venerdì 11 dicembre 2015

Storia: 19 schiavi cristiani in vendita sulla spiaggia di Vasto, salvati da Padre Giuseppe Venti (1661-1734)

BIOGRAFIA COMPLETA
Vita, morte e ...miracoli di Padre Giuseppe Venti dei Padri Lucchesi del Carmine. "Quando passava per le strade del Vasto, il popolo s'inginocchiava"
Un'antica immagine del Carmine, di Michele Provicoli

di LINO SPADACCINI
A qualche settimana di distanza, torniamo a parlare nuovamente dei Chierici Regolari della Madre di Dio, l'ordine religioso fondato da Giovanni Leonardi (1543-1609), chiamati anche "leonardini" o "Padri lucchesi", venuti a Vasto alla fine del 1690, nel collegio del Carmine, per approfondire la figura di Padre Giuseppe Venti (1661-1734), personaggio di grandi virtù e protagonista della vita religiosa vastese, e non
solo, nei primi decenni del XVIII secolo.

Con l'apertura del collegio nel Carmine, nel novembre del 1690, P. Venti era stato mandato a Vasto per insegnare ai giovani studenti
vastesi umanistica.
Nel 1699, dopo la partenza di P. Alessandro Poggi, venne nominato Rettore della Casa e si ritrovò a gestire un periodo molto delicato a causa della cosiddetta "congiura di Macchia", contro il Re di Spagna Filippo V, in cui rimase coinvolto il marchese don Cesare Michelangelo d'Avalos. Dichiarato ribelle, nell'ottobre del 1701, il d'Avalos fuggì da Vasto, accompagnato dal medico personale, Francesco Sabelli, alcuni paggi ed altri servi.
Con la successiva confisca ai signori del Vasto, anche i Padri Lucchesi si ritrovarono senza rendite, non riuscendo così a garantire un numero sufficiente di religiosi. Con l'assemblea del 19 febbraio 1706, a maggioranza venne decretata la soppressione della sede vastese e l'allontanamento dei quattro religiosi rimasti.
Riacquistata la signoria del Vasto, Cesare Michelangelo si adoperò per far tornare i Chierici Regolari. Così, il 13 aprile 1717, vennero riaperti sia il collegio che il convento, dove fu assegnato come rettore P. Lelio Saminiati.

Con la riapertura del convento, P. Giuseppe Venti venne rimandato nuovamente a Vasto, dove prese possesso della stanza più buia e piccola del collegio, ma molto comoda per il religioso, poiché essendo vicino alla chiesa, gli dava occasione di pregare frequentemente davanti al SS. Sacramento.
"Se nel passare per qualche piazza o dinanzi a qualche bottega, avesse veduto qualche ridotto di oziosi, o sentita una parola sconcia", ricorda P. Carlantonio Erra nelle Memorie de' Religiosi Insigni della Congregazione della Madre di Dio, pubblicate nel 1760, "si fermava a far loro la correzione; e se gli avesse trovati con denari esposti per giuocare, poneva in mezzo a quelle monete il suo Crocifisso, e tirandole a se le dispensava ai poveri. Quando in campagna vedeva mucchi di biade, in mezzo ad essi vi piantava il suo crocifisso, richiedendone una porzione ai padroni, per farne il medesimo caritatevole uso. Sentì una volta che sotto una sua finestra litigavano alcune donne, ingiuriandosi insieme alla peggio. Si affacciò con il suo crocifisso in mano, dicendo loro: quante parole dite, tante sono piaghe a questo Signore, e le fece quietare. La carità usata in Napoli per soccorrere zitelle o altre femmine pericolanti, si fece ammirare anche in Vasto; nel che però qualche volta fu ingannato, essendo tanto facile a credere il bene, che non sapeva pensare al male".

