lunedì 9 marzo 2015

Personaggi: Giuseppe Antonio Canaccio giurista e letterato vastese

Mastrogiurato dal 1561 al 1567 fu molto amato dai vastesi: quando fu eletto per la seconda volta, “i cittadini gli fecero, onore particolarissimo, poiché egli dalla sua casa alla Sala del Consiglio, e di ritorno a quella, fu corteggiato da scampanio e da sparo, mentre sventolavano dalle finestre gli arazzi”.

 di Lino Spadaccini

Una delle strade del centro storico, quella che da via Giulia collega largo De Litiis, parallela a via Vittorio Veneto, è denominata via Canaccio, in memoria del giurista e letterato vastese Giuseppe Antonio Canaccio (o Canacci), nato a Vasto nel 1509.
Dopo i primi studi compiuti nella città natale, il Canacci si trasferì a Padova dove intraprese gli studi giuridici
fino al conseguimento della laurea. Oltre che valente nella sua professione, si dilettò in lettere e storia e scrisse anche memorie di storia vastese, purtroppo non arrivate a noi, ma di cui si servì Nicola Alfonso Viti per le sue Memorie Storiche.
Le poesie giovanili, scritte durante il periodo padovano, vennero riunite in un volumetto manoscritto di 166 pagine, donato dallo storico Benedetto Maria Betti alla famiglia Tiberi. Il Betti così giudicò i versi del letterato vastese: “castigato nel gusto; ma non è vivo ne’ pensieri, e manca un po’ nell’armonia. Le sue sestine però son buone, e parmi che sieno la miglior cosa di lui in fatto di Poesia”.
Sicuramente il Canaccio diede alle stampe sei sonetti, come riferisce Girolamo Ruscelli nel suo Rimario (1559): “Ed io ho sei bellissimi Sonetti così che l’un segue l’altro, fatti nuovamente dal Dottor Giuseppe Antonio Canaceo in lode della divina Signora Donna Giovanna d’Aragona”.
Il Pacichelli lo definì “uomo erudito”, Giovanni Palma nel suo Compendio storico del Vasto, di lui scrisse “uomo sommamente dilettante di belle lettere”, e lo stesso Ruscelli lo chiamò “Gentiluomo” e anche “Giovine di bellissime Lettere, e di molto raro ingegno”.
Il Canaccio fu credenziere del nostro Porto nel 1561 ed occupò anche la carica di Mastrogiurato nel 1561 e nel 1567. Come ricorda lo storico Luigi Marchesani, quando prese possesso dell’importante carica per la seconda volta, “i cittadini gli fecero, per quanto ne sembra, onore particolarissimo, poiché egli dalla sua casa alla Sala del Consiglio, e di ritorno a quella, fu corteggiato da scampanio e da sparo, mentre sventolavano dalle finestre gli arazzi”.
Fra Serafino Razzi, priore nel convento dell’Annunziata a Portanuova, dal 1576 al 1578, nel suo manoscritto “Viaggio in Abruzzo”, ci ha lasciato un sonetto del nostro concittadino, composto dopo aver letto il Rosario scritto in ottava rima dal Razzi, mentre era priore a Penne, e dopo aver ascoltato alcune prediche dei padri domenicani. Questo il testo:

Spirito ardente, che ne infirmi i cuori
Co l’infocate tue parole sante,
faccendone sprezzare il mondo errante
e bramar sol gli alti superni chori

Con versi di celesti rose, e fiori
Tessi ghirlande sì diverse, e tante
Alla madre di Dio, Vergine amante,
Per cui vengono a noi tanti favori.

Segui eletto di Dio l’alto lavoro
Cibando noi di tue mirabil opre,
Col spiarne la via che al ciel conduce.

Del rio nimico ogni pensier si scopre
Co’ la tua scorta o fido amato duce
Ch’io col cor e co’ la penna honoro.

Un riferimento importante nella vita del Canaccio è stata l’amicizia con il noto letterato del tempo Girolamo Ruscelli. Al nostro concittadino, il letterato viterbese affidò le bozze da correggere di un suo lavoro in attesa  di stampa. “Questi mesi a dietro”, scrisse il Ruscelli, “mentre questo libro si veniva stampando, io havendomene fatti dar quei fogli che eran fatti, gli mandai al Vasto al Dottor Canaceo perché vedesse di farli capitare in mano al Signor Rinaldo, che allora si trovava in Regno e gli facesse intendere che li rivedesse per riconoscervi gli errori più importanti che le stampe vi havesser fatti, per notarne poi la correttione nel fine”.
Oltre ai commenti favorevoli riportati in varie pubblicazioni, il Ruscelli inserì e commentò nel suo “Le Imprese illustri del S. Ieronimo Ruscelli” (1566) due “imprese” inviategli dal letterato vastese: il Leone imbrigliato e il Monte Etna.
Le imprese sono delle figure allegoriche accompagnate da un motto. Interessante è anche la libera interpretazione che ne viene data dai vari studiosi, in quanto ognuno attribuisce il suo significato.
La prima impresa del Canaccio rappresenta un leone col freno alla bocca ed una mano che ne tiene le redini, con il motto DIES ET INGENIVM, tratto dalla quarta Elegia del primo libro di Catullo. Il significato che se ne ricava riguarda la sfera amorosa, in pratica ammonisce la donna, ch’egli spera col tempo e con l’ingegno di costringerla ad amarlo, mentre in senso morale è di avvertimento verso gli altri che egli si sente in grado di dominare col tempo e con lo studio le difficoltà. Il Ruscelli, a conclusione della spiegazione del motto, scrive: “Ma essendo l’Autor di questa Impresa, Dottor di Leggi, & huomo di molto valore, tutto impiegato in maneggi onorati, & avendo mostrato sempre molta vivacità d’ingegno, & molti lumi d’altezza d’animo, potrebbe forse più convenevolmente dirsi, che s’avesse fabricata questa Impresa, ben con intentione, che esteriormente possa valerli in soggetto amoroso con la sua Donna, ò con chi altri gli sia in grado, ma anche poi più adentro possa servirli in generale ad augurarsi, & ancor promettere a se & ad altri, che, sì come col tempo, & con l’ingegno, un animo risoluto, può & sa condurre a fine sì faticosa, & pericolosa impresa di domare & frenare un’animale sì fecore, & spaventevole, com’è il Leone, così egli speri con la molta & continua diligenza & operation sua, di condurre a fine ogni suo degno & onorato pensiero in qual si voglia gran cosa, per difficilissima, & quasi impossibile, che ella fosse”.
La seconda impresa del Canaccio raffigura il Monte Etna pieno di fiamme ardenti con il motto EGO SEMPER. Il Ruscelli ipotizza la sua realizzazione fatta in gioventù, sia per la presenza del fuoco che per il testo del motto, in quanto è chiaro il riferimento al corpo e alla passione che arde. “Onde l’Impresa ne vien certamente ad esser bellissima”, scrive il Ruscelli, “Oltre che potrebbe ancor misteriosamente prendersi in sogetto morale, ò spirituale, prendendo il fuoco, ò l’ardere per la virtù, & per la gratia di Dio”.
Lo storico vastese de Benedictis, nelle sue memorie storiche, cita e assicura l’esistenza di un’altra impresa realizzata dal Canaccio, “ov’è il tempio di Giunone Lucina”, riferita ad Alfonso d’Avalos, ma questa non viene riportata dal Ruscelli nella sua raccolta e, ad oggi, non se ne ha traccia.

Lino Spadaccini























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