Don Salvatore Pepe (archivio Jubatti) |
di Lino Spadaccini
Cent'anni
fa, il 3 giugno 1915, nasceva a Vasto don Salvatore Pepe, indimenticabile
figura di sacerdote, uomo di profonda cultura umanistica e di grande
spiritualità.
In
occasione della sua morte Mons. Loris Cavovilla, in una lettera indirizzata a
don Stellerino D’Anniballe, scrisse: "Adesso
che ha chiuso gli occhi, molti lo apriranno e vedranno che egli è stato un
grande prete. Auspico che la comunità ecclesiale e civile di Vasto lo onori
quanto merita". Ma con il passare del tempo, piuttosto che riscoprire
i personaggi e farne apprezzare le loro opere meritorie svolte in vita, si
tende a farli cadere nel
40 rare foto storiche >>>
dimenticatoio, complici le nuove generazioni sempre più distratte e poco riconoscenti verso i propri concittadini.
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dimenticatoio, complici le nuove generazioni sempre più distratte e poco riconoscenti verso i propri concittadini.
Don
Salvatore Pepe è nato a Vasto il 3 giugno 1915, da Domenico e Rosa Fragoletta.
Da piccolo cominciò a frequentare la parrocchia di San Pietro e proprio lì
maturò la vocazione del sacerdozio. Entrato in seminario, sotto l'ala
protettrice di don Romeo Rucci, superò con slancio i duri studi e la rigida
disciplina imposti don Andrea La Verghetta, prima Vice Rettore e dal 1937
Rettore del Seminario diocesano.
Ordinato
sacerdote il 9 ottobre del 1938, per imposizione delle mani di Mons. Giuseppe
Venturi,
la
settimana successiva, il 16 ottobre, durante la Prima Messa Solenne celebrata a
Vasto nella chiesa di S. Pietro, don Nicola Tartaglia, spiegò a don Salvatore ed
ai presenti il significato del sacerdozio. "Ogni sacerdote", affermò il sacerdote casalese (il brano è
stato pubblicato nella Pasqua del 2007 sul periodico IMMI, curato dalla
parrocchia del SS. Salvatore di Casalbordino), "è l’Agnello di Dio, Vittima cioè e Sacerdote con Cristo, perché ogni
Sacerdote è Gesù Cristo: Sacerdos alter Christus. Il Sacerdote è l’eletto di
Dio, il prediletto, scelto e prescelto fra migliaia di uomini, per essere come
Gesù, mediatore ufficiale fra l’umanità e Dio, rappresentante di Dio sulla
terra. Tu es Sacerdos. Creatura privilegiata, dunque, su cui si posò in modo
tutto speciale lo sguardo benigno del Padre, nel quale grandi cose ha operato
la Sua misericordia. Sacerdote! Essere quasi divino e distributore dei doni di
Dio".
Nominato
parroco di Monteferrante, già nel 1941 tornò a Vasto come vice parroco di San
Pietro e cappellano dell'ospedale civile, dove fu sempre vicino ai sofferenti e
agli ammalati, soprattutto nel dicembre del 1943, quando affluirono a Vasto
numerosi feriti provenienti da Ortona, dove si stava combattendo una sanguinosa
battaglia dentro la città.
In
parrocchia fu assistente della Gioventù maschile di Azione Cattolica, formata
da un gran numero di giovani, seguiti e formati da don Salvatore alla vita di
buoni scristiani e ferventi apostoli.
Grande
conoscitore delle Sacre Scritture, don Salvatore era dotato di qualità oratorie
straordinarie, grazie al linguaggio semplice e immediato che entrava
immediatamente nel cuore delle persone, senza stancarli, anzi, come ricordava
Osvaldo Santoro in un articolo del 1997, "li lasciava sempre con un po' di voglia di ascoltarlo ancora".
Indimenticabili
sono rimasti i suoi sermoni pronunciati a Bologna nel 1948, in occasione della
Predicazione Quaresimale nella Basilica di San Petronio, ed ancora a Genova,
Gubbio, Pesaro, Ortona, Londra e Roma, nella chiesa di Sant'Andrea della Valle,
per l'ottavario per l'Unità dei Cristiani.
