martedì 30 dicembre 2014

Luigi Murolo sulle tracce storiche della Novena Vastese

Ringraziamo il prof. Luigi Murolo per questa preziosa indagine storica sulle origini  ottocentesche della Novena di Vasto  

Di un ricordo della Novena di Natale
di Luigi Murolo

Ho visto con interesse in un blog locale il documentario sugli uffici liturgici prenatalizi. E per quanto io sia oggi lontano, incomparabilmente lontano da quel mondo (qui l’infanzia non c’entra. La distanza è ideologica), continuo a rimanere sentimentalmente legato ai grandi rituali ecclesiastici preconciliari. La mia memoria
si spinge con nostalgia verso lo scomparso universo petronio degli anni Cinquanta, cui aggiungo – unica eccezione – la grande funzione mariana del 31 dicembre. Poi, sopraggiunta la finis mundi, rimaneva solo un pugno di ricordi dal quale non mi sono mai voluto distaccare. Più che da krónos, l’ho sempre vissuto come kairós. Per una ragione: questo «tempo interiore», questo «tempo della soggettività», mi ha sempre accompagnato nei miei piccoli passi. Bergson, forse? Magari Proust? Niente di tutto ciò. I seminari universitari di filosofia medievale diretti e guidati da Franco Alessio mi avevano fatto carezzare dal vivo non solo le carte della Patrologia latina di Migne, ma, all ’interno della stessa, quel medesimo passo delle Confessioni di Agostino (XI, 37, 12) che testualmente recita: «In te, inquam, tempora metior. Affectionem, quam res praetereuntes in te faciunt et, cum illae praeterierint, manet, ipsam metior praesentem, non e
a quae praeterierunt, ut fieret; ipsam metior, cum tempora metior» (vol. XXXII, coll. 823-824). Il che vuol dire (utilizzo la traduzione di Carlo Carena): «È in te [spirito mio], lo ripeto, che misuro il tempo. L’impressione che le cose producono in te al loro passaggio e che perdura dopo il loro passaggio, è quanto io misuro, presente, e non già le cose che passano, per produrla; è quanto misuro, allorché misuro il tempo».
Certo, tenendo conto di quello straordinario avvertimento appreso a vent’anni, conservo ancora intatto il peso di quelle levatacce alla prima ora canonica (corrispondenti alle h. 06,00 del vecchio orologio meccanico) per ascoltare con nonna Lucia, nella scomparsa chiesa di S. Pietro, le novene del Natale condotte da don Romeo e, qualche volta, da don Michele. E, quasi non bastasse, in una sorta di magico sogno, ho ancora in mente tutta la multitudo fidelium che disponeva di quel rosso libro delle ore titolato La Manna del cielo (Vasto, Tip. Guzzetti, 1922) pubblicato dalla Congrega del SS. Sacramento. In quel testo (una tradizione mai interrotta, la mia, quella di sfogliarlo ogni 24 dicembre a sera soffermandomi sulle pagine del Te Deum) era racchiuso l’ufficio del Natale che, prima il capitolo arcipretale e poi diocesano (dal 1853), aveva raccolto per la celebrazione del rito. Così, nella chiesa perduta, dalla XVII alla IX kal. Januarii tenendo conto del calendario cristiano delle origini (cioè, dal 16 al 24 dicembre) seguivo  quasi tutte le mattine (il sonno si faceva sentire) le funzioni che mi avrebbero poi condotto – il 24 – a scrivere (guidato amorevolmente da Mamma) le letterine (da porre sotto il piatto) per Papà.
Ma qual era stata la fonte di questo apparato adottato dalla chiesa vastese dell’Ottocento? Chi era stato l’autore dei passi in lingua purista dedicati al «vezzoso Bambino»? La domanda sembrava restare senza risposta. Come cercare l’ago in un pagliaio tra gli innumerevoli libri di devozione che, negli anni Settanta del Novecento, si trovavano a poche lire nelle bancarelle milanesi della cosiddetta «Fiera di Senigallia». Ero un frequentatore abituale con il mio amico bibliofilo Lauro Grassi. Alla scoperta di cose stranissime. Ecco che, all’improvviso, nel chiosco di un bouquiniste, l’occhio si era volto verso una copertina che mi era familiare, molto familiare. Cavoli! Mi son detto: anche qui c’è una copia de La Manna del Cielo. Incuriosito, ho preso il libro rendendomi subito conto che non era quello che conoscevo. Un testo di cui non avevo mai sentito parlare: Luigi Bartolomucci, Apparecchio spirituale alla nascita di Nostro Signore Gesù Cristo contiene le Sacre Novene e gli Uffizi del Santo Natale, Napoli, Tip. All’insegna dell’Ancora, 1842, in-8°, pp. 356 (in realtà, uffizi era scritto con la z raddoppiata). L’ho subito comprato. E che cosa ho scoperto facendo a casa i debiti confronti? Che quest’ultimo era stato la base – in qualche modo anche dal punto di vista tipo tipografico – dell’altro. Devo aggiungere, però, che anche a quello di Bartolomucci mi ero affezionato.
Che delusione! Il mio Natale, la mia Novena avevano altra origine rispetto alla mia città. Gli uffici che avevo ascoltato in italiano (l’italiano era locale; solo latino era canonico) erano di un cappellano napoletano d’antan, sconosciuto, ma che, comunque, era diventato un ospite aggiunto nella tavola frugale della mia memoria.
Che cosa posso dire oggi. Che nulla sapevo di questo rituale oggi ripreso nella chiesa del Carmine. Che seppure l’ avessi saputo, non avrei avuto la curiosità di seguire una giornata. Per una ragione. La mia memoria non avrebbe più sopportato l’intrusione di un altro Luigi Bartolomucci.

Luigi Murolo 

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