UNA VITA PER L'ARTE TRA ITALIA E FRANCIA
di LINO SPADACCINI
Trent'anni fa, il 13 gennaio del 1986, ci lasciava il pittore Filandro Lattanzio, uno dei grandi artisti del Novecento vastese.
"Se Filandro Lattanzio fosse vissuto un centinaio di anni fa",
scriveva sul giovane artista vastese Giorgio Pillon, in un articolo pubblicato
nel giugno del 1948 sul periodico Histonium,
"avrebbe avuto migliore fortuna o
almeno un certo immediato successo. Quella sua perenne e dolente malinconia che
gli ha ormai modellato il viso e addolcita la voce, quella sua aria staccata,
grave, assorta, avrebbero reso attorno a lui una larga corrente di simpatiche
attenzioni". "Quali i risultati?", si chiedeva Pillon, al
35 foto storiche>>>
termine dell'articolo, "Fra qualche anno lo potremo sapere".
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termine dell'articolo, "Fra qualche anno lo potremo sapere".
L'apertura dell'ultima
retrospettiva dedicata al pittore vastese, dal 23 aprile al 31 agosto 2011,
organizzata in occasione dei venticinque anni dalla morte, è la giusta risposta
alla lunga vita artistica di Lattanzio, ma anche un atto dovuto da parte della
Città del Vasto, per ricordare, conoscere e approfondire un grande protagonista
del panorama artistico del Novecento, un vastese innamorato della propria terra
che ha lasciato un'impronta indelebile nella storia culturale della città.
Curato da Michele Montanaro e Roberta Presenza, con il
coinvolgimento delle Associazioni Opificio AlterArs e Settantaduedellarte, la
mostra è stata allestita in alcune sale della Pinacoteca di Palazzo D’avalos,
con l’inaugurazione fissata per il giorno 23 aprile, alla presenza della figlia
Viviane Dutaut e della cugina Ada Lattanzio, che hanno gentilmente prestato
alcune opere, in aggiunta ai 23 quadri già in possesso del Comune. Per
l’occasione è stato stampato un catalogo a colori, con un ricco apparato
fotografico e molti documenti inediti, utili a fare il punto della situazione
sulla figura dell'artista a venticinque anni dalla morte ed a quindici
dall’ultima mostra a lui dedicata, allestita dall’amministrazione Tagliente nel
1996.
Come per altri artisti locali,
anche per Filandro la passione per l’arte pittorica nasce quasi casualmente. All’età
di dieci anni, conseguita la licenza elementare, il padre lo mette in bottega
da un fabbro ferraio. Problemi di salute non gli permettono più di eseguire
lavori pesanti e qui avviene la svolta per il giovane Filandro, incoraggiato a
coltivare la passione per il disegno.
Ecco come ricordava quegli anni l’artista
vastese, in un’intervista rilasciata nel 1974 al compianto Carlo Piantoni: "Un giorno scopersi nella scuola (la scuola
serale della Società del Mutuo Soccorso) una
vecchia scatola di acquerelli con qualche residuo di colori. La portai a casa e mi misi subito a
dipingere. Non avevo pennelli: dipingevo con le dita. Intanto continuavo a fare
il fabbro, ma la domenica andavo lungo la scogliera a disegnare perché il vero,
fin d’allora è stato sempre il mio grande maestro".
La prima mostra risale intorno ai diciotto anni. "Un giorno mi feci coraggio", ricordava
ancora Lattanzio nell'articolo, "e
chiesi timidamente a Luigi Anelli di farmi mettere due quadretti nella vetrina
del suo negozio. Ricordo ancora chiaramente i soggetti: la punta di Scaramuzza
e un vitellino. Non appena i miei quadri furono in vetrina, cominciai a
ripassare in continuazione davanti al negozio. Il giorno dopo Luigi Anelli mi
chiamò dalla porta. Mi avvicinai temendo che mi avrebbe fatto togliere i
dipinti. Invece mi disse se volevo vendere il paesaggio di Scaramuzza". Ad acquistare il quadro, per 50 lire, è la marchesa Pignatelli di Napoli, di
passaggio a Vasto per visitare il Museo.
Per Filandro Lattanzio questi sono
anni piuttosto difficili, caratterizzati da un malessere interiore, permeato da
uno spiccato senso di malinconia e tristezza, ed una conseguente chiusura verso
il mondo esterno, ma anche una continua ricerca nel proprio intimo, che in
realtà lo faranno maturare e trasformare su tela sensazioni e passioni in
tratti, colori e sfumature.
Insieme a Luigi Martella, Michele
Fiore e Vincenzo Canci crea un cenacolo di giovani artisti accomunati
dall'amore per le belle arti. Altri giovani ammiratori spesso si aggregavano:
tra questi Giorgio Pillon, Michele Ronzitti, Florindo Ritucci-Chinni, il M°
Aniello Polsi ed altri.
Seguono anni di intensa attività
pittorica e mostre in varie parti d’Italia. Nel 1927 realizza la pala d'altare
per la chiesa dell'Istituto religioso delle Suore Agostiniane di Roma. L'anno
successivo riceve un encomio dal poeta Gabriele D'Annunzio per il ritratto
"D'Annunzio adriatico".
