giovedì 4 dicembre 2014

Frane, argomento che tiene banco a Vasto da secoli !

Un articolo di Giuseppe Catania del 1956 che riferisce delle soluzioni prospettate da Filippo Laccetti a fine '800!
Tema quanto mai delicato e di attualità. Argomento che, nonostante tutti i provvedimenti, non ha mai portato ad un intervento per disciplinare controlli sistematici nel tempo o effettuare studi di vasta portata sul territorio.
Per questo, al fine di rinfrescare la memoria agli smemorati, pubblichiamo un nostro articolo apparso su II Giornale d'Italia il 28 settembre 1956, con riferimenti chiari e pertinenti.


di GIUSEPPE CATANIA

La frana di Vasto è divenuta ormai una questione di massima importanza. Ma, come nella maggior parte del problemi che interessano la nostra città, molto si è scritto, e dall'una e dall'altra parte, e nulla, fino ad oggi, risulta essere stato compiuto per ovviare la sciagura che turba l'animo dei vastesi.
Lasciamo perciò che i tecnici studino ancora le condizioni geologiche del territorio vastese e limitiamoci solo alla constatazione dei fatti, poiché, in verità, è un argomento prevalente contro le ipotesi e le induzioni che ci hanno tenuto in
sospeso per molto tempo.

E ci meraviglia non poco il fatto che i tecnici si ostinino ancora nelle loro test
quando dovrebbero fare buon uso di un po' di geografia elementare per poter far mutare il ragionamento ipotetico da essi impostato. Un male non sarebbe  rivedere le pagine della geografia dalla nostra regione, tanto dimenticata dagli uomini, attratti sempre nelle calamità dal dinamismo e dalla scienza che li sospinge a dimenticare troppo presto quello che si è operato per affrontare l’incognito.

.Ora la geografia ci riferisce, almeno nella parte che ci interessa, che l'Appennino è un sistema di catene, massicci ed altipiani, corrugatisi nel terziario, soggetti da allora a continue evoluzioni molto complicate, con ossatura prevalentemente calcarea, che orlano e racchiudono altipiani o conche quasi chiuse (le conche abruzzesi).

“Si tratta di rilievi di modeste altezze, costituiti in prevalenza da rocce argillose o sabbiose del Terziario, a forma di molti dorsali, incise dalle valli trasversali degli affluenti di destra del Po o dei tributari dell'Adriatico; in generale fiumi a regime incostante, convogliatori di grandi quantità di detriti e sfasciume. In relazione alla facile erodibilità delle rocce, frequentissimi sono i calanchi, sistemi di burroni ventagliformi separati da creste sottili e ripide in continuo sfacelo, e le frane, costituenti un vero flagello” (R. Almagià, II Mondo Attuale, 1, 2, pag. 593)

Ma non bisogna tralasciare che “la distruzione del mantello boscoso e la conseguente intensificazione dell'erosione subaerea, conferiscono spesso alle aree culminali un aspetto di desolata nudità cui si accompagna di solito una grande siccità, perchè, in conseguenza della estensione e dello spessore degli strati calcarei, l'acqua circola sotterraneamente a grande profondità, per venire a giorno solo alla base dei massicci in sorgenti talora copiosissime (id. pag.592).

E per ritornare alla constatazione del fatti: che cosa hanno trovato i tecnici durante le perforazioni ed i sondaggi effettuati a Vasto? Cosa, se non acqua pura, ed in continuo movimento?

Non a caso l'ing. Filippo Laccetti nelle sue "Memorie tecniche” parlando del “restauro de lo acquedotto de la Città di Vasto”, ediz. 1899, pagina 7, si esprime: “E considerando che un dì Istonio ebbe \edifici idraulici la cui maestà, anche a molti secoli dì distanza, ci ammonisce che l'abbondanza de le sue acque e de l’acutissimo genio idraulico de i primitivi abitatori delle sue contrade; ...e considerando che la scarsezza delle piogge, per quanto sensibile, non può tuttavia essere la causa determinante de la povertà della nostra fontana, e considerando lavori per essa, di oculata manutenzione e riparazione non sonosi fatti da anni parecchi, noi siamo venuti a la persuasione di poter affermare, con sicurezza, che un restauro completo e ben
diretto, di tutto il presente acquedotto de la. fontana Vastese, potrebbe restituire a i cittadini quell'abbondanza di acque che rese possibile, ai loro lontani antenati, assistere a le naumachie combattute su la terra, in località quasi a picco e a diverse centinaia di metri sul mare!”.

