venerdì 6 novembre 2015

La complicata storia del Carmine tra D'Avalos, Padri Lucchesi, Confraternita e Università

Nel 1690 fu avviato un collegio dei Padri Lucchesi per l'istruzione dei giovani

di LINOSPADACCINI 

Il 6 novembre 1690, con solenni celebrazioni, alla presenza del marchese Diego D'Avalos e della sua consorte D. Francesca Carafa, i Chierici Regolari della Madre di Dio prendevano possesso della chiesa del Carmine.
In esecuzione del testamento di Felice Maria Orsini Gaetani, duchessa di S. Marco e Gravina, in Italia si dovevano fondare due collegi di Chierici Regolari per l'educazione e l'istruzione dei ragazzi. Nel 1647 venne aperto il primo, quello di S. Maria in Portico a Napoli, mentre per il secondo Diego D'Avalos, marchese del Vasto, si adoperò affinché venisse aperto nella nostra città. Infatti, nonostante la presenza di molti conventi a Vasto, non esisteva una vera e propria struttura che accogliesse i giovani da istruire. Nel luglio del 1688 la Confraternita del Carmine deliberò ricevere nella sua chiesa i Chierici Regolari della Madre di Dio, chiamati anche Padri Lucchesi.
Dopo le prediche quaresimali svolte nell'aprile
dello stesso anno a L'Aquila, Padre Alessandro Poggi, a quel tempo Prefetto dei giovani e Maestro dei Novizi (successivamente diventerà VIII Generale della Congregazione), si portò a Vasto, invitato da D. Diego d'Avalos, con il quale aveva stretto amicizia a Napoli, per fondare un Collegio dei Padri Lucchesi. Il P. Poggi, che era più bravo con le prediche che nella gestione dei soldi, era convinto che sarebbero bastati soltanto 300 ducati annui per la gestione ordinaria della Casa.
I soldi, non molti per la verità, vennero presto trovati, provenienti dai beni propri del Marchese d'Avalos e dalle entrate dell'Università del Vasto, ma, a conti fatti, risultarono alquanto insufficienti, pertanto, vennero aggiunti dal P. Generale Lorenzo Parensi, e dai padri del convento di Napoli, altri 200 ducati annui presi dal legato della Duchessa Orsini. Da parte sua, la Confraternita del Carmine, con atto del 7 aprile 1689, cedette la chiesa, la sagrestia, alcune stanze ed una rendita di cinquanta ducati annui.

Le origini della chiesa risalgono al 1362 quando si chiamava S. Nicola degli Schiavoni ed era officiata dall’omonima confraternita formata tra le famiglie slave che all’epoca si trovavano in città. Nel 1638 la vecchia chiesa venne demolita e se ne costruì una nuova intitolata a Maria SS. del Carmine, pur mantenendosi una cappella dedicata a S. Nicola. Anche la confraternita cambiò presto nome in quanto quella precedente, per i mutamenti delle genti slave, ormai "italianizzate", si era da tempo sciolta.
Ultimati i lavori, la solenne cerimonia di presa di possesso avvenne il 6 novembre 1690. L'anno è desunto dalle notizie fornite da Tommaso Palma, all'epoca segretario di D. Cesare Michelangelo d'Avalos, nel Compendio Istorico dell'Antichissima Terra del Vasto, pubblicato a Fermo proprio nel 1690 (Fonte ripresa successivamente da tutti gli storici locali).  Il Palma nel suo prezioso documento scrisse "…alli 6 novembre del presente anno ne fu preso dalli PP. Sudetti con solenne pompa il possesso". Mentre nelle Memorie de' Religiosi Insigni della Congregazione della Madre di Dio, monumentale opera pubblicata da Carlantonio Erra nel 1760, viene indicato il 1689.


"Addobbata la Chiesa con le ricche e superbe tappezzerie e argenterie del Signor Marchese", si legge nelle Memorie dell'Erra, "fu esposto il SS.mo Sagramento. Indi comparvero il Signor Marchese e la Signora Marchesa D. Francesca Carafa in una muta a sei, seguita da altre carrozze di corteggio, e da due compagnie di Soldatesche che si squadronarono sulla vicina piazza. Venne nel medesimo tempo per altra parte Monsignor Rodolovico Arcivescovo di Chieti, che poi fu Cardinale, accompagnato da D. Cesare figlio del Signor Marchese; e dopo breve Orazione il Prelato salito al suo Trono prese a discorrere sul Tema: Fundatur exultatione Universae Terrae Mons Sion; mostrando che poteva ragionevolmente rallegrarsi alla città del Vasto, e rendere all'Altissimo immense grazie per lo speciale amore e provvidenza che a lei mostrava, con mandare a coltivarla nello spirito nuovi operari, che con indefesse fatica, e caritatevoli industrie l'avrebbero fatta produrre copiosi frutti di Cristiane virtù. Finito il ragionamento s'intuonò da Monsignore il Te Deum, proseguito dalla miglior musica del luogo, con lo sparo del cannone e della moschetteria, e il suono di tutte le Campane; e finalmente con la Benedizione del Venerabile data solennemente dall'Arcivescovo, fu licenziato il copioso Popolo che era concorso a quella funzione".

