di LINOSPADACCINI
Il 6 novembre 1690, con solenni celebrazioni, alla presenza del marchese Diego D'Avalos e della sua consorte D. Francesca Carafa, i Chierici Regolari della Madre di Dio prendevano possesso della chiesa del Carmine.
In esecuzione del testamento di Felice Maria Orsini Gaetani, duchessa di S. Marco e Gravina, in Italia si dovevano fondare due collegi di Chierici Regolari per l'educazione e l'istruzione dei ragazzi. Nel 1647 venne aperto il primo, quello di S. Maria in Portico a Napoli, mentre per il secondo Diego D'Avalos, marchese del Vasto, si adoperò affinché venisse aperto nella nostra città. Infatti, nonostante la presenza di molti conventi a Vasto, non esisteva una vera e propria struttura che accogliesse i giovani da istruire. Nel luglio del 1688 la Confraternita del Carmine deliberò ricevere nella sua chiesa i Chierici Regolari della Madre di Dio, chiamati anche Padri Lucchesi.
Dopo le prediche quaresimali svolte nell'aprile
dello stesso anno a L'Aquila, Padre Alessandro Poggi, a quel tempo Prefetto dei giovani e Maestro dei Novizi (successivamente diventerà VIII Generale della Congregazione), si portò a Vasto, invitato da D. Diego d'Avalos, con il quale aveva stretto amicizia a Napoli, per fondare un Collegio dei Padri Lucchesi. Il P. Poggi, che era più bravo con le prediche che nella gestione dei soldi, era convinto che sarebbero bastati soltanto 300 ducati annui per la gestione ordinaria della Casa.
I soldi, non molti per la verità, vennero presto trovati,
provenienti dai beni propri del Marchese d'Avalos e dalle entrate
dell'Università del Vasto, ma, a conti fatti, risultarono alquanto
insufficienti, pertanto, vennero aggiunti dal P. Generale Lorenzo Parensi, e
dai padri del convento di Napoli, altri 200 ducati annui presi dal legato della
Duchessa Orsini. Da parte sua, la Confraternita del Carmine, con atto del 7 aprile
1689, cedette la chiesa, la sagrestia, alcune stanze ed una rendita di
cinquanta ducati annui.
Le origini della chiesa risalgono al 1362 quando si chiamava S. Nicola
degli Schiavoni ed era officiata dall’omonima confraternita formata tra le
famiglie slave che all’epoca si trovavano in città. Nel 1638 la vecchia chiesa
venne demolita e se ne costruì una nuova intitolata a Maria SS. del Carmine,
pur mantenendosi una cappella dedicata a S. Nicola. Anche la confraternita cambiò presto nome in quanto quella precedente, per i
mutamenti delle genti slave, ormai "italianizzate", si era da tempo sciolta.
Ultimati i lavori, la solenne cerimonia di presa di possesso
avvenne il 6 novembre 1690. L'anno è desunto dalle notizie fornite da Tommaso
Palma, all'epoca segretario di D. Cesare Michelangelo d'Avalos, nel Compendio Istorico dell'Antichissima Terra
del Vasto, pubblicato a Fermo proprio nel 1690 (Fonte ripresa
successivamente da tutti gli storici locali).
Il Palma nel suo prezioso documento scrisse "…alli 6 novembre del presente anno ne fu preso dalli PP. Sudetti con
solenne pompa il possesso". Mentre nelle Memorie de' Religiosi Insigni della Congregazione della Madre di Dio,
monumentale opera pubblicata da Carlantonio Erra nel 1760, viene indicato il
1689.
"Addobbata la Chiesa con le ricche e superbe tappezzerie e
argenterie del Signor Marchese", si
legge nelle Memorie dell'Erra, "fu esposto il SS.mo Sagramento. Indi
comparvero il Signor Marchese e la Signora Marchesa D. Francesca Carafa in una
muta a sei, seguita da altre carrozze di corteggio, e da due compagnie di
Soldatesche che si squadronarono sulla vicina piazza. Venne nel medesimo tempo
per altra parte Monsignor Rodolovico Arcivescovo di Chieti, che poi fu
Cardinale, accompagnato da D. Cesare figlio del Signor Marchese; e dopo breve
Orazione il Prelato salito al suo Trono prese a discorrere sul Tema: Fundatur exultatione Universae Terrae Mons
Sion; mostrando che poteva
ragionevolmente rallegrarsi alla città del Vasto, e rendere all'Altissimo
immense grazie per lo speciale amore e provvidenza che a lei mostrava, con
mandare a coltivarla nello spirito nuovi operari, che con indefesse fatica, e
caritatevoli industrie l'avrebbero fatta produrre copiosi frutti di Cristiane
virtù. Finito il ragionamento s'intuonò da Monsignore il Te Deum, proseguito dalla miglior musica del luogo, con lo sparo del cannone e
della moschetteria, e il suono di tutte le Campane; e finalmente con la
Benedizione del Venerabile data solennemente dall'Arcivescovo, fu licenziato il
copioso Popolo che era concorso a quella funzione".