Questo
è quanto si leggeva negli anni '50 sul periodico Histonium di Espedito Ferrara, dopo la sua sesta predicazione a
Gubbio: "Nella terra francescana il
nostro oratore è passato di plauso in plauso, di ammirazione in ammirazione per
la bellezza della sua predicazione fatta non solo di lirismo come espressione
di ascensione spirituale in più spirabil aere, ma anche di attualità sociale
come interpretazione ed applicazione delle grandi verità". Per le
predicazioni quaresimali del 1953 a Genova, sullo stesso giornale si leggeva:
"I vari argomenti da lui toccati
sono svolti con rara intelligenza, con finezza e profondità di pensiero. Egli
sa andare diritto al cuore, sa penetrare in ogni coscienza con la fermezza di
chi deve ammonire, con la dolcezza di un padre, che bene consiglia". Ed
ancora, come scriveva Ugo Talamazzi, sempre per le predicazioni nel capoluogo
ligure: "Egli espone con chiarezza,
con grazia, con soavità, e quando si accalora i pensieri tumultuano, si
susseguono con ritmo accelerato: la sua parola è una melodia che fa ricordare i
delicati ricami musicali di Wolf Ferrari, e che dà all'idea di una
configurazione esatta e quadrata, quasi corporea… La sua è una esaltazione
fiammeggiante di Gesù, è una esaltazione delle civiche virtù, ed additando la
luminosa via maestra sferza l'opulenza o male accumulata oppure aggiogata
all'avarizia, gli opportunisti, i voltafaccia, i doppisti, coloro che non
concepiscono il dovere se non come sfruttamento del prossimo, chi nulla fa per
sollevare la miseria, per porgere aiuto ai bisognosi, per lenire le sofferenze,
per risolvere insomma, quei problemi vitali che assillano e tormentano la vita
quotidiana".
Lo
stesso Mons. Capovilla, vescovo nella nostra arcidiocesi dal 1967 al 1971, alla
vigilia del Giubileo Sacerdotale, nell'ottobre del 1988, ricordava le qualità
del sacerdote vastese: "Oltre alla
fede, che in voi è roccia, il Signore vi ha fatto tre doni particolari:
intelligenza vivida, facile eloquio, disponibilità ad amare e a servire. Li
avete profusi a larghe mani. La provvidenza vi ha anche concesso l'usbergo e la
tenerezza di familiari timbrati come voi dalla tradizione antica: gente proba,
severa, concreta. Non avete seguito né le mode ricorrenti e cangianti, né le
suggestioni retoriche. Avete sempre chiamato le persone, gli eventi e le cose
col loro nome, senza confusionismi, senza fumosi sentimentalismi".
Oltre ad essere stato un ottimo insegnante nelle scuole superiori, ruolo che ha ricoperto per oltre quarant’anni, meritando il conferimento della medaglia d'oro del Ministero della Pubblica Istruzione, per onore al merito scolastico, don Salvatore è stato anche apprezzato conferenziere, saggista, critico e giornalista. Di lui si ricordano interessanti e illuminati saggi a partire dal primo intervento sul santuario dei Miracoli, pubblicato sull'Histonium del 9 giugno 1948, diversi articoli apparsi sul periodico Vasto Domani, tra cui ricordiamo quello sul passionista vastese Padre Filippo Fanti, ed ancora altri pubblicati sul mensile La Città, diretto da Pino Jubatti, sulle figure di don Romeo Rucci e don Felice Piccirilli, sul Natale, sui carcerati, sulla Festa della mamma, ed altri interessanti argomenti.
Egli
stesso profondo poeta e anche amante e divulgatore della parlata dialettale
vastese, ha curato la prefazione di diversi volumi: da Ariette Pajsane di Aniello Polsi, a Dicémele a la nostre di Giuseppe Perrozzi, da Vele e fantasmi di Renato Terpolilli a Canti del Cuore di Ezio Pepe.
Di
lui si ricorda l'amicizia con Pino Jubatti, e della trasmissione curata su
Radio Vasto, con al centro la parlatura
pajesane. Come ha sottolineato lo stesso Jubatti nel volume Don Salvatore Pepe un uomo ferito dalla
Bellezza, curato nel 2007 da Paolo Calvano, si trattava di "Dialogo a voci alterne, ma sempre in
consonanza con la lenga uastaréule, che fungeva da filo conduttore soprattutto
per i molti ascoltatori non istoniofoni: infatti riuscimmo attraverso l'etere,
a diffondere lezioni del nostro inimitabile dialetto, partendo dalla sua
difficoltosa fonetica ed ottenendo l'incondizionato plauso pure da parte di un
accorsatissimo pubblico non vastese!".