Rettore della Casa venne nominato P. Vincenzo Poggi, mentre suo fratello, P. Alessandro, ricoprì il ruolo di Sacrestano e Procuratore. Le scuole vennero subito aperte ed a tale scopo la Casa Generale, mandò diversi sacerdoti per l'insegnamento della grammatica, retorica, filosofia ed altre materie. Inoltre "s'intrapresero con molto calore i nostri soliti esercizi di ministrare i SS. Sagramenti, di predicare, di far la Dottrina Cristina, ed assistere ai moribondi; a' quali si aggiunse poi l'Esercizio della Divina Grazie con l'esposizione del SS.mo Sagramento in tutte le Domeniche". P. Alessandro, inoltre, introdusse ogni venerdì sera un momento di preghiera e meditazione nell'oratorio, molto seguito dalla gente, dallo stesso Marchese ed anche dal Vescovo, Mons. Radulovich, quando si trovava a Vasto.

Succeduto dal 1693 al fratello Vincenzo, P. Alessandro ricoprì la carica di Superiore per i successivi 6 anni. In questo periodo, passarono a miglior vita prima la Marchesa (1692) e cinque anni dopo Diego d'Avalos (entrambi vennero sepolti nel convento dei cappuccini di S. Maria degli Angeli, oggi chiesa di Sant'Anna), generosi benefattori del Chierici Regolari.
P. Alessandro dovette occuparsi anche del pessimo stato della chiesa, tanto che fu costretto a chiuderla ed a trasferire il SS. Sacramento in una piccola cappella. Vennero effettuati lavori urgenti, in particolare si puntellò la cupola con grandi travi, per una spesa totale di circa tremila ducati, prelevati dal Legato Orsini. La chiesa venne riaperta durante il 1697. Inoltre, secondo quando riferisce Carlantonio Erra nelle Memorie, "con l'autorità dell'arcivescovo di Chieti le fu dato il nome della Madre di Dio, benché dipoi siasi continuata a chiamarla con quello del Carmine".

Ma nonostante le riparazioni effettuate, la chiesa cominciò a cedere, fino ad essere del tutto demolita per essere ricostruita di sana pianta nel 1758, sempre utilizzando i fondi del legato Orsini, su disegno e sotto la direzione dell’architetto napoletano Mario Gioffredo. I lavori vennero ultimati tre anni più tardi, come è dimostrato dall’iscrizione posta sull’architrave del portale:
D.O.M. AC DEIP. VIRG. SACR. ERECT. A. D. MDCCCLXI

Facciamo un passo indietro e torniamo al 1701 quando Cesare Michelangelo d'Avalos si ritrovò protagonista della famosa congiura di Macchia contro il Re di Spagna Filippo V. Dichiarato ribelle il 13 ottobre, il 29 dello stesso mese fuggì da Vasto, accompagnato dal medico personale, Francesco Sabelli, alcuni paggi ed altri servi. L'11 novembre successivo, persone fidate cominciarono  a recuperare i propri effetti, ma, come riferì il canonico Maciano nelle Cronache, una buona parte rimasero a Palazzo in quanto il giorno dopo arrivarono i soldati da Chieti. La stessa moglie di Cesare Michelangelo, Ippolita d'Avalos, accompagnata dalle sue dame, si rifugiò nel convento di S. Chiara, dove sarebbe rimasta fino al gennaio del 1702.
Durante la latitanza, al Marchese venne sequestrato il patrimonio, amministrato dal Tesoriere di Chieti e Regi Conduttori; la signoria di Vasto gli venne tolta e concessa ad Antonio Lante Montefeltro della Rovere.
Il d'Avalos riparò a Roma. Qui ribadì agli ambasciatori di Francia e Spagna di essere stato calunniato e associato alla congiura in maniera del tutto ingiustificata. I due ambasciatori gli suggerirono allora di recarsi in Spagna, oppure a Napoli e discolparsi. Nel frattempo arrivò la notizia della condanna a morte in contumacia del Marchese da parte del governo napoletano (18 marzo 1702).