Rettore della Casa venne nominato P. Vincenzo Poggi, mentre
suo fratello, P. Alessandro, ricoprì il ruolo di Sacrestano e Procuratore. Le
scuole vennero subito aperte ed a tale scopo la Casa Generale, mandò diversi
sacerdoti per l'insegnamento della grammatica, retorica, filosofia ed altre
materie. Inoltre "s'intrapresero con
molto calore i nostri soliti esercizi di ministrare i SS. Sagramenti, di
predicare, di far la Dottrina Cristina, ed assistere ai moribondi; a' quali si
aggiunse poi l'Esercizio della Divina Grazie con l'esposizione del SS.mo
Sagramento in tutte le Domeniche". P. Alessandro, inoltre, introdusse
ogni venerdì sera un momento di preghiera e meditazione nell'oratorio, molto
seguito dalla gente, dallo stesso Marchese ed anche dal Vescovo, Mons.
Radulovich, quando si trovava a Vasto.
Succeduto dal 1693 al fratello Vincenzo, P. Alessandro
ricoprì la carica di Superiore per i successivi 6 anni. In questo periodo,
passarono a miglior vita prima la Marchesa (1692) e cinque anni dopo Diego
d'Avalos (entrambi vennero sepolti nel convento dei cappuccini di S. Maria
degli Angeli, oggi chiesa di Sant'Anna), generosi benefattori del Chierici
Regolari.
P. Alessandro dovette occuparsi anche del pessimo stato
della chiesa, tanto che fu costretto a chiuderla ed a trasferire il SS.
Sacramento in una piccola cappella. Vennero effettuati lavori urgenti, in
particolare si puntellò la cupola con grandi travi, per una spesa totale di
circa tremila ducati, prelevati dal Legato Orsini. La chiesa venne riaperta
durante il 1697. Inoltre, secondo quando riferisce Carlantonio Erra nelle Memorie, "con l'autorità dell'arcivescovo di Chieti le fu dato il nome della
Madre di Dio, benché dipoi siasi continuata a chiamarla con quello del Carmine".
Ma nonostante le riparazioni effettuate, la chiesa cominciò
a cedere, fino ad essere del tutto demolita per essere ricostruita di sana
pianta nel 1758, sempre utilizzando i fondi del legato Orsini, su disegno e sotto
la direzione dell’architetto napoletano Mario Gioffredo. I lavori vennero
ultimati tre anni più tardi, come è dimostrato dall’iscrizione posta
sull’architrave del portale:
D.O.M. AC DEIP. VIRG. SACR. ERECT. A. D. MDCCCLXI
Facciamo un passo indietro e torniamo al 1701 quando Cesare
Michelangelo d'Avalos si ritrovò protagonista della famosa congiura di Macchia
contro il Re di Spagna Filippo V. Dichiarato ribelle il 13 ottobre, il 29 dello
stesso mese fuggì da Vasto, accompagnato dal medico personale, Francesco
Sabelli, alcuni paggi ed altri servi. L'11 novembre successivo, persone fidate
cominciarono a recuperare i propri
effetti, ma, come riferì il canonico Maciano nelle Cronache, una buona parte rimasero a Palazzo in quanto il giorno
dopo arrivarono i soldati da Chieti. La stessa moglie di Cesare Michelangelo,
Ippolita d'Avalos, accompagnata dalle sue dame, si rifugiò nel convento di S.
Chiara, dove sarebbe rimasta fino al gennaio del 1702.
Durante la latitanza, al Marchese venne sequestrato il
patrimonio, amministrato dal Tesoriere di Chieti e Regi Conduttori; la signoria
di Vasto gli venne tolta e concessa ad Antonio Lante Montefeltro della Rovere.
Il d'Avalos riparò a Roma. Qui ribadì agli ambasciatori di
Francia e Spagna di essere stato calunniato e associato alla congiura in
maniera del tutto ingiustificata. I due ambasciatori gli suggerirono allora di
recarsi in Spagna, oppure a Napoli e discolparsi. Nel frattempo arrivò la
notizia della condanna a morte in contumacia del Marchese da parte del governo
napoletano (18 marzo 1702).
