venerdì 24 giugno 2022

Guerre puniche, 217 a. C., Annibale conquista Gerione e trucida i suoi abitanti

di GIUSEPPE CATANIA

L'origine della città di Gerione (vicino Casacalenda) si perde nella memoria dei secoli e si fa risalire alle genti illiriche all'epoca della invasione della penisola italica.
Il nome di Gerione potrebbe avere relazione con il mito di Gerione, re dell'Epiro, vinto da Ercole in una delle sue 12 fatiche. Gigante con tre teste, figlio di Crisaore e di Calliore, in origine divinità infernale, venne ucciso da Ercole che gli rubò le giovenche.

Nei tempi antichi le popolazioni illiriche si stabilirono sull'opposta sponda adriatica fondandovi delle città, tra cui Gerione, Larino. La radice «Lar» del capoluogo dei Frentani Larino, trova rispondenza in Larine nell'Epiro, o Larina, nella Tessaglia.

Gerione esisteva come città fortificata, tra Colle di Cese ed 
il fiume Cigno, sopra una radura nel tratto per Larino- Casacalenda, a 4 miglia circa dal Tiferno, ed era compresa fra le antiche città e fortezze dei Frentani, nel massimo splendore al tempo della seconda guerra punica. 
Restano oggi, fra ammassi di ruderi, pezzi di colonne, fondamenta di sontuosi edifici, pavimenti musivi, acquedotti a testimonianza dello splendore di Gerione i cui abitanti furono travolti dalle tormentate vicende della guerra tra romani e cartaginesi.

La città fu resa memorabile nelle storie romane narrate da
Polibio e Tito Livio, e celebrata come baluardo opposto alle orde guidate da Annibale durante l'invasione dell'agro Larinate nel 217 a. C., qui approdate dopo aver saputo che Gerione stava immagazzinando grano per le necessità dell'inverno. Riuscite vane le blandizie per accattivarsi la simpatia degli abitanti che avevano giurato fedeltà a Roma, Annibale la cinse di assedio. Dopo pochi giorni, avendola espugnata, tagliò a pezzi gli abitanti, distruggendo le case, ad eccezione di alcune necessarie per immagazzinarvi le provviste e preservando le fortificazioni per la difesa. Fece anche costruire dei Fossati e degli steccati attorno a Gerione e spedì parte dell'esercito a raccogliere frumento, sorvegliando i suoi uomini, pronto ad intervenire ad ogni minaccia da parte dell'esercito dei romani al comando di Fabio Massimo accampato a due miglia di distanza, sopra il monte.

Gerione fu testimone dello scontro fra i romani guidati da Minucio, perché Fabio era tornato a Roma, ed i Numidi. Il console romano, a differenza di Fabio, anziché tagliare le vie di comunicazione e impedire i rifornimenti ai cartaginesi, decise di dare battaglia, prima del rientro di Fabio Massimo. Pose l'accampamento alla destra del fiume Cigno, sopra Colle Calela, nei pressi di Montorio, ma Annibale, intuendo le sue mosse, mandò un terzo del suo esercito nelle pianure e con il restante si appostò a due miglia da Gerione, sulle alture della Guerenza. Durante la notte fece accampare 2.000 soldati astati sulla collina di Cese, presso poggio Cavalcabove. I romani ebbero ragione dell'esiguo numero dei cartaginesi e conquistarono l'altura. Ma un'altra battaglia si svolse nella conca fra il Cigno e il Ricàvolo e, sul contrattacco delle milizie di Annibale i romani rischiarono di essere travolti se in loro aiuto non occorreva prontamente il nobile di Bojano, Numerio Decimo, giunto alle loro spalle dei nemici con 8.000 fanti e 500 cavalieri. Annibale preferì rientrare a Gerione dove aveva lasciato i rifornimenti ed il grosso delle salamerie, ma durante la notte, eludendo la vigilanza predisposta dal console Minucio, fece nascondere nelle caverne del Ricavolo ed in quelle del Cigno, cinquemila armati, distraendo il nemico col fare accampare un piccolo drappello nel poggio di Cavalbove. I romani, impegnati a far sloggiare i cartaginesi dal poggio, vengono assaltati dagli armati che sbucano dal nascondiglio e rischiano di essere travolti, quando accorre Fabio Massimo accampato sul Piano delle Forche. Riesce a riordinare le fila ed avere il sopravvento sui cartaginesi che riparano a Gerione. La guerra venne continuata dai consoli Cemino Servilio e Marco Attilio, e, successivamente da Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo, con comando a giorni alterni. Annibale, intanto, cercava di ingannare l'esercito romano, profittando della discordia dei consoli, nascondendo fanti e cavalieri sui monti e lasciando libero il campo nella vallata, sperando di assalire alle spalle i nemici quando sarebbero venuti per attaccare l'accampamento lasciato incustodito. Il prefetto M. Statilio, riferì dell'abbandono dei Cartaginesi, ma il console Paolo convinceva Varrone di trattenere l'esercito pronto a marciare dopo aver interrogato l’auspicio contrario dei «polli sacri». Difatti due soldati annunziarono l'imboscata tesa al nemico. Senza possibilità di rifornire il suo esercito, Annibale decise di abbandonare il campo durante la notte, lasciando alcune tende e numerose fiaccole accese per dare l'apparenza della sua presenza, e ritardare l'inseguimento dei romani.

Fu così che Annibale lasciava Gerione dopo avervi trascorso un inverno, la primavera e parte dell'estate.

La città venne rifabbricata negli anni successivi, ma subì il destino delle distruzioni conseguenti alla guerra di Roma ed al tramonto dell'antica civiltà frentana. Testimonianza di Gerione si ha in una lapide rinvenuta fra i ruderi della città, dell'epoca imperiale in cui si fa menzione di un monumento che «Voltia Tertullia, madre e Prisca Aula, Pomponio Amando, Auso Voltio, e Prisco Auso zio, posero a Q. Cesio, infelice loro figlio». «D.M.S. Q. Caesio pa... pris ca aula... ei... pompo nius amandus aus voltius priscus aus. ne poti pientissimo voltia ter tullia ter tullia filio in felices fecerunt».

Della restaurazione di Gerione si fa riferimento in uno strumento di donazione nel 1172 a favore del Monastero di San Giovanni in Venere dei beni posseduti da Jacopo de Roffrido e in una bolla di Papa Lucio III del 1° marzo 1181 e di un'altra di Papa Innocenze IV del 15 settembre 1254, custodita nella Cattedrale di Larino.

Giuseppe Catania  

SCAVI DI GERIONE 2003: il presidente dell’Archeoclub di Termoli Oscar De Lena ex dipendente SIV con alcuni soci e il prof. Lorenzo Quilici responsabile degli scavi di Gerione








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