Padre Erra nelle Memorie, riferisce di una congiura ordita alle spalle del d'Avalos, dal cardinale Janson, che aveva pagato uno schiavo del Marchese per ucciderlo. Scoperta la congiura, nel convento romano dei Chierici Regolari, comparve il seguente cartello "In S. Maria in Campitelli si espone il SS.mo Sacramento per ringraziare Iddio della scoperta congiura contro il Marchese del Vasto". Come autore del cartello venne sospettato Padre Poggi, amico del Marchese, e non fu affatto semplice dimostrare la propria innocenza.
Con la confisca dei beni del d'Avalos, anche i Padri Lucchesi si ritrovarono senza rendite, non riuscendo così a garantire un numero sufficiente di religiosi. Più volte venne chiesta la soppressione del Collegio. Nel 1705 la Congregazione Generale rimise la causa al Padre Generale, P. Giovanni Bernardini, affinché  ne mettesse ai voti dei Rettori delle Case la soppressione. P. Bernardini, in seguito ad una supplica presentata alla sagra Congregazione dei Vescovi e Regolari, per avere facoltà di intervenire sulla soppressione, l'ottenne, anche con il voto favorevole dell'Arcivescovo di Chieti. Convocata l'assemblea per il 19 febbraio 1906, a maggioranza venne decretata la soppressione della sede vastese e l'allontanamento dei quattro religiosi rimasti, ovvero P. Giacomo Feniù, P. Francesco Franchi, fr. Vincenzo Martini e fr. Antonio Palombo.

Prima della partenza i due sacerdoti, per ordine del Padre Generale, riconsegnarono al Vescovo la chiesa ed il convento, chiedendo l'autorizzazione a portar via quante più cose avessero potuto, per reintegrare almeno in parte il legato Orsini. "Quando i Vastesi videro, che si mandavano a Napoli le robe permesse da Monsignore", si legge nelle Memorie dell'Erra, "cominciarono a credere ciocché non avevano mai voluto credere, cioè che i Padri da vero volessero partire; e per trattenerli ricorsero al Nunzio, ottenendone l'inibizione tanto personale quanto reale. Ma assistito il P. Generale dalla Congregazione dei Vescovi e Regolari, comandò ai Nostri, che senza dilazione partissero subito, come fecero; avendo consegnata la Chiesa e la Casa a chi aveva ordinato Monsignor Arcivescovo. I vantaggi che aveva riportato il Vasto dai Nostri nel corso di 17 anni, che ivi erano dimorati, furono cagione, che quei Cittadini facessero altre diligenze, per impedire la loro partenza. Quindi il Governator Civile della Città pregò a grande istanza i Padri a fermarsi, finché ne avesse informato il Sig. Duca d'Ansò Doria, che allora era Padrone del Vasto. Ma il P. Feniù lo quietò con buone parole, dicendo, che non avrebbero mancato di giustificare presso Sua Eccellenza la propria condotta. Anche alla Porta della Città trovarono qualche intoppo per parte del Comandante della Milizia; ma poi ebbero libero il passo, e giunsero a Napoli alli 21 Maggio dell'anno medesimo 1706".
Il canonico Maciani, testimone dell'epoca, in data 17 maggio, annotò quanto stava accadendo: "Ad hora 16 metre li PP. Se ne volevano uscire dalla Porta del Castello per andarsene via, la guardia gli si fece incontro, con dire che loro havevano ordine dal Capitano, che no facesse uscire Padri dal Carmine, a questo li detti risposero che loro no potevano trattenere Regolari sotto pena di scomunica, in questo mentre si fece ambasciata al Capitano, e in sentire la scomunica, non ritardò di farli uscire". A questo punto l'Università insieme al Priore della Confraternita del Carmine, si preoccupò di trovare un sacerdote per celebrare le sante messe.

