tra l'800 ed il '900. Animatore di feste e banchetti nuziali del popolino,
Zì Ndonie Parèise era spesso invitato a recitare i suoi strambotti in onore degli sposi, ma nonostante il suo analfabetismo, e quindi la mancanza di conoscenza delle elementari nozioni di metrica e grammatica, improvvisava in vernacolo, la lingua a lui più famigliare, creando versi semplici dall’ironia pungente e sopraffina.
Si ricorda che una volta, mentre era in campagna con la zappa sulla spalla, venne invitato a improvvisare alcuni versi. Lui, prontamente, rispose:
Ajje zappate da stamatèine
Senza pane e senza vèine;
Stinghe stracche di fatejje,
Pozze fa' li puhisejje?
Un giorno sollecitato da un giovane studente vastese ad improvvisare una poesia, con indifferenza e, stranamente, in perfetto italiano, disse:
Oggi è giorno di lezione:
non bisogna fare il buffone.
In occasione dell’apertura di un nuovo mulino fuori dal centro abitato, Zì Ndonie disse:
S’è rrapèrte lu muline di foche
A lu Uaste a nu brutte loche;
ma tra 'mbijghete e macinènde
sonne 'na masse di brighènde.
Tra la fine dell'800 e i primi anni del '900 è stato un periodo molto fiorente per i cantori di "Štorie". Antonio D’Adamo (Cillacchie), nelle sue storie amava mettere in risalto le astuzie delle donne per ingannare gli uomini; Luigi Di Santo (Sande Lujegge), nel 1912 si ispirò alla conquista della Libia da parte dell’esercito italiano, mentre nel 1924 (domenica 10 febbraio) raccontò i contrasti amorosi tra Micheline, Tirisine e Luiggine e, come si legge sulle colonne de Il Vastese d’Oltre Oceano, «…il pubblico è rimasto veramente ammirato, più che pel valore poetico della Storie, per l’intrepidezza dei componenti la comitiva, che durante tutto il pomeriggio di quella domenica, e fino a tarda ora della sera, ebbero la costanza di cantarla senza interruzione, sotto una pioggerella minuta e continua, che deve aver loro immolate persino le ossa».
Una "Štorie" rimasta memorabile fu quella scritta dall’analfabeta Ferdinando Calvano, autore della Storia di Amba-Alagi, che fece furore nel carnevale del 1896. Lo spunto arrivò dalla guerra italo-abissina, quando un gruppo di soldati italiani, assalito da tremila scioani di Ras Makomen, in Amba-Alagi, vennero sacrificati con il loro comandante, il maggiore Pietro Toselli. Calvano scrisse una storia dal gusto sfacciatamente patriottico, immaginando un Cacciatore d’Africa, che tornato in breve congedo, racconta le vicende accadute ai genitori, alla fidanzata e agli amici. Tutti ascoltano commossi la narrazione e interrompono  frequentemente con invettive e rabbia. Un veterano si lamenta di essere troppo vecchio, uno zoppo si duole della sua infermità, il piccolo fratello anche lui vorrebbe correre in Africa a vendicare il sangue sparso; mentre la sua fidanzata si lamenta di essere donna e non uomo. A questo punto il giovane Cacciatore dice: "Bastame noi, e a chi li brutte facce nere dareme preste nu grande dispiacere". Ad animare la scena, si legge sull'Istonio, un gruppo di contadini, i quali "accompagnati dal suono di un violino e da quello di una chitarra… senza corde, andavano qua e là cantilenando, disposti in cerchio e stretti dalla folla". "La mascherata", commenta il cronista del periodico vastese, "ha fatto quindi la sua brava impressione al pubblico, grosso e minuto, per la gentilezza del concetto e la spontaneità della forma; e se  a questa è mancata, naturalmente, l'arte poetica, l'argomento, di per se stesso patriottico è stato patriotticamente svolto. E noi, oggi, alla distanza di una intera settimana, confessiamo di esserne rimasti commossi e compiaciuti".
Tra gli altri autori ricordiamo Angelo De Felice (Criscenze), che in occasione del Carnevale del 1919 compose la Štorie dell'Inglese Americano, Antonio Muratore  (Fo-Fo) e Sebastiano Ricchezza (Carpindàne). In particolare, questi ultimi due sono stati brillanti animatori del carnevale del 1924. Il primo ha raccontato i guai di una coppia di coniugi che avevano otto figlie nubili, ma di cui quattro uscite incinte; tema leggero e divertente anche per l’altro autore, con una ricca e bella giovane da maritare, a cui si propongono i vari giovanotti del paese, manifestando la loro posizione sociale, affinché vengano prescelti. Ma la giovane li rifiuta tutti perché è innamorata di Pippinille, con il quale aveva anche "sciuvulete". Davanti al fatto compiuto, i genitori non poterono far altro che acconsentire al loro matrimonio. Alcuni versi ci sono stati tramandati dalla memoria di Francesco Paolo Cieri:
E la fèjje di "fiore de rìute"
ere graziàuse e ere panzìute,
ere graziàuse e faceve la chìure:
quàlle era la… crijatìure!

A proposito di Carpindàne, nel 2011 Nicola D'Adamo, l'animatore del blog NoiVastesi, ha raccolto dalla viva voce della madre, Clorinda Cicchini (1925-2012), il testo di una Štorie, cantata negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale. Seppur  incompleta in alcuni passaggi, il testo rappresenta un documento di straordinaria rilevanza. La versione qui presentata è la rielaborazione effettuata dal poeta Fernando D'Annunzio, sul testo raccolto e trascritto da Nicola D'Adamo.

(marito)
Oh mojja ma’ l’haj’avùte ‘na cartuluène
Lu ‘mbârche j’é dirètte pi’ Missène
‘ Scì ’ccise a àsse che me l’à mannäte
Mo jé tre mmèse chi ‘i sém’ accumbuagnäte
J’ mi ni pârte e mi ni vâje tande scundènde
J’ mi li sènde ca ni’ mi jè cummunènde
M’ariccummuânne, abbade a ttaie
Ni’ mmi li dä nu dispiaciàre.

(moglie)
Marètime é tré ânne che si n’é jjüte
E nisciùna nuvutä’ aje sapüte
Mo li tinghe nu grosse pinzìre...
Certe si trove pruggiunìre
Ma mo mi trove a nu nnabbèsse
Vulésse ca n’ariminèsse
Nghi ‘šti ‘nglèise affizziunàte
Vidéte che ci’haje cumbunàte
(e tira fuori un bambolotto)

(marito)
Oh moja ma’ da la huèrre aj’ ariminüte
Quélle che si fâtte jè l’haje sapüte
M’adà ggiurué la viritä’
Jè nghi tta mi ci vuj’ ariccumbuagnä’
N’addre priggiunìre di Missèine
N’à truvuäte ‘na quarandèine-

(moglie)
Mi ci’haje masse ‘ca jére di n’addra nazziàne
Ni’ mmi cridàve ca ci facéve ‘štu pupuattàne
M’avé prumuasse ca doppe la huèrre
Mi si minìve a toje e mi si purtäve
all’Inghilterre
Mo j’é paricchie ânne che se n’é jüte
Jè ni’ ll’haje cchiù vvidüte
Addije Amèriche e Inghiltèrre

Chište é ricurde che lasse la Huèrre!










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