Ora non è il caso di meravigliarsi che le frane, le lesioni voraci e gli sprofondamenti abbiano deviato il corso di tali acque nel sottosuolo, ma siamo di più stupefatti quando si viene a parlare della manifestazione franosa dovuta all'assestamento del terreno in seguito a siccità.

Resteremmo scandalizzali a voler solamente e lontanamente pensare che il territorio di Vasto dal 1816 ad oggi, periodicamente si vada assestando!

Ora non è il caso di perdersi in inutili critiche che hanno il solo profilo di sottrarci quel tempo che ci è tanto prezioso in circostanze che tanto ci affliggono, ma atteniamoci scrupolosamente a quanto risulta da dati di fatto sul territorio vastese.

“Dalla osservazione ci risulta che gli strati superiori alla argilla, dello spessore medio dì circa 15 m., seguono con lieve ondulazione altimetricamente la duplice inclinazione verso il mare e verso la valle del fiume Sinello, cioè quasi appunto la direzione costituita dall'asse ideale dell'ultimo tratto del nostro acquedotto. E dunque noi ci troviamo in presenza di un terreno che, poggiando su di uno strato impermeabile argilloso, ha il pendio rivolto dai colli di Cupello e Monteodorisio verso la città di Vasto, e cioè noi ci troviamo in presenza di un terreno che, ricevendo le piogge ed assorbendole fino a lo strato impermeabile, le convoglia poi sotterraneamente e necessariamente verso il Vasto, erogandole da una specie di sepolto bacino di raccolta, disposto a sud-ovest della città e più in alto di essa “ (F. Laccetti, op. cit. pag. 11).
A liberare dalla malaria la laboriosa popolazione rurale sparsa lungo la nostra costa, dalla punta di Vignola a Scaramuzza, giunse in buon punto il progetto del lavori di bonifica di Vignola, approvato dal Consiglio dei LL. PP. nella seduta del 29 ottobre 1924... Tali lavori, eseguiti anche a spese dello Stato, e consistenti nella colmatura di tre laghetti con circa 30.000 metri cubi di materiali e nella costruzione di larghi cunettoni dai quali l'acqua di displuvio della costa viene condotta al mare, furono appaltati per L. 286.000 all'Impresa Beniamino Tenaglia, che li condusse a termine nell'anno 1927” (L. Anelli, Histonium ed il Vasto attraverso i secoli >, pag. 73).
Se queste acque si raccolgono nel sottosuolo e, incontrando uno strato argilloso impermeabile ad una certa profondità, non corrodono forse, nel loro lento ma inesorabile movimento di affioramento, le sabbie che attraversano, producendo vuoti considerevoli, levigando la superficie argillosa su cui scorrono? Ed il risultato di questa azione non è forse il crollo e lo scivolamento sul piano inclinato delle masse del terreno soprastante?

Il problema della ricerca delle acque sotterranee perdutesi nel tempo e della loro disciplina, mentre a prima vista potrebbe sembrare di pura e semplice attuazione, costituirebbe senza dubbio la risoluzione della frana.
E ci piace, a proposito, ultimare questa rassegna di esposizione di dati di fatto, con le stesse parole dell'ing. Laccetti, quando, riferendosi alla disciplina delle acque in questione, tiene a precisare essere la salvaguardia “contro il ripetersi di queli immani disastri, lacrimevoli scoscendimenti, contro cui la spada di San Michele Arcangelo che protegge dall'alto colle solitario che il nostro cuore sospira, sarà vano ostacolo, se la mano dell'uomo non 'aiuterà, col prevenire”!

Giuseppe Catania

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