 Il 15 di ottobre del 1724, di fronte la spiaggia di Vasto, comparve un brigantino turco venuto da Dulcigno (attuale cittadina del Montenegro), con 19 schiavi cristiani, tutti appartenenti al Regno di Napoli, tra i quali erano presenti tre donne ed una zitella di 17 anni, che insieme alla madre era stata rapita nelle pianure della Puglia. Le vittime furono esposte sulla riva, alla vista del popolo, con addosso lunghe catene, al piede e al collo.
Alla vista del brigantino, i cittadini vastesi scesero tra i quali erano presenti tre donne ed una zitella di 17 anni, che insieme alla madre era stata rapita nelle pianure della Puglia. Le vittime furono esposte sulla riva, alla vista del popolo, con addosso lunghe catene, al piede e al collo.
Alla vista del brigantino, i cittadini vastesi scesero alla Marina e rimasero impietositi davanti alla scena che apparve loro davanti: persone innocenti schiavizzate e incatenate esposte come merce al mercato e vendute al miglior offerente. In particolare, le preoccupazioni erano per l'incolumità della giovane zitella e della propria madre. Tra gli uomini, erano presenti alcuni giovani, mentre gli altri, di età più matura, avevano servito per anni i loro "padroni", con le catene ai piedi, a piantar vigne e coltivare le campagne.
Anche P. Venti, avvisato di quanto stava accadendo, accorse in spiaggia e, senza esitazione, intuendo quello che sarebbe successo, si precipitò verso il palazzo del Marchese, per implorare l'aiuto dei signori del Vasto, affinché riscattassero la fanciulla. P. Venti convinse D. Cesare Michelangelo d'Avalos a scendere alla Marina per rendersi conto con i propri occhi della situazione.
Il Marchese si recò in spiaggia, astenendosi dall'usare la violenza, cosa che avrebbe potuto fare, ma che non fece, per non rovinare i buoni rapporti con i governanti di Dulcigno.
Cominciarono le trattative per il riscatto della zitella, da parte di P. Venti e del Mastrogiurato, ma i turchi, sapendo che senza la giovane ragazza sarebbe sceso il prezzo di tutti gli altri, costrinsero a riscattarli tutti. Il prezzo elevato fece saltare l'accordo e gli schiavi vennero nuovamente imbarcati sul brigantino con destinazione Barberia, una regione dell'Africa settentrionale.
"Il P. Giuseppe era afflittissimo di questa partenza", ricorda P. Erra nelle Memorie, "ed impiegato quella mattina in Chiesa, non mancava di pregare Iddio per i meriti di S. Teresa, che mutasse il cuore dei Turchi. L’effetto corrispose al desiderio, poiché nonostante il vento favorevole che avevano i Turchi per allontanarsi, all’improvviso voltarono la prora verso il Vasto; ed avendo accettato il già offerto riscatto, tutti quei schiavi furono consegnati al P. Venti, non fidandosi il Padrone di altri che di questo santo religioso. Entrati nel Vasto con un solo Turco per loro custodia, si vide tutta la città sottosopra per ristorarli nel pubblico spedale, a riserva delle femmine, che si spesavano dalla Signora Marchesa. Non mancò il P. Venti con il catechismo, con le esortazioni, e con altri aiuti spirituali, di coltivare quella piccola vigna del Signore, che stando alle mani degli infedeli si era inselvatichita".
Non tutto il denaro necessario per il riscatto fu trovato, ma i turchi salparono comunque con la promessa di tornare nella successiva primavera per prendere il resto.
Per raccogliere la somma mancante, D. Cesare Michelangelo, consigliato dal suo agente di Napoli, decise di mandare gli schiavi nella capitale del Regno, così avrebbero mosso a pietà i cittadini partenopei, che avrebbero più facilmente dato il loro contributo. Il turco rimasto a Vasto per controllare gli schiavi, acconsentì alla richiesta, ma volle che li accompagnasse anche P. Venti. "Bello era vedere", ricorda P. Erra, "questo religioso canuto e zoppo andare alla testa di quella turba a piedi per lo più lieto e allegro, facendo coraggio a tutti, e animandoli a confidare in Dio, e nella B. Vergine. Si alzava la mattina, e diceva la Messa, ascoltandola tutti gli schiavi, e poi si incamminavano tutti, dicendo il rosario ad alta voce, e cantando le litanie".

Giunti nei pressi di Napoli, P. Venti, fece rimettere a tutti le catene, per farli mostrare in quel modo, preceduti dal Crocifisso. Il religioso li condusse al Palazzo del Viceré, ai nobili della capitale, all'Arcivescovado, ai conventi, ai mercanti ed alle persone facoltose. Ogni sera consegnava al turco tutto ciò che aveva ricavato, senza nulla trattenere, nemmeno ciò che gli veniva consegnato da qualche suo vecchio amico o penitente.

Alla fine, dopo diversi giorni di elemosine, privazioni e mortificazioni, P. Venti riuscì a trovare tutta la somma necessaria per la libertà degli schiavi. Terminata positivamente la sua missione, P. Venti tornò a Vasto accompagnato dal turco, il quale, a sua volta, riprese la strada di casa. In ricordo della liberazione degli schiavi, avvenuta nel giorno di S. Teresa, P. Venti appese all'altare dedicata alla Santa, nella chiesa del Carmine, una lunga catena, che il turco gli aveva regalato.

Come abbiamo accennato in precedenza, P. Venti era zoppo a causa di un incidente avvenuto durante la costruzione del nuovo collegio del Carmine. Sceso nelle fondamenta a pregare Dio affinché intercedesse per la realizzazione di un'opera così imponente e dispendiosa, rimase quasi totalmente sepolto a causa di uno smottamento del terreno. Arrivati i soccorritori, temendo che cadesse altra terra, fino a seppellire del tutto il povero religioso, lo tirarono fuori in gran fretta e senza attenzione, causandogli la rottura della gamba, che lo costrinse a letto per circa un anno.
P. Alessandro Pompeo Berti, uomo di vasta cultura, arrivato a Vasto per volontà del Marchese D. Cesare Michelangelo d'Avalos, nel 1724 era vice Rettore dei Chierici Regolari ed aveva la sua camera accanto a quella di P. Venti.