Padre Erra nelle Memorie,
riferisce di una congiura ordita alle spalle del d'Avalos, dal cardinale
Janson, che aveva pagato uno schiavo del Marchese per ucciderlo. Scoperta la
congiura, nel convento romano dei Chierici Regolari, comparve il seguente
cartello "In S. Maria in Campitelli
si espone il SS.mo Sacramento per ringraziare Iddio della scoperta congiura
contro il Marchese del Vasto". Come autore del cartello venne
sospettato Padre Poggi, amico del Marchese, e non fu affatto semplice
dimostrare la propria innocenza.
Con la confisca dei beni del d'Avalos, anche i Padri
Lucchesi si ritrovarono senza rendite, non riuscendo così a garantire un numero
sufficiente di religiosi. Più volte venne chiesta la soppressione del Collegio.
Nel 1705 la Congregazione Generale rimise la causa al Padre Generale, P.
Giovanni Bernardini, affinché ne
mettesse ai voti dei Rettori delle Case la soppressione. P. Bernardini, in
seguito ad una supplica presentata alla sagra Congregazione dei Vescovi e
Regolari, per avere facoltà di intervenire sulla soppressione, l'ottenne, anche
con il voto favorevole dell'Arcivescovo di Chieti. Convocata l'assemblea per il
19 febbraio 1906, a maggioranza venne decretata la soppressione della sede
vastese e l'allontanamento dei quattro religiosi rimasti, ovvero P. Giacomo
Feniù, P. Francesco Franchi, fr. Vincenzo Martini e fr. Antonio Palombo.
Prima della partenza i due sacerdoti, per ordine del Padre
Generale, riconsegnarono al Vescovo la chiesa ed il convento, chiedendo
l'autorizzazione a portar via quante più cose avessero potuto, per reintegrare
almeno in parte il legato Orsini. "Quando i Vastesi videro, che si mandavano a Napoli le robe permesse da
Monsignore", si legge nelle Memorie dell'Erra, "cominciarono a credere ciocché non avevano
mai voluto credere, cioè che i Padri da vero volessero partire; e per
trattenerli ricorsero al Nunzio, ottenendone l'inibizione tanto personale
quanto reale. Ma assistito il P. Generale dalla Congregazione dei Vescovi e
Regolari, comandò ai Nostri, che senza dilazione partissero subito, come
fecero; avendo consegnata la Chiesa e la Casa a chi aveva ordinato Monsignor
Arcivescovo. I vantaggi che aveva riportato il Vasto dai Nostri nel corso di 17
anni, che ivi erano dimorati, furono cagione, che quei Cittadini facessero
altre diligenze, per impedire la loro partenza. Quindi il Governator Civile
della Città pregò a grande istanza i Padri a fermarsi, finché ne avesse
informato il Sig. Duca d'Ansò Doria, che allora era Padrone del Vasto. Ma il P.
Feniù lo quietò con buone parole, dicendo, che non avrebbero mancato di
giustificare presso Sua Eccellenza la propria condotta. Anche alla Porta della
Città trovarono qualche intoppo per parte del Comandante della Milizia; ma poi
ebbero libero il passo, e giunsero a Napoli alli 21 Maggio dell'anno medesimo
1706".
Il canonico Maciani, testimone
dell'epoca, in data 17 maggio, annotò quanto stava accadendo: "Ad hora 16 metre li PP. Se ne volevano
uscire dalla Porta del Castello per andarsene via, la guardia gli si fece
incontro, con dire che loro havevano ordine dal Capitano, che no facesse uscire
Padri dal Carmine, a questo li detti risposero che loro no potevano trattenere
Regolari sotto pena di scomunica, in questo mentre si fece ambasciata al
Capitano, e in sentire la scomunica, non ritardò di farli uscire". A
questo punto l'Università insieme al Priore della Confraternita del Carmine, si
preoccupò di trovare un sacerdote per celebrare le sante messe.
Con la partenza dei Padri Lucchesi, le
scuole rimasero chiuse fino al giugno del 1709, quando il Mastrogiurato Pietro
Ruzzi le riaprì assumendo il maestro Giovanni Antonio Perrone, calabrese.
Riacquistata la signoria del Vasto,
Cesare Michelangelo si adoperò per far tornare i Chierici Regolari. Il P.
