mercoledì 31 dicembre 2014

IL CANTO DEL "BUON CAPODANNO", una bella tradizione vastese

di Lino Spadaccini
Nell’ultimo giorno dell’anno, caratteristici sono i canti tramandati dalla dall’antica tradizione natalizia vastese, un tempo eseguiti da allegre comitive accompagnati dal suono di tamburelli, pifferi, organetti e mortai da cucina di legno, in giro per famiglie e negozi a portare il buon anno.
Il Buon Capo d'Anno, con versi in italiano, e Il Capo d'Anno, con versi in dialetto, sono le canzoni più conosciute e, in particolare la prima, ancora oggi riproposta durante le serate tra parenti e amici, che inizia con questi versi:
Noi veniamo a darvi il buon anno
Il buon anno dell'allegria
A voi tutti in compagnia:
Buon Capo d'Anno - Principio d'anno

Questa notte di cortesia
Vi daremo il buon Capo d'anno,
A chi ci apre e a chi ci dànno;
Buon Capo d'Anno - Principio d'anno

Questa sera prima di dormire
Vi daremo il buon Capo d'anno;
Domani è principio d'anno:
Buon Capo d'Anno - Principio d'anno

L’altra versione, è sicuramente meno conosciuta, ma lo spirito che lo anima è sempre lo stesso: l’allegra compagnia che si presenta in casa di persone con la tavola imbandita e
Si mi dèje 'na scrippèlle – Mo' ti sone tande 'bbélle;
Si mi dèje nu quaggiaune – Mo ti sone n'addre ccàune;
E si ni mmi vu rrapì – Bbòna nott' à 'ssugnurì!

Fuori dal filone tradizionale "cantereccio", ma simile per vena goliardica, è lo scherzo poetico, conservato  manoscritto nell’Archivio Storico "G. Rossetti", scritto da Domenico De Luca per il Capo d’Anno del 1859, con l’auspicio di un’annata migliore rispetto a quella precedente, caratterizzata da carestia e intemperie a causa del passaggio della Cometa "Donati".
Nella speranza che il 2015 possa essere migliore di quello passato, vi lasciamo alla lettura integrale del testo, augurandovi un sincero… buon Capo d’Anno.

Il Capo d’Anno del 1859
Scherzo poetico
di Domenico De Luca

Voi sapete, e tutti sanno,
Che domani è Capo d’anno;
E siccome per usanza,
Per rispetto, e per creanza,
Fa ciascun dei complimenti
Agli amici e conoscenti;
Per non essere tacciato
D’incivile e mal creato,
Con voi tutti bramo anch’io
D’adempire al dover mio;
E se poi nol saprò fare,
Mi dovrete perdonare.
Mi protesto in primo loco,
Che non parlo già per gioco,
Come fan per l’ordinario
Molti preti col Vicario,
O costui con Monsignore;
Che col labbro, e non col core
Proferiscon complimenti,
Che non passan oltre i denti.
Io per me son franco e schietto:
Ciò che dico l’ò nel petto;
Ed aborro, in fede mia,
Di talun l’usanza sia,
Che ti loda a più non posso,
Poi ti taglia i panni addosso.
Ma lasciando cotai nostri,
Ritorniamo ai fatti nostri.
Voglio dire alla gran festa
Che domani ci si appresta.
Qual destino che va di trotto,
È sparito il cinquantotto:
E nessun se l’abbia a male,
Chè fu molto a noi fatale.
Poco grano egli ci à dato,
Che già tutto s’è tarlato.
Vino, tanto che non basta
Per la Messa, se si guasta.
D’olio poi nessun ricolto,
Si che il grasso costa molto.
Pur di fichi ci à privato
Quell’indegno, quel malnato;
Onde far non puote alcuno
In Quaresima il digiuno.
Ed avremo noi dolore,
Se tal anno se ne muore?
Ma ben poco saria questo,
Se non fosseci anche il resto.
Un terribile pianeta
Ci à recato, una Cometa,
Che volea nel precipizio
Tutti trarci, e del giudizio
Far che il giorno già venisse,
Ed il mondo così perisse.
Cominciò col carezzarci
Pria bel bello e regalarci
Qualche pioggia salutare;
Sì che ognuno a giubilare
Si facea; ma sì frequenti
Poi divenner, che le genti
Con dolore, andare a male
Vider molto cereale.
Pur la pioggia segue intanto,
E’l dolor si cangia in pianto.
Se mai qualche poveretto
Tenta uscire dal ricetto,
Ed al suo meschino e caro
Campicello, a dar riparo
Si decide e s’apparecchia,
Via di nuovo l’acqua a secchia.
E così cittadi e ville,
Piangon danni a cento, e mille.
Ma perché ridurre a mente
Un pensiero si dolente?
Anziché così guaire,
Ci convien di benedire
Il Signor, che con palese
Patrocinio ci difese,
Ci protesse, e dalla morte
Ci campò con braccio forte.
Dunque a Lui con fe’ sincera
Oggi volgo una preghiera,
Onde renda l’anno nuovo
Pieno e zeppo come un uovo,
Di piaceri e di contenti,
Sempre puri ed innocenti,
Per voi tutti, che mi siete
Tanto cari, e mi volete,
Ne son certo, un po’ di bene,
Vero, e come si conviene.
Voglia Iddio la vostra vita
Preservar con l’infinita
Sua bontade, dai malori,
Dalle febbri e dai dolori.
Dalla grandine vi scampò
Il vigneto insieme e i campi.
L’abbondanza sempre in mensa
Vi conservi, ed in dispensa.
E se dopo la tempesta
È permesso un po’ di festa;
Divertitevi sovente
Fra cotesta brava gente.
Fate pure in carnevale
Qualche burla originale;
Che’ ricordo d’aver detto
In un salmo benedetto,
Che si può lodare Iddio
In letitia, ossia nel buio.
Ma gridare qui vi sento,
Basta, basta il complimento.
Vai tu pur di molto trotto,
È già siamo a cento ed otto
Versi, tutti ben contati,
Ne’ per certo andiamo avanti.
A tali detti io fermo il passo
E rimango come un sasso.
Poi riprendo con timore,
E con palpito di cuore:
Vuò levarsi la molestia;
Ma partir come una bestia
Non sta bene… e quindi,
Siate ognor lieti e felici;
e vi do con tal desio,

Un abbraccio, ed un addio.

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