Mastrogiurato dal 1561 al 1567 fu molto amato dai vastesi: quando fu eletto per la seconda volta, “i cittadini gli fecero, onore particolarissimo, poiché egli dalla sua casa alla Sala del Consiglio, e di ritorno a quella, fu corteggiato da scampanio e da sparo, mentre sventolavano dalle finestre gli arazzi”.
di Lino Spadaccini
di Lino Spadaccini
Una
delle strade del centro storico, quella che da via Giulia collega largo De
Litiis, parallela a via Vittorio Veneto, è denominata via Canaccio, in memoria
del giurista e letterato vastese Giuseppe Antonio Canaccio (o Canacci), nato a
Vasto nel 1509.
Dopo
i primi studi compiuti nella città natale, il Canacci si trasferì a Padova dove
intraprese gli studi giuridici
fino al conseguimento della laurea. Oltre che valente
nella sua professione, si dilettò in lettere e storia e
scrisse anche memorie di storia vastese, purtroppo non arrivate a noi, ma di
cui si servì Nicola Alfonso Viti per le sue Memorie
Storiche.
Le
poesie giovanili, scritte durante il periodo padovano, vennero riunite in un
volumetto manoscritto di 166 pagine, donato dallo storico Benedetto Maria Betti
alla famiglia Tiberi. Il Betti così giudicò i versi del letterato vastese: “castigato nel gusto; ma non è vivo ne’ pensieri,
e manca un po’ nell’armonia. Le sue sestine però son buone, e parmi che sieno
la miglior cosa di lui in fatto di Poesia”.
Sicuramente
il Canaccio diede alle stampe sei sonetti, come riferisce Girolamo Ruscelli nel
suo Rimario (1559): “Ed io ho sei bellissimi Sonetti così che
l’un segue l’altro, fatti nuovamente dal Dottor Giuseppe Antonio Canaceo in
lode della divina Signora Donna Giovanna d’Aragona”.
Il
Pacichelli lo definì “uomo erudito”,
Giovanni Palma nel suo Compendio storico
del Vasto, di lui scrisse “uomo
sommamente dilettante di belle lettere”, e lo stesso Ruscelli lo chiamò “Gentiluomo” e anche “Giovine di bellissime Lettere, e di molto
raro ingegno”.
Il
Canaccio fu credenziere del nostro Porto nel 1561 ed occupò anche la carica di
Mastrogiurato nel 1561 e nel 1567. Come ricorda lo storico Luigi Marchesani, quando
prese possesso dell’importante carica per la seconda volta, “i cittadini gli fecero, per quanto ne sembra,
onore particolarissimo, poiché egli dalla sua casa alla Sala del Consiglio, e
di ritorno a quella, fu corteggiato da scampanio e da sparo, mentre
sventolavano dalle finestre gli arazzi”.
Fra
Serafino Razzi, priore nel convento dell’Annunziata a Portanuova, dal 1576 al
1578, nel suo manoscritto “Viaggio in
Abruzzo”, ci ha lasciato un sonetto del nostro concittadino, composto dopo
aver letto il Rosario scritto in
ottava rima dal Razzi, mentre era priore a Penne, e dopo aver ascoltato alcune
prediche dei padri domenicani. Questo il testo:
Spirito ardente, che ne
infirmi i cuori
Co l’infocate tue parole
sante,
faccendone sprezzare il
mondo errante
e bramar sol gli alti
superni chori
Con versi di celesti
rose, e fiori
Tessi ghirlande sì
diverse, e tante
Alla madre di Dio,
Vergine amante,
Per cui vengono a noi
tanti favori.
Segui eletto di Dio
l’alto lavoro
Cibando noi di tue
mirabil opre,
Col spiarne la via che
al ciel conduce.
Del rio nimico ogni
pensier si scopre
Co’ la tua scorta o fido
amato duce
Ch’io col cor e co’ la
penna honoro.
Un
riferimento importante nella vita del Canaccio è stata l’amicizia con il noto
letterato del tempo Girolamo Ruscelli. Al nostro concittadino, il letterato
viterbese affidò le bozze da correggere di un suo lavoro in attesa di stampa. “Questi mesi a dietro”, scrisse il Ruscelli, “mentre questo libro si veniva stampando, io havendomene fatti dar
quei fogli che eran fatti, gli mandai al Vasto al Dottor Canaceo perché vedesse
di farli capitare in mano al Signor Rinaldo, che allora si trovava in Regno e
gli facesse intendere che li rivedesse per riconoscervi gli errori più
importanti che le stampe vi havesser fatti, per notarne poi la correttione nel
fine”.
Oltre
ai commenti favorevoli riportati in varie pubblicazioni, il Ruscelli inserì e
commentò nel suo “Le Imprese illustri del
S. Ieronimo Ruscelli” (1566) due “imprese” inviategli dal letterato
vastese: il Leone imbrigliato e il Monte Etna.
Le
imprese sono delle figure allegoriche accompagnate da un motto. Interessante è
anche la libera interpretazione che ne viene data dai vari studiosi, in quanto
ognuno attribuisce il suo significato.
La
prima impresa del Canaccio rappresenta un leone col freno alla bocca ed una
mano che ne tiene le redini, con il motto DIES ET INGENIVM, tratto dalla quarta
Elegia del primo libro di Catullo. Il significato che se ne ricava riguarda la
sfera amorosa, in pratica ammonisce la donna, ch’egli spera col tempo e con
l’ingegno di costringerla ad amarlo, mentre in senso morale è di avvertimento
verso gli altri che egli si sente in grado di dominare col tempo e con lo
studio le difficoltà. Il Ruscelli, a conclusione della spiegazione del motto,
scrive: “Ma essendo l’Autor di questa
Impresa, Dottor di Leggi, & huomo di molto valore, tutto impiegato in
maneggi onorati, & avendo mostrato sempre molta vivacità d’ingegno, &
molti lumi d’altezza d’animo, potrebbe forse più convenevolmente dirsi, che s’avesse
fabricata questa Impresa, ben con intentione, che esteriormente possa valerli
in soggetto amoroso con la sua Donna, ò con chi altri gli sia in grado, ma
anche poi più adentro possa servirli in generale ad augurarsi, & ancor
promettere a se & ad altri, che, sì come col tempo, & con l’ingegno, un
animo risoluto, può & sa condurre a fine sì faticosa, & pericolosa
impresa di domare & frenare un’animale sì fecore, & spaventevole, com’è
il Leone, così egli speri con la molta & continua diligenza & operation
sua, di condurre a fine ogni suo degno & onorato pensiero in qual si voglia
gran cosa, per difficilissima, & quasi impossibile, che ella fosse”.
La
seconda impresa del Canaccio raffigura il Monte Etna pieno di fiamme ardenti
con il motto EGO SEMPER. Il Ruscelli ipotizza la sua realizzazione fatta in
gioventù, sia per la presenza del fuoco che per il testo del motto, in quanto è
chiaro il riferimento al corpo e alla passione che arde. “Onde l’Impresa ne vien certamente ad esser bellissima”, scrive il Ruscelli,
“Oltre che potrebbe ancor misteriosamente
prendersi in sogetto morale, ò spirituale, prendendo il fuoco, ò l’ardere per
la virtù, & per la gratia di Dio”.
Lo
storico vastese de Benedictis, nelle sue memorie storiche, cita e assicura
l’esistenza di un’altra impresa realizzata dal Canaccio, “ov’è il tempio di Giunone Lucina”, riferita ad Alfonso d’Avalos, ma
questa non viene riportata dal Ruscelli nella sua raccolta e, ad oggi, non se
ne ha traccia.
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