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di GIUSEPPE CATANIA
“Fra le molte deliziose contrade del nostro tenimento c'è quella che a causa di un gigantesco vecchio fico oggi abbattuto, e di una ricca sorgente di acqua fredda e limpida, è chiamata da tempo immemorabile Fonte
del fico, e volgarmente Fonte della ficora”, così scrive Luigi Marchesani nella sua Storia di Vasto (p. 160 nuova edizione a cura di Gabriella Izzi).
Della contrada Fonte Fico si hanno, peraltro, altri riscontri negli insediamenti delle famiglie che anticamente abitarono in quella località, sin dal tempo della civiltà osco-etrusca e poi romana. Ed anche dai resti di Fonte del Fico che affiorarono a seguito di alcune frane verificatesi nel XVIII secolo.
Il Marchesani ne fa una descrizione molto dettagliata. “La floridezza delle piante, i ruderi non spregevoli donano al luogo una vaghezza maestosa. La fonte è dominata da un'ampia spianata che confinando a sud-ovest con la pianura di S. Pietro Linari, è ondulata negli altri lati, declinando dolcemente verso sud-est nel valloncello di Linari, verso nord in quello della Fonte, e verso sud-est nella confluenza dei due valloncelli ricchi di acqua perenne. Certamente i Bucani bevevano a questa fonte, la cui robusta struttura venne alla luce per una frana avvenuta sul finire del secolo passato. La grossa polla, che oggi scaturisce ai piedi del trilatero burrone tagliato a picco, un tempo scaturiva nella parte alta di esso, come dimostrano l'apertura di una grande doccia ed i canali di piombo rinvenuti vicino la sorgente”.
E lo storico continua su ogni piccolo dettaglio: “Un perimetro di fondamenta e di muri crollati circonda le tre facce del burrone. La muraglia meridionale con la base è divisa in due parti a causa del crollo di una grossa parte; la parte occidentale offre degli avanzi marmorei a forma quadrata, che danno l'idea di ornamenti di fontana; il lato settentrionale, il più lungo, facendo angolo, s'infossa nel terreno per il suo lato orientale: solo questo lato ha una struttura reticolata. Le parti a noi visibili erano la facciata dell'edificio: di fatto, un solaio molto massiccio composto di calce e di pietruzze, e dello spessore di 6 once, che ha inizio dalle pareti, s'infossa orizzontalmente nella terra coperta di canne e mescolata a frammenti di antichi mattonacci, di tegoli, e d'intonaci, sorreggendo la massa fangosa spessa più di otto palmi. Il solaio, staccato dal pancone inferiore di sabbia ben compatta, è sostenuto da tegoloni quadrati di terra cotta, ciascun dei quali misura lateralmente due palmi e un quarto: i tegoloni sono puntellati da pilastrini a fabbrica quadrati, alti due palmi, larghi nove once, e disposti a filari sia per lungo che per traverso; pertanto lo sguardo spazia molto al di sotto del solaio; infatti ci si può infilare una pertica lunga venti palmi. Applicati ai bordi del solaio molti doccioni parallelepipedi di terra cotta, alti due palmi, contigui, e con un largo foro nelle facce di contatto, forse creavano una comunicazione tra il vano sottostante il solaio e le mura dell'edificio, mentre il combaciarsi dei fori la creava tra un doccione e gli altri due che lo fiancheggiavano. La patina di fumo in un angolo del solaio, e la somiglianza con le stufe di Pompei, fanno pensare al concittadino architetto Nicola Maria Pietrocola che questo edificio si usò come luogo termale; ma poiché non c'è memoria di acque termali nel nostro territorio, probabilmente questo impianto fu artificiale”.
La descrizione dello storico incuriosisce ancora di più quando parla di altri ruderi confermando che si è in presenza di un vero e proprio complesso termale.
“Partendo da qui e salendo verso la collina in direzione nord-est, dopo un breve cammino s'incontrano, a fior di terra, vari ruderi di solidissima costruzione, disgiunti e disposti in una linea retta alquanto lunga: si può ben dire che si tratti di fondamenta di templi rurali o di villette campestri”, scrive il Marchesani.
“Feci scavare e portare in superficie il primo di questi ruderi: si tratta di una vasca realizzata con mattonelle tenacemente incollate fra loro, priva di smaltitoio, di forma parallelepipeda, intonacata, poco profonda, lunga e larga tanto che due grossi uomini vi si possono sdraiare comodamente; la lunga parete meridionale forma il diametro di un basamento semicircolare di duro conglomerato simile a roccia, rivestito con piastrelle formanti un reticolo: pochi pezzettini di vetri colorati e bianchi sono usciti dal terreno sgretolato, di cui era colma la vasca.”
Non è improbabile quindi che a Fonte del Fico sorgesse un complesso termale alimentato dalla dovizia delle acque affioranti dal terreno, testimoniato dai ruderi del tempo del Marchesani e che una più accurata campagna di scavi potrebbe portare oggi alla luce. La ricerca di testimonianze del passato consentirebbe ai cultori e agli appassionati delle cose patrie di poter riscrivere la storia delle antiche civiltà che fiorirono nel nostro territorio, agevolati anche dalla lettura con maggiore precisione del libro delle “antiche pietre”.
GIUSEPPE CATANIA
1 commento:
Grazie, grande giornalista CATANIA, attento ricercatore della storia histoniense, oggi detta vastese.
La felice ipotesi, da lei avanzata, se si dimostra fondata, aggiungerebbe un bel tassello alla invidiabile Storia della Città.
Infatti, per la posizione strategica la nostra Vasto è stata, ed è, una sorta di miniera, delle antichità italiche, romane e medioevali; né mancano le cosiddette emergenze dei secoli scorsi, es. Cinque, Sei e Settecento, purtroppo anche queste spesso cadute in abbandono, o già diventate autentici ruderi.
Le istituzioni, gli appassionati ammiratori della storia e i nostri giovani intellettuali si facciano carico del prezioso patrimonio culturale di Vasto, facendo ricerca, tutela e creando movimenti culturali, anche sull'esempio degli illustri Figli di Vasto del passato.
Ancora complimenti, e un forte grazie.
prof mugoni
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