Buoni riscontri ottiene anche per
la mostra allestita a Vasto insieme all'amico Luigi Martella. Subito dopo,
Lattanzio parte per il servizio militare con destinazione Firenze. Il soggiorno
fiorentino gli sarà molto utile dal punto di vista artistico in quanto approfitterà
dell'occasione per visitare i numerosi musei fiorentini e studiare la pittura
dei maestri del Cinquecento.
Nel dicembre del 1930, espone
insieme a Michele Fiore nella sede dell'O. N. D. di Vasto: una cinquantina i
quadri in mostra, molti dei quali acquistati dai visitatori vastesi. Nel 1932
partecipa ad una mostra all'Aquila con il dipinto "Donna di Castel di Sangro", ottenendo lusinghieri
riconoscimenti e la segnalazione in un articolo apparso sul Corriere della Sera. L'anno successivo,
per un'esposizione analoga, Lattanzio viene chiamato, assieme al pittore
Cermignani di Pescara, a far parte della commissione per la scelta delle opere.
Trasferitosi a Roma, frequenta gli artisti di Via Margutta: Fazzini, Guttuso,
Mafai e il loro critico Virgilio Guzzi.
Nel 1939 espone alla Galleria d'Arte Moderna di Roma e negli anni 1942 e 1943
partecipa alla Mostra organizzata dal Sindacato Fascista Laziale di Belle Arti
al Palazzo delle Esposizioni.
A causa degli eventi bellici,
viene richiamato alle armi e parte per la Francia. Fatto prigioniero,
attraversa Belgio, Olanda e Germania, prima di poter far ritorno in Italia nel
1945. Seguono vari viaggi in Francia e, in uno di questi, nel 1948, sposa
Hélène Castex e si stabilisce a Chambery.
Per circa vent'anni, fino al 1968,
rimane pressoché stabilmente in Francia e intraprende nuove strade pittoriche
quali l’astrattismo e il cubismo.
Lusinghieri sono i giudizi della
critica d'Oltralpe, in occasione delle sue frequenti mostre. "F. Lattanzio lavora attualmente con più
larghezza e più forza", scriveva il critico D'Aliboron sul giornale
"Le progres" del 27
dicembre 1950, "Ci si potrebbe
sbizzarrire nella ricerca delle influenze che si trovano in queste opere con le
quali si esprime. Lattanzio: a che pro? Non sarebbe proprio un giuoco per un
occhio analitico ricercare una sintesi là dove l'autore ha messo tutto ciò che
ha semplicemente sentito. Senza cadere in tale difetto ripetiamo che lo stato
attuale di Lattanzio ci pare eccellente. L'artista interpreta i suoi paesaggi
con larghe pennellate di colore dove l'insieme vibra con delicatezza, a volte
in maniera calda. A volte fredda. Da quasi tutte queste tele questa fusione
sprigiona una luce particolare, attraverso la quale appare il paesaggio".
I legami con la città natale rimangono
sempre molto stretti. Nel 1950 realizza il dipinto "Sant'Antonio Abate", conservato presso la chiesa della Madonna
Addolorata a Pagliarelli.
Nell'estate del 1959 prende parte alla "Prima mostra dei pittori vastesi
contemporanei", presso i locali dell'Asilo infantile Carlo Della Penna.
Fino al 1967 parteciperà ad altre sei edizioni dell'importante mostra
collettiva che negli anni a seguire prenderà la denominazione di "Premio Vasto".
Alla fine degli anni '60 torna
definitivamente a Vasto. L'apertura dell’atelier in una delle zone più
suggestive della nostra città, all’angolo di piazza San Pietro, diventa il
centro d’incontro di amici, pittori e critici, mentre artisticamente c’è il
ritorno al suo primo amore: i paesaggi, le campagne, gli scorci e i colori
della propria terra, ma anche nature morte e
ritratti.
Nell'ultimo periodo di vita si
dedica ai temi religiosi e realizza due importanti opere: la "Madonna dei Sette Dolori" (1982) e
"Sant’Anna" (1984), per le
omonime chiese.
Nel marzo del 1988, due anni dopo
la morte del marito, la signora Hélène Castex dona al comune di Vasto venti
opere che abbracciano tutta la vita artistica di Filandro Lattanzio, dall’Autoritratto del 1933, fino al nudo
cubista, passando per alcuni ritratti e nature morte.
La
vera forza di Filandro Lattanzio, grazie alla sua modestia e alla sua umiltà, è
stata quella di aver saputo adattarsi a tutte le situazioni che lo
circondavano, riuscendo ad esprimere sulle tele le varie influenze e
ispirazioni che nascevano e prendevano corpo dentro il proprio intimo.
Tutta la
vita artistica di Filandro è stato un continuo mettersi in gioco, accettando il
rischio di nuove sperimentazioni e strade spesso difficili e lontane
dall’essere comprese, se non con il tempo.
Lino Spadaccini
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