Straordinario
l'intervento curato in occasione del decennale della morte del poeta Giuseppe
Perrozzi, tenuto presso l'Istituto delle Figlie della Croce nell'Aprile del
1983, definito da Pino Jubatti "un
capolavoro unico", perché "spazia
dalla critica letteraria alla riflessione estetica, dall'apprezzamento formale
al solido valore dei contenuti, perfino ad introspezioni di inusitata temperie
filosofica". L'intera trascrizione è stata pubblicata sul prezioso
volume pubblicato da Paolo Calvano nel 2007. Sempre nello stesso volume, sono
raccolte una serie di poesie dialettali e in lingua, scritte soprattutto
nell'immediato dopoguerra, tra le quali abbiamo scelto "Lu joche dell'asene", riferito
all'antico gioco dell'asinìcce, che
viene praticato durante il periodo natalizio:
Tu chi t'infastedisce a
iucà 'll'asse,
e po' nin ti' fi specie
a famme fesse,
pecchè, pe' tté, la vite
è gne nu scasse,
e cchiù j' l'allonghe e
tu cchiù me vi' ppresse.
Pecché nen mitte mo' le
carte 'n terre,
e fì sapé che joche
cchiù te piace:
quelle che cchiù s'aapre
e cchiù se serre,
o l'addre che se fa'
sempr' a la pace?
Le carte cacche vodde a
me m'aiute,
e me fa fa' pure bella
figure,
ma a ccagnà joche, tu
m'arebberrute,
na mosse… e m'aredi' na
fricature.
E j', lu fortunate e lu
'mbrujone,
ne' joche, e t'aja dà
nghe ùne conde
la quìnece, la vinde e
lu parione…
sacce vu' pure l'asene
pe' jonde?
Tra
le pubblicazioni ricordiamo L'Ecce Agnus
Dei di Filippo Palizzi, secondo volumetto della collana dei Quaderni del
Club Amici di Vasto (1979), I Promessi
Sposi Romanzo della Provvidenza (Cannarsa, 1989), Un canto alla Madonna (Cannarsa, 1995) e Medaglioni e occasioni, articoli sparsi di varia religiosità, a
cura di Pino Jubatti (Cannarsa, 1996).
Contratto
il morbo di Parkinson, ed in seguito alla rottura di un femore, si spense
serenamente dopo tanta sofferenza, all'età di 82 anni, a Bucchianico, presso le
suore di San Camillo De Lellis.
Appresa
la notizia da don Stellerino D'Anniballe, Mons. Loris Capovilla, inviò un lungo
messaggio rivolto ai fedeli. "…Posso
dirlo senza perifrasi. Eravamo amici, avevamo in comune pregi e difetti", ricordava
Mons. Capovilla, " Non mi costa
nulla ammettere che intellettualmente egli mi sovrastava. I nostri colloqui di
persona, o telefonici, o epistolari erano vivaci. Dacché ci volevamo bene non
era necessario alcun appiattimento protocollare… Alla notizia della sua morte,
ho pianto l'Amico. Mi ha preso un senso di disagio. Mi sono rimproverato di non
essere sceso per lui in Abruzzo, a dirgli la mia stima, la riconoscenza,
l'affetto". Ed ancora: "Don
Salvatore aveva l'intelligenza speculativa e pratica, parola appropriata,
immagini incantevoli, dovizia di citazioni. Era colto. Era buono. La sua
polemica svelava l'ansia di un cuore puro. In questi anni più recenti della sua
collocazione a Bucchianico gli scrivevo, ma lui ormai non teneva più in mano la
penna. Ne ha sofferto, sentendomi privato di una conversazione che tanto bene
ha recato al mio animo nel corso di 25 anni".
Tutto
il clero della diocesi di Chieti-Vasto rese omaggio a don Salvatore Pepe alla
celebrazione funebre svoltasi nella chiesa di
Sant'Antonio di Padova, presieduta dall'Arcivescovo Mons. Edoardo Menichelli il
quale, durante l'omelia, ebbe a ricordare che il suo "testamento di fede e ricordare sempre le sue parole che avevano la
forza della convinzione".
E chiudiamo questo breve ricordo con
un sonetto
dialettale, scritto dall’amico Espedito Ferrara:
Don Zalvatàure ha détte: - Me despiàce
A mmà 'mmuré... - Don Zalvato' despiàce
A ttitte... Ha despiaciute a Ggesù Cruèste:
Ha 'vute pure hàsse st'ora trèste.
Ma cand'é bbèlle a jèrce 'n zanda pàce,
Senza rembrange, me, ccusce, gna piace
A Ddè, na vodde che le séme vèste
Sta tèrre, e nen ze ne po' fà n'acquèste.
Va mäle, cèrte, a cchi ce s'é 'ttaccate
Gné na sanguàtte... Embéh, l'ha da lassà
La rrobbe e le quatrèine ch'ha 'ssummuàte.
Ggesù, cchiuttòste mitteme a na vànne,
N'de ne scurduà, addo' se po' vedà
Nu ccone de lu Huàste a ll'addre mànne.
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