Una sua memoria venne ripresa da P. Erra per il suo volume: "Stava il Padre venti raddoppiando con grand’affanno gli esorcismi sopra una donna, che con le sue stravaganze metteva sotto sopra la nostra chiesa del Vasto, e pareva che vi fosse qualche cosa di diabolico. Ma il Padre Berti mirando dalle gelosie di un Coretto questa battaglia, e persuaso degli strani effetti di alcune malattie donnesche, e di ciò che può fare la loro fantasia; non si sapeva persuadere, che in quella donna fosse veramente lo Spirito Maligno. Sceso poi in Sagrestia, si accostò al caldano, essendo d’inverno, ove capitò anche il Padre Venti, il quale stanco esclamò: Ah ci vuol altro spirito, che il mio per queste funzioni! Hoc genus demoniorum non ejicitur, nisi in oratione et jeiunio. Se la rideva il P. Berti; ciocché osservato dal P. Venti, gli dimandò, perché ridesse? Perché, gli rispose, io credo che non sia indemoniata; orsù, replicò il P. Venti, dia V. R. un precetto segreto. Essendo il P. Venti allora superiore, credette, il P. Berti di dover obbedire, e inchinatosi a terra segnò con la saliva una Croce sul pavimento, comandando segretamente al demonio, che se era in quella femmina, venisse a baciare quella croce. Ciò fatto, l’Energumena, che si trovava ancora in chiesa ginocchioni, si alzò subito, e urlando sbalzò, e passò le due portiere, che stavano alle due porte avanti la sagrestia, e venuta a piè del caldano, baciò quella Croce, con gran meraviglia di tutti i circostanti, e principalmente del Padre Berti, che ha scritto questo successo, e lo contestava a tutti. Mi pare, che questo caso abbia tutte le circostanze, per convincere certe persone, che si pregiano di creder poco, e di essere chiamati Spiriti forti".

P.Venti introdusse l'abitudine, nei giorni festivi, di andare intorno alla cinta muraria vastese per combattere il gioco d'azzardo. "Uscivano quei zelanti religiosi, chi da una porta, e chi da un’altra, accompagnati da alcuni ecclesiastici di conosciuta bontà, e quasi andando a spasso, ove laceravano le carte, ove facevano fuggire i giuocatori, ove si fermavano ad istruirli; ed era tanto il rispetto, che coloro avevano ai nostri Padri, che niuno mai ebbe ardire di rivoltarsi con insolenza a tali Perturbatori del loro divertimento".

Intorno al 1729, P. Alessandro Pompeo Berti, a quel periodo rettore del convento, osservando che i Maestri del collegio vastese uscivano a prendere aria con i loro scolari, pensò di far un'unica compagnia come una missione, dandone la cura a P. Giuseppe Venti. Questi, preso un Crocifisso, lo consegnò ad un sacerdote e lo mise a capo della processione, seguito a due a due da tutti gli scolari più piccoli, che procedevano intonando le litanie alla Madonna, seguiti con lo stesso ordine dagli scolari di filosofia e di morale. A chiudere la processione P. Venti, seguito da decine e decine di secolari, uomini e donne. Dopo il giro per il centro storico, la processione terminava nel piazzale della chiesa del Carmine, non essendo la chiesa stessa capace di accogliere quella moltitudine di fedeli. E "sulla soglia della porta il Padre Venti faceva col suo solito zelo una fervorosa Missione, eccitando tutti a lagrime e compunzione con un atto di Contrizione dei loro peccati; e così con la benedizione del Crocifisso verso le 24 ore si rimandava tutta quella gente alle loro case. Con questa Missione parve, che si movesse una guerra universale ai saltimbanchi, a' ridotti degli oziosi, a' giuocatori, alle bestemmie, agli spergiuri, e sopra tutto agli amoreggiamenti; poiché invece di andare la gioventù agli spassi, alle Vignate, a cicisbeare, si vedevano zitelle accompagnate dalle madri alla Missione, d’onde tornavano a casa più innocenti e più consolate. Né il zelo del Padre Venti si restrinse tra le mura del Vasto; usciva per le vicine terre con gran frutto di quei popoli; né mai finivano quelle missioni senza che egli per mezzo del Sacramento della Penitenza riconciliasse con Dio un buon numero di peccatori".