Generale spedì a Vasto P. Gian Lorenzo Poggi per curare le pratiche: il
Marchese s'impegnò a ricostruire a sue spese la "Fabbrica", mentre l'Università ai 120 ducati annui che pagava
in precedenza, aggiunse altri 60 ducati annui. Ma leggiamo direttamente dalle Memorie di P. Erra il trattamento
riservato da Cesare Michelangelo d'Avalos a P. Poggi: "…primieramente gl'inviò due lettighe fino
all'Aquila, con ordine a’ suoi Governatori ed Erarj, che per tutti i suoi stati
lo servissero e lo trattassero a sue spese. Lo fece poi incontrare da tre mute
a sei, e ricevere nella Città sotto lo sparo del cannone con il suono di tutte
le campane. Premessi a portare i regali sedici Muli carichi di grascie e
comestibili, l'ultimo de’ quali era caricato di un mattone di cioccolata che
pesava circa 100 libre; venne poi il Marchese a visitarlo. Per questo
ricevimento così magnifico il P. Poggi scrisse alla Nipote: «Il Diavolo ha
fatto quanto mai ha potuto per tentarmi di vanagloria; avendomi trattato sua
Altezza, come se io fossi un'altra Altezza sua pari. Ma grazie a Dio, tutto ciò
non ha fatto altro che stancarmi, e se n'è sparito, come fanno tutte le cose di
questo Mondo»".
Per gli atti notarili, come procuratore
dei Padri Lucchesi venne nominato P. Giuseppe de Rubeis, nativo di Vasto.
Concluse le pratiche, il 13 aprile 1717 finalmente si riaprì sia il collegio
che il convento, dove fu assegnato come rettore P. Lelio Saminiati.
I Padri Lucchesi rimasero a Vasto fino
al 1807, quando con apposito decreto di Gioacchino Murat vennero soppressi gli
ordini religiosi del Regno di Napoli. L'anno successivo la chiesa ed il
collegio vennero concessi in piena proprietà al Comune di Vasto. Tra gli altri
ordini soppressi a Vasto, ci fu anche quello dei domenicani, con conseguente
confisca di tutti i beni incamerati dal regio demanio e la proprietà della
chiesa di S. Domenico (oggi di S. Filomena) passata proprio ai Chierici della
Madre di Dio, che avevano sede a Napoli nella chiesa di S. Maria in Portico. I
Padri Lucchesi non mostrarono alcun interesse sulla chiesa vastese, tanto che
cadde nel più misero abbandono, ridotto quasi allo stato di rudere.
Solo una ventina d'anni dopo venne fatta una cessione gratuita in
favore del barone Giuseppantonio Rulli, dopo che era fallita una precedente
transazione in favore del Comune di Vasto, che rifiutò per non farsi carico di
un aggravio troppo oneroso per la sistemazione della chiesa. Ma nella delibera
del 27 ottobre 1833, dove in pratica il comune rinunciava alla chiesa di S.
Domenico, sono riportate alcune notizie interessanti proprio sui Chierici
Regolari e sul loro ritorno a Vasto. "Rapporto
poi alla ristallazione del Collegio de' Padri della Madre di Dio in questo
Comune",
si legge nella delibera, "osserva,
che la pretenzione manifestata dal Superiore P. Runica, è non solo smodata, ma
contraria a' fatti. Ed a quest'oggetto bisogna rammentare al detto Superiore
che nel 1819, con verbale di possesso dell'Amministrazione del Patrimonio
Regolare di Chieti, furono assegnati al detto Collegio di S. Maria in Portico
diversi beni appartenenti a soppressi monasteri, siti in Vasto, Atessa, e
Casalanguida, dietro ordini della Suprema Commissione mista residente in
Napoli, con l'obbligo de' Padri del ripetuto Collegio, di mantenere una Grancia
in Vasto. Il rifiuto quindi de' Padri medesimi ad aprire qui una Casa, è
contrario del tutto al patto stipulato. Nel 1822 per disposizione della stessa
Suprema Commissione furono assegnati altri beni al ripetuto Collegio appartenuti
una volta al Convento de' P.P. Agostiniani in Vasto…Con giusto reddito, e con
l'assegnamento annuale di ducati 360.00, che il Comune di Vasto era solito di
pagare allo stesso Collegio per la obbligazione d'istruire la gioventù vastese
agli studi, può la medesima Casa religiosa molto bene reggersi a governarsi. Ora
il Decurionato per facilitare la condiscendenza de' Padri medesimi propone di
accrescersi l'antico assegnamento per la istruzione della gioventù fino a
ducati 500 all'anno". In realtà i Chierici Regolari non tornarono mai
a Vasto.
Tra le persone, degne di nota, che istruirono le giovani
menti vastesi nelle lettere, nella filosofia e
nella grammatica, si ricordano P. Alessandro Betti, storico patrio di
vasta cultura, e P. Vincenzo
Gaetani, maestro di filosofia di Gabriele Rossetti, Luigi Barbarotta e tanti
altri illustri personaggi. Ma diversi sono anche i sacerdoti che hanno lasciato
un profondo segno nella vita religiosa della nostra città. E tra questi non
possono mancare P. Giuseppe de Rubeis, vastese, e P. Giuseppe Venti, su cui
torneremo in altra occasione.
Lino Spadaccini
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