Ringraziamo il prof. Luigi Murolo per questa preziosa indagine storica sulle origini ottocentesche della Novena di Vasto
Di un ricordo della Novena di Natale
di Luigi Murolo
Ho visto con interesse in un blog locale il
documentario sugli uffici liturgici prenatalizi. E per quanto io sia oggi lontano,
incomparabilmente lontano da quel mondo (qui l’infanzia non c’entra. La
distanza è ideologica), continuo a rimanere sentimentalmente legato ai grandi
rituali ecclesiastici preconciliari. La mia memoria
si spinge con nostalgia verso lo scomparso universo petronio degli anni Cinquanta, cui aggiungo – unica eccezione – la grande funzione mariana del 31 dicembre. Poi, sopraggiunta la finis mundi, rimaneva solo un pugno di ricordi dal quale non mi sono mai voluto distaccare. Più che da krónos, l’ho sempre vissuto come kairós. Per una ragione: questo «tempo interiore», questo «tempo della soggettività», mi ha sempre accompagnato nei miei piccoli passi. Bergson, forse? Magari Proust? Niente di tutto ciò. I seminari universitari di filosofia medievale diretti e guidati da Franco Alessio mi avevano fatto carezzare dal vivo non solo le carte della Patrologia latina di Migne, ma, all ’interno della stessa, quel medesimo passo delle Confessioni di Agostino (XI, 37, 12) che testualmente recita: «In te, inquam, tempora metior. Affectionem, quam res praetereuntes in te faciunt et, cum illae praeterierint, manet, ipsam metior praesentem, non e
si spinge con nostalgia verso lo scomparso universo petronio degli anni Cinquanta, cui aggiungo – unica eccezione – la grande funzione mariana del 31 dicembre. Poi, sopraggiunta la finis mundi, rimaneva solo un pugno di ricordi dal quale non mi sono mai voluto distaccare. Più che da krónos, l’ho sempre vissuto come kairós. Per una ragione: questo «tempo interiore», questo «tempo della soggettività», mi ha sempre accompagnato nei miei piccoli passi. Bergson, forse? Magari Proust? Niente di tutto ciò. I seminari universitari di filosofia medievale diretti e guidati da Franco Alessio mi avevano fatto carezzare dal vivo non solo le carte della Patrologia latina di Migne, ma, all ’interno della stessa, quel medesimo passo delle Confessioni di Agostino (XI, 37, 12) che testualmente recita: «In te, inquam, tempora metior. Affectionem, quam res praetereuntes in te faciunt et, cum illae praeterierint, manet, ipsam metior praesentem, non e
a quae praeterierunt, ut fieret;
ipsam metior, cum tempora metior»
(vol. XXXII, coll. 823-824). Il che vuol dire (utilizzo la traduzione di Carlo
Carena): «È in te [spirito mio], lo
ripeto, che misuro il tempo. L’impressione che le cose producono in te al loro
passaggio e che perdura dopo il loro passaggio, è quanto io misuro, presente, e
non già le cose che passano, per produrla; è quanto misuro, allorché misuro il
tempo».
Certo, tenendo conto di quello straordinario
avvertimento appreso a vent’anni, conservo ancora intatto il peso di quelle
levatacce alla prima ora canonica (corrispondenti alle h. 06,00 del vecchio
orologio meccanico) per ascoltare con nonna Lucia, nella scomparsa chiesa di S.
Pietro, le novene del Natale condotte da don Romeo e, qualche volta, da don
Michele. E, quasi non bastasse, in una sorta di magico sogno, ho ancora in
mente tutta la multitudo fidelium che
disponeva di quel rosso libro delle ore
titolato La Manna del cielo (Vasto,
Tip. Guzzetti, 1922) pubblicato dalla Congrega del SS. Sacramento. In quel
testo (una tradizione mai interrotta, la mia, quella di sfogliarlo ogni 24
dicembre a sera soffermandomi sulle pagine del Te Deum) era racchiuso l’ufficio del Natale che, prima il capitolo
arcipretale e poi diocesano (dal 1853), aveva raccolto per la celebrazione del
rito. Così, nella chiesa perduta, dalla XVII
alla IX kal. Januarii tenendo
conto del calendario cristiano delle origini (cioè, dal 16 al 24 dicembre)
seguivo quasi tutte le mattine (il sonno
si faceva sentire) le funzioni che mi avrebbero poi condotto – il 24 – a
scrivere (guidato amorevolmente da Mamma) le letterine (da porre sotto il
piatto) per Papà.
Ma qual era stata la fonte di questo apparato
adottato dalla chiesa vastese dell’Ottocento? Chi era stato l’autore dei passi
in lingua purista dedicati al «vezzoso Bambino»? La domanda sembrava restare
senza risposta. Come cercare l’ago in un pagliaio tra gli innumerevoli libri di
devozione che, negli anni Settanta del Novecento, si trovavano a poche lire
nelle bancarelle milanesi della cosiddetta «Fiera di Senigallia». Ero un
frequentatore abituale con il mio amico bibliofilo Lauro Grassi. Alla scoperta
di cose stranissime. Ecco che, all’improvviso, nel chiosco di un bouquiniste, l’occhio si era volto verso
una copertina che mi era familiare, molto familiare. Cavoli! Mi son detto:
anche qui c’è una copia de La Manna del
Cielo. Incuriosito, ho preso il libro rendendomi subito conto che non era
quello che conoscevo. Un testo di cui non avevo mai sentito parlare: Luigi
Bartolomucci, Apparecchio spirituale alla
nascita di Nostro Signore Gesù Cristo contiene le Sacre Novene e gli Uffizi del
Santo Natale, Napoli, Tip. All’insegna dell’Ancora, 1842, in-8°, pp. 356 (in realtà, uffizi era scritto con la z raddoppiata). L’ho subito comprato. E
che cosa ho scoperto facendo a casa i debiti confronti? Che quest’ultimo era
stato la base – in qualche modo anche dal punto di vista tipo tipografico –
dell’altro. Devo aggiungere, però, che anche a quello di Bartolomucci mi ero
affezionato.
Che delusione! Il mio Natale, la mia Novena
avevano altra origine rispetto alla mia
città. Gli uffici che avevo ascoltato in italiano (l’italiano era locale; solo
latino era canonico) erano di un cappellano napoletano d’antan, sconosciuto, ma che, comunque, era diventato un ospite
aggiunto nella tavola frugale della mia memoria.
Che cosa posso dire oggi. Che nulla sapevo di
questo rituale oggi ripreso nella chiesa del Carmine. Che seppure l’ avessi
saputo, non avrei avuto la curiosità di seguire una giornata. Per una ragione.
La mia memoria non avrebbe più sopportato l’intrusione di un altro Luigi
Bartolomucci.
Luigi Murolo
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