P. Venti era molto ben visto da D. Ippolita d'Avalos marchesa del Vasto e dalla sua numerosa corte, tanto che le aveva concesso licenza di cercare l'elemosina per suo conto. Lo stesso fece il D. Cesare Michelangelo, anche se egli non gradiva molto le sue visite, poiché assistendo il religioso quasi tutti i moribondi, ogni volta che incontrava il Marchese, "aveva sempre da rappresentargli qualche morte, descrivendola vivamente con fare tutti quei gesti, e con dire tutte quelle parole, che aveva osservate in chi esalava l’anima". Nonostante ciò, quando il Marchese si trovò sul punto di morte nell'agosto del 1729, lo mandò a chiamare, benché non fosse il suo confessore. Non potendo P. Venti camminare velocemente, fu portato a Palazzo a braccia da alcuni servitore. Accostatosi al letto del moribondo disse: "Altezza, eccomi a servirla". "Ma che Altezza", rispose il Marchese, "che Altezza?", e spirò.

Padre Venti era spesso chiamato in casa dei moribondi in quanto aveva ottenuto l'indulgenza plenaria da Clemente XI. Accompagnato dal suo crocifisso, ad ogni chiamata, si recava in casa dell'ammalato. Non di rado faceva uscire tutti dalla camera e restava solo con l'infermo in preghiera finché non fosse spirato. Spesso piangeva, faceva lunghe orazioni o suggeriva atti virtuosi al moribondo, e aspergeva l'acqua benedetta contro il demonio come se lo vedesse con i propri occhi. Francesco del Nero, segretario del Marchese, ed il signor Carlo de Nardis, benefattore dei Chierici Regolari, attestarono di averlo visto con il volto splendente, come si rappresentano i santi, e quando passava per le strade del Vasto, dove era acclamato Apostolo, il popolo s'inginocchiava, come se avesse incontrato un Corpo Santo.

I malanni, l'intensa vita da penitente e le tante fatiche volte all'aiuto del prossimo, gli accelerarono la morte. Il 10 agosto del 1734, dopo aver celebrato la S. Messa, "una puntura spuria lo pose in stato di chiedere e ricevere gli ultimi sacramenti, che gli furono amministrati dal padre Leandro Puccinelli, allora suo superiore e suo confessore. In tal occasione dimandò perdono a tutti, mostrando nello stesso tempo qualche timore della sua eterna salute. E perché taluno per fargli coraggio, gli disse, che aveva fatte molte opere buone: Che opere buone, rispose, che opere buone? Io altro non ho fatto, che storpiare le opere di Dio; protestando, che se guarisse, con altro tenor di vita voleva punire le sue colpe; sentimenti a lui suggeriti dalla sua grande umiltà. Era continuamente visitato dai religiosi e secolari; e queste visite erano sempre compensate da qualche sua istruzioni salutare, e da qualche esempio edificativo. Essendo cresciuta la folla della gente per lo vicino suo passaggio, alli 17 di agosto tra i pianti e gemiti dei suoi confratelli, e dei suoi penitenti, l'anima pura, e ricca di meriti abbandonò il corpo, per andare a ricevere la degna ricompensa delle sue eminenti virtù".

Non si vide mai a Vasto tanto concorso di popolo a baciare le mani e i piedi di un defunto, e così tanti sacerdoti convenuti per celebrare il suffragio di un'anima. Vi fu una famiglia signorile, che intervenne al funerale vestita a lutto, come se fosse morto uno di famiglia. Il Padre Rettore ordinò che venisse realizzato un ritratto di P. Venti. Un sacerdote, mentre era esposto in chiesa, rispettosamente gli apri gli occhi, affinché il pittore potesse ritrarlo nel modo migliore. Fu osservato, con grande meraviglia, che aveva gli occhi rivolti verso il SS.mo Sacramento.

Chiudiamo con le parole scritte da una serva di Dio, consegnato a Padre Puccinelli: "Io tengo per certo, che il P. Venti sia andato subito spirato a godere la Gloria del Paradiso; perché so, quanto ha fatto per Iddio, e quanto ha patito. Nel mio concetto è un martire: Egli conosceva tutto il mio interno, e diverse volte mi ha detto quello, che io teneva nella mia mente. Quando non so come fare nei miei bisogni spirituali e temporali, chiamo lui, e dico, Padre mio, vieni. Le mie dimande non sono mai vane; e vedo miracoli: Oh se potessi dirvi, quanto sò di quel Santo Padre! Le lagrime bagnano la carta. Non tutti hanno conosciuta la sua santità; ma il Padre Alessandro Poggi dice, che quello che sa solo lui, ne può fare un grosso tomo. Voi dite, che le sue Reliquie fanno miracoli. Io lo credo, e per questo già con un’altra mia vi ho dimandata qualche cosa di quel Santo Corpo, volendola tenere ancor io come una Reliquia".

Lino Spadaccini




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