Con la partenza dei Padri Lucchesi, le scuole rimasero chiuse fino al giugno del 1709, quando il Mastrogiurato Pietro Ruzzi le riaprì assumendo il maestro Giovanni Antonio Perrone, calabrese.
Riacquistata la signoria del Vasto, Cesare Michelangelo si adoperò per far tornare i Chierici Regolari. Il P. Generale spedì a Vasto P. Gian Lorenzo Poggi per curare le pratiche: il Marchese s'impegnò a ricostruire a sue spese la "Fabbrica", mentre l'Università ai 120 ducati annui che pagava in precedenza, aggiunse altri 60 ducati annui. Ma leggiamo direttamente dalle Memorie di P. Erra il trattamento riservato da Cesare Michelangelo d'Avalos a P. Poggi: "…primieramente gl'inviò due lettighe fino all'Aquila, con ordine a’ suoi Governatori ed Erarj, che per tutti i suoi stati lo servissero e lo trattassero a sue spese. Lo fece poi incontrare da tre mute a sei, e ricevere nella Città sotto lo sparo del cannone con il suono di tutte le campane. Premessi a portare i regali sedici Muli carichi di grascie e comestibili, l'ultimo de’ quali era caricato di un mattone di cioccolata che pesava circa 100 libre; venne poi il Marchese a visitarlo. Per questo ricevimento così magnifico il P. Poggi scrisse alla Nipote: «Il Diavolo ha fatto quanto mai ha potuto per tentarmi di vanagloria; avendomi trattato sua Altezza, come se io fossi un'altra Altezza sua pari. Ma grazie a Dio, tutto ciò non ha fatto altro che stancarmi, e se n'è sparito, come fanno tutte le cose di questo Mondo»".
Per gli atti notarili, come procuratore dei Padri Lucchesi venne nominato P. Giuseppe de Rubeis, nativo di Vasto. Concluse le pratiche, il 13 aprile 1717 finalmente si riaprì sia il collegio che il convento, dove fu assegnato come rettore P. Lelio Saminiati.
I Padri Lucchesi rimasero a Vasto fino al 1807, quando con apposito decreto di Gioacchino Murat vennero soppressi gli ordini religiosi del Regno di Napoli. L'anno successivo la chiesa ed il collegio vennero concessi in piena proprietà al Comune di Vasto. Tra gli altri ordini soppressi a Vasto, ci fu anche quello dei domenicani, con conseguente confisca di tutti i beni incamerati dal regio demanio e la proprietà della chiesa di S. Domenico (oggi di S. Filomena) passata proprio ai Chierici della Madre di Dio, che avevano sede a Napoli nella chiesa di S. Maria in Portico. I Padri Lucchesi non mostrarono alcun interesse sulla chiesa vastese, tanto che cadde nel più misero abbandono, ridotto quasi allo stato di rudere.

Solo una ventina d'anni dopo venne fatta una cessione gratuita in favore del barone Giuseppantonio Rulli, dopo che era fallita una precedente transazione in favore del Comune di Vasto, che rifiutò per non farsi carico di un aggravio troppo oneroso per la sistemazione della chiesa. Ma nella delibera del 27 ottobre 1833, dove in pratica il comune rinunciava alla chiesa di S. Domenico, sono riportate alcune notizie interessanti proprio sui Chierici Regolari e sul loro ritorno a Vasto. "Rapporto poi alla ristallazione del Collegio de' Padri della Madre di Dio in questo Comune", si legge nella delibera, "osserva, che la pretenzione manifestata dal Superiore P. Runica, è non solo smodata, ma contraria a' fatti. Ed a quest'oggetto bisogna rammentare al detto Superiore che nel 1819, con verbale di possesso dell'Amministrazione del Patrimonio Regolare di Chieti, furono assegnati al detto Collegio di S. Maria in Portico diversi beni appartenenti a soppressi monasteri, siti in Vasto, Atessa, e Casalanguida, dietro ordini della Suprema Commissione mista residente in Napoli, con l'obbligo de' Padri del ripetuto Collegio, di mantenere una Grancia in Vasto. Il rifiuto quindi de' Padri medesimi ad aprire qui una Casa, è contrario del tutto al patto stipulato. Nel 1822 per disposizione della stessa Suprema Commissione furono assegnati altri beni al ripetuto Collegio appartenuti una volta al Convento de' P.P. Agostiniani in Vasto…Con giusto reddito, e con l'assegnamento annuale di ducati 360.00, che il Comune di Vasto era solito di pagare allo stesso Collegio per la obbligazione d'istruire la gioventù vastese agli studi, può la medesima Casa religiosa molto bene reggersi a governarsi. Ora il Decurionato per facilitare la condiscendenza de' Padri medesimi propone di accrescersi l'antico assegnamento per la istruzione della gioventù fino a ducati 500 all'anno". In realtà i Chierici Regolari non tornarono mai a Vasto.

Tra le persone, degne di nota, che istruirono le giovani menti vastesi nelle lettere, nella filosofia e  nella grammatica, si ricordano P. Alessandro Betti, storico patrio di vasta cultura, e P. Vincenzo Gaetani, maestro di filosofia di Gabriele Rossetti, Luigi Barbarotta e tanti altri illustri personaggi. Ma diversi sono anche i sacerdoti che hanno lasciato un profondo segno nella vita religiosa della nostra città. E tra questi non possono mancare P. Giuseppe de Rubeis, vastese, e P. Giuseppe Venti, su cui torneremo in altra occasione.


Lino